Creato da: Raw_Outlaw il 27/02/2005

Il Giovin Raw
 
     
Episodi tragici di una vita comica

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   Messaggio N° 8 08-04-2005    
  

In Memoria

Mau mi telefona e mi fa a bruciapelo: "E' morto Bruno, siamo stati invitati al funerale". Un attimo e le nebbie della memoria si diradano (forse nel mio caso è più giusto parlare di "fumi nella memoria").

Bruno è stato il mio maestro di tennis, negli anni delle medie e del liceo... Ero un giocatore abbastanza bravo, lo sport mi piaceva e mi dava l'occasione di tenermi allenato. Purtroppo con l'università non ho più potuto fare tennis, vuoi per mancanza di tempo, vuoi perchè non ho trovato nessuno che giocasse con me. Insomma, anno dopo anno il decadimento fisico ha la meglio...

Bruno è morto "stroncato da un infarto" (le frasi fatte ti soccorrono nei momenti drammatici) proprio lì nel campo di terra rossa dove giocavamo, è stata la figlia a trovarlo dopo chissà quanto tempo.

Bruno era un uomo biondo, con una folta barba, magro come un chiodo, così magro che ti meravigliavi ogni volta di non vederlo cadere a terra osso dopo osso dopo averti tirato un servizio di quelli che ti bucano la racchetta se va bene, le palle se va male. E non sto parlando delle palle da tennis. La cosa più notevole di lui era la sua altezza, che unita alla sua magrezza, ai suoi occhi azzurri e alla sua barba biondastra davano l'impressione di trovarsi, più che su un campo rosso da tennis, in mezzo ai verdi prati di Stonehenge nel corso di una riunione druidica.

Bruno è stato quello che mi ha insegnato l'etica dello sport. E' successo l'ultima volta che ho giocato con lui, in qualche modo sapevo che era l'ultima volta. Gli ho detto: "Bruno, invece delle solite cose oggi mi piacerebbe fare una partita vera con te" "Va bene, iniziamo: non avrò pietà."

Ci siamo squadrati a lungo prima di incominciare, lui come maestro sapeva tutti i miei punti deboli e i miei punti di forza. Sapeva che quando facevo il servizio il primo lo tiravo sempre al massimo della forza, e il 90% dei casi andava miseramente fuori. Sapeva che il secondo servizio lo tiravo sempre in un punto, nell'angolo più lontano dalla rete, per essere sicuro di farlo valido. Sapeva che non mollavo mai, neanche le palle che erano irrimediabilmente perse.E che qualche volta ciò riapriva la partita: mai distrarsi con me. Sapeva che non avendo la tattica cercavo di fare un gioco veloce e serrato, di corsa.

Io di lui sapevo che il suo aspetto dimesso nascondeva un giocatore capace di punirti amaramente se tiravi una palla troppo piano e troppo vicino alla sua racchetta. Molto raramente sbagliava: la palla andava dove lui voleva che andasse, era un maestro di tennis che sapeva fare il suo lavoro molto bene. Implacabile. Ma sapevo anche che alla soglia dei 50 anni non avrebbe retto una partita troppo lunga come potevo reggerla io.

Dunque l'unico modo di vincere era di correre come un demonio e cercare di farlo correre il più possibile.

Il primo set, ovviamente, lo persi. Poi incredibilmente rimontai, e ci trovammo in parità. All'ultimo, la mia parte di campo era orribile a vedersi: cicatrici scure provocate da riprese impossibili e slittamento di scarpe coprivano ogni angolo, e le mie ginocchia avevano più di una sola abrasione. La metà di campo di Bruno era al confronto il vestito di una sposa: solo qua e là le sue impronte leggere, sembrava che quell'uomo fosse incorporeo, con tanta grazia correva se paragonato alle mie strisciate brutali! I punti in cui cadeva la sua pallina nella mia metà campo erano tutti o dentro o (pochissimi) fuori, mentre nella sua metà campo più d'una striscia era segnata dal bianco di una mia palla dubbia, imprecisa, che Bruno manco tentava di prendere per risparmiare le energie: era cosciente dei suoi limiti e preferiva darmi un punto dubbio piuttosto che la vittoria per sfinimento.

Nell'ultimo set ero in vantaggio, e se avessi vinto l'ultimo servizio avrei vinto tutto. Ho tirato il servizio, il sole negli occhi, il sudore che colava dal naso, i muscoli stanchi e tesi. Mi è riuscito bene al primo colpo, dritto verso il rettangolo e verso le palle di Bruno dopo il rimbalzo (il tennis è fatto anche di mira). La sua replica è stata per forza di cose goffa, racchetta davanti alle palle prima di tutto! Quindi la pallina è saltata in alto, un tiro alto e corto, roba da correre alla rete e ficcargli una schiacciata da scavargli un buco nel campo sino alle corna di Belzebù. E così è stato, solo che invece del buco (come succede sempre in quei cazzo di cartoni animati giapponesi, i manga di questo culo) la pallina è rimbalzata in verticale assoluta, e sul viso di Bruno un sorriso del tipo "Hai voluto fare lo sborone, ora ti fotto!" Così io ero alla rete, e lui ha fatto un pallonetto (er cucchiaio, direbbe quel demente a Roma). La palla passa sopra la mia testa e si dirige alla fine del campo, alla linea. Imprendibile. E invece no: scatto verso la fine del campo, arrivo quando la palla rimbalza (regolare), sono sotto di lei e tiro col mio colpo "della madonnina". E' un tiro che uso solo io, quando mi fanno un pallonetto come questo: se la palla rimbalza abbastanza alto corro sotto di lei, con la rete alle spalle, impugno la racchetta con due mani e dal basso colpisco verso l'alto, finendo con mani e racchetta in verticale sulla mia testa come in una preghiera alla Madonna perchè solo lei può sapere se è andata bene o male. (di solito lassù si ricordano che non vado mai in chiesa...)

Ma quella volta la palla tornò da Bruno. Sbilenca, lenta, alta, ma era bastato a meravigliare il mio maestro. "Che culo della Madonna" dixit, e si preparò a sferrare il colpo, lo vidi mettersi in posizione e tendere i muscoli, garanzia che stavolta se la prendevo potevo anche andare a comprare una racchetta nuova il giorno dopo. Immaginate la scena: io che corro verso la metà campo, la palla che rimbalza, il Fato che implacabile sta per prendere forma in un proiettile giallo fosforescente.

Merda! Provo questa...

"YAAAAAAAHHHH!"

Bruno si gira di scatto verso di me. Quando capisce, è troppo tardi: la pallina passa oltre la sua racchetta, e io sono steso a terra in uno scoppio di risata soffocata dall'ansimare pesante, sudore contro terra rossa... Avevo vinto, quando l'avrei raccontato in giro nessuno ci avrebbe creduto!

Ma lui mi guarda severo, con i suoi occhi di ghiaccio, e mi dice senza alcuna apparenza di stanchezza nella sua voce: "Non è stato un bel modo di vincere."

Aveva ragione. Non avevo barato, non avevo infranto alcuna regola, ma non ero stato corretto verso il mio avversario. Uno qualunque se ne sarebbe altamente fottuto del fatto che io in quel momento potessi anche star crepando, che il mio grido soffocato potesse essere il mio ultimo respiro. Mi avrebbe finito con l'ultimo tiro e poi si sarebbe preoccupato delle mie condizioni, ma Bruno no. Per questo non è stato un bel modo di vincere, e quella volta ho imparato la differenza tra lo Sport e i giochi dell'asilo.

Quelli che si dopano non fanno Sport, fanno giochi d'asilo. Pantani faceva giochi d'asilo, anche se gli riuscivano maledettamente bene. I nostri calciatori, oltre a fare un gioco d'asilo superpagato, sono per la stragrande maggioranza bimbi d'asilo. La Formula 1 è più vicina al concetto di Sport: non puoi barare, sei spietato, inflessibile, l'unica droga ammessa è la benzina, sempre che tu riesca a berla. E l'unico idiota nella Formula 1 si chiama Flavio. Ma fa Sport.

Questo è il pensiero che voglio dedicargli, dato che non ho potuto andare al suo funerale. E' stato un buon maestro di tennis, ma la lezione più importante è stata questa lezione di vita.



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