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« Quale rimedio per la tristezza?ansia »

La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c'è fuori

Post n°53 pubblicato il 28 Febbraio 2017 da Ra.In.Me

 

Il titolo di questo post sembra una di quelle frasi oggi tanto amate da quegli adolescenti sempre in giro con gli auricolari, invece è di Johann Sebastian Bach, grande genio della musica vissuto nella prima metà del Settecento. mio figlio adolescente dice che la musica colma il vuoto che c'è dentro. Dunque c'è un vuoto da colmare, un silenzio da riempire di luce e colore.

L'altro giorno mi sono imbattuta nel post "undici abitudini di chi soffre di depressione nascosta". A mio parere molti dei punti elencati riguardano gran parte delle persone, quindi verrebbe da concludere che siamo tutti un po' depressi; io ad esempio in molti ci sono dentro in pieno.

Gli artisti, e i geni in ogni campo, dovrebbero quindi essere necessariamente soffrire di questo "male di vivere" se si considera il punto 8; anzi, una cosa che un po' m'indigna è constatare che si parla di veri e propri "disturbi mentali" a proposito delle persone di talento. E se è vero che sono esistiti alcuni geni "mentalmente disturbati", mi pare offensivo considerarlo una condizione necessaria della genialità.


Diverso è parlare di questo vuoto, di questa voragine che si sente dentro, avvertita in maggior misura dagli artisti o dalle persone particolarmente sensibili ed introspettive, ma presente in ognuno di noi, esseri incompleti ed imperfetti per natura.


Ma io dico che il vuoto è necessario: il musicista riempie il silenzio di suoni meravigliosi, il pittore illumina ilbuio con colori luminosi e lo scrittore riempie di sogni e di parole le pagine altrimenti vuote e bianche di un libro.

Comunque, a parte le persone davvero disperatamente tristi, non penso che coloro che si ritrovano nei punti di questo elenco sentano una grande necessità di essere aiutate: aiutate a fare cosa poi, a diventare "normali"? O a diventare perfette (ben sapendo che la perfezione non esiste)? Piuttosto preferirebbero non essere considerate "incomplete" o "difettose", tutto qua.

Si ricade nel discorso dei post precedenti, viviamo in una società che emargina chi si discosta dalla normalità, chi non ha sempre il sorriso sulle labbra, o chi è - in qualche misura - fragile.

Ho comprato l'ultimo libro di Alessandro D'Avenia "L'arte di essere fragili - come Leopardi può salvarti la vita". Dietro alla copertina ho letto questo pensiero:

"viviamo in un'epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Ma c'èun altro modo per mettersi in salvo, ed è costruire, come te, Giacomo, un'altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili".

Mi ha subito "fatto simpatia" questo modo di vedere le cose, e così ho comprato il libro, che ho appena iniziato a leggere. Mi fa simpatia che sia un prof, in un'epoca in cui è difficile e considerato "da sfigati" scegliere questo lavoro.

E poi nell'ultima pagina c'è "L'Infinito" di Leopardi (guarda caso questo splendido componimento fa bella mostra di sè in fondo a questo blog dal momento in cui l'ho aperto!)

Senza le sue fragilità Leopardi non sarebbe stato quello che è stato. Oggi forse ci saremmo preoccupati di aiutarlo, ovvero di farlo diventare "normale".

Insomma, senza il riconoscimento delle proprie fragilità ed imperfezioni non può germogliare la crescita, la bellezza, il miglioramento.

Dato che mi piace curiosare in internet e leggere articoli di psicologia, trovo più utile il post: "star bene con se stessi: ecco come fare", e il punto di vista di Raffaele Morelli, che invita ad accettare il disagio per trasformarlo in un momento di crescta interiore.

 
 
 
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e mentre marciavi

con l'anima in spalle 

vedesti un uomo

in fondo alla valle 

che aveva il tuo stesso

identico umore 

ma la divisa

di un altro colore

(F. De Andrè, La Guerra di Piero)

 

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