ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 13/04/2014

GRANDE ARTICOLO DI ANTONIO SOCCI: SUL CARDINALE MARTINI E IL BEATO GIOVANNI PAOLO II

Post n°8969 pubblicato il 13 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Dopo avere letto le tristi considerazioni del Card. Martini a proposito della beatificazione di Giovanni Paolo II, ecco questo limpido articolo di Antonio Socci, tutto da leggere!

ECCO L'ARTICOLO

Andrea Riccardi ha rivelato, in un suo libro, il contenuto della «deposizione» che il cardinale Carlo Maria Martini rese al processo per la canonizzazione di Karol Wojtyla. Le sue parole hanno fatto una triste impressione, non solo perché egli giudica inopportuna l’elevazione agli altari di Giovanni Paolo II (desideratissima invece dal popolo cristiano: avverrà in piazza San Pietro il 27 aprile prossimo). Ma soprattutto per il modo e per gli argomenti usati.

C’è chi ha scritto che è stata «la vendetta del cardinal Martini», che «opponendosi alla canonizzazione di Papa Wojtyla si è voluto prendere una rivincita».
Ma non voglio credere che il cardinale coltivasse (ri)sentimenti del genere, anche perché proprio Giovanni Paolo II lo aveva nominato arcivescovo di Milano, lo aveva creato cardinale e - come Ratzinger - aveva sempre avuto parole di stima personale nei suoi confronti. Qualche caduta di stile si nota, però, nella deposizione di Martini. Il quale critica Wojtyla, fra l’altro, per le sue nomine, precisando: «soprattutto negli ultimi tempi» (la sua fu una nomina dei primi tempi). Inoltre il prelato attacca Giovanni Paolo II per il suo appoggio ai movimenti ecclesiali. Questo livore martiniano contro le nuove realtà suscitate dallo Spirito Santo gli impedì di vedere quanto papa Wojtyla avesse rinnovato la Chiesa, valorizzando i carismi e gli impetuosi movimenti di rinascita della fede, che sono i veri frutti positivi del Concilio.

Ci sono anche altre critiche di Martini, in quella deposizione, che sconcertano. Per esempio afferma che Giovanni Paolo II si pose «al centro dell’attenzione, specie nei viaggi, con il risultato che la gente lo percepiva un po’ come il vescovo del mondo e ne usciva oscurato il ruolo della Chiesa locale e del vescovo».
Questa desolante considerazione dimentica che papa Wojtyla dovette confortare nella fede e ridare coraggio a milioni di cristiani che negli anni Settanta erano perseguitati e incarcerati in Oriente e umiliati e silenziati in Occidente. Inoltre i pellegrinaggi di Giovanni Paolo II dettero un formidabile slancio missionario proprio alle chiese locali (basti pensare ai sedici viaggi in Africa e alla rinascita della fede che ne è seguita in quel continente). Martini riconosce pure qualche lato positivo a papa Wojtyla, per esempio «la virtù della perseveranza», ma subito aggiunge che fu eccessiva perché decise di restare papa fino alla fine: «personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po’ prima».
A dire il vero lo stesso Martini, concluso il suo episcopato milanese, per raggiungimento dell’età canonica, invece di ritirarsi a vita di preghiera, come aveva annunciato, intensificò il suo presenzialismo mediatico. E indurì le sue critiche alla Chiesa. Un comportamento che sconcertò molti fedeli. D’altra parte il cardinale di Milano, per tutto il pontificato di Wojtyla (e pure di Ratzinger), è stato esaltato dai media laicisti come il loro (anti)papa. E non si può dire che egli abbia fatto degli sforzi visibili per sottrarsi alle insidiose lusinghe di anticattolici, mangiapreti e miscredenti. I quali facevano a gara per osannarlo, intervistarlo e amplificare le sue critiche alla Chiesa.
Papa Wojtyla - col suo carisma personale e la sua fede accorata - ha affascinato i popoli, milioni di persone andavano a cercarlo per ascoltarlo. Però non è mai stato amato dai poteri di questo mondo. Anzi, è stato letteralmente detestato. Fin dall’inizio fu bollato come reazionario, anticomunista, bigotto, «troppo polacco» e via dicendo. Poi - vista la forza del suo carisma e l’amore che suscitava nelle folle - ritennero che non conveniva loro opporvisi frontalmente e cercarono di logorarlo in altri modi. Ma il grande Giovanni Paolo non ha mai annacquato la verità. Nel suo amore per Cristo e per gli uomini, ha sempre chiamato bene il bene e male il male. Joseph Ratzinger, con la sua recente testimonianza raccolta da Wlodzimierz Redzioch nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II”, ha insistito proprio su questo: «Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni, ed era pronto anche a subire colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di primo ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti».
Ratzinger già alla morte di Paolo VI, il 10 agosto 1978, disse: «un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede».
Infatti, diventato lui stesso papa, Benedetto XVI, indifesa dei piccoli e dei poveri denunciò «la dittatura del relativismo». E sempre affermò che il ministero di Pietro era legato al martirio. Un martirio fisico per i papi dei primi tre secoli. Un martirio morale per i papi di oggi (ma Wojtyla sparse anche il suo sangue).
Non che i cristiani debbano cercare l’odio del mondo, ovviamente. Ma le «potenze dittatoriali» delle ideologie o del nichilismo sono realtà e minacciano o condizionano pesantemente la Chiesa. Gesù stesso nel discorso della montagna aveva ammonito i suoi a restare liberi e sottrarsi ai condizionamenti: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc 6, 24-26). I veri discepoli di Gesù infatti sono segno di contraddizione per i poteri mondani: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo (…) il mondo vi odia. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 16, 18-20). Gesù arrivò a indicare ai suoi questa beatitudine: «Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli» (Lc 6,20-23). Non significa che si debba cercare la persecuzione, ma che non si deve essere succubi dei poteri e delle ideologie di questo mondo. Pietro deve sempre insegnare che fra obbedire a Cesare e obbedire Dio, bisogna scegliere Dio. E non basta nemmeno dichiarare apertamente la scelta giusta, perché la «dittatura» del «politically correct» è insidiosa. Esemplare e inquietante è il modo in cui si piegano certe frasi di papa Francesco verso questo «pensiero unico». Mentre vengono ignorati certi suoi interventi molto decisi, come quelli di venerdì scorso, contro l’aborto, l’eutanasia e per la famiglia naturale uomo-donna («occorre ribadire il diritto del bambino a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare in relazione alla mascolinità e alla femminilità di un padre e di una madre»).
Il Papa - in chiaro riferimento all’attualità - ha anche invitato a «sostenere il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. A questo proposito», ha aggiunto, «vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del «pensiero unico».
Nella notte del «pensiero unico» queste parole sono luce e libertà per tutti come lo sono state quelle di Wojtyla e Ratzinger.

di Antonio Socci - liberoquotidiano.it- www.antoniosocci.com - Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele - CulturaCattolica.it -

 
 
 

12 DOMANDE E RISPOSTE SULL'ATTUALE CONDIZIONE DELLA FAMIGLIA

Post n°8968 pubblicato il 13 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L'associazione La Manif Pour Tous Italia risponde a 12 domande sulla questione della famiglia: dall'ideologia gender, all'omofobia, ai matrimoni omosessuali.

1. COS’È L’IDEOLOGIA del “GENDER”?

Per “teorie di genere” (“Gender Theory”) si intende un complesso di studi ed opere saggistiche prodotte soprattutto nel mondo anglosassone, a partire dagli anni ’60, in diversi ambiti accademici (psicologia, filosofia, sociologia, linguistica..). Queste teorie nascono nell’ambito dei movimenti ideologici femministi per contestare il sistema tradizionale di considerazione sociale della donna, a tratti decisamente discriminatorio. Col tempo però le teorie di genere, che intanto vengono fatte proprie dai movimenti gay, arrivano ad immaginare la società ideale come quella in cui l’eguaglianza tra le persone può essere attuata solamente riconoscendo nel “sesso” una mera convenzione sociale, costruita attraverso l’imposizione di regole e norme esterne, che obbliga le persone a vivere “da maschio” o “da femmina”, come se questi modi di essere avessero un reale fondamento naturale – fondamento che le teorie di genere negano. L’identità sessuale, fondata sulla realtà biologica psicofisica, è sostituita dall’identità di “genere”, concetto aperto che abbandona il dualismo eterosessuale in favore della più vasta ed arbitraria gamma di auto-rappresentazione di sé (cinque i generi principali: maschile, femminile, omosessuale, transessuale, ermafrodita, ma il governo australiano ne ha riconosciuti ufficialmente 23, mentre l’edizione americana di Facebook permette di scegliere il proprio genere tra 56 diverse opzioni); il genere è un dato mutevole, fluido, influenzato, questo sì, dal contesto ambientale e ancor più dal desiderio sentimentale individuale o dall’emotività passeggera. Nonostante le teorie di genere siano smentite dalla mole di evidenze scientifiche che ci raccontano l’assoluta naturalità di un sistema incardinato sulla complementarietà dei sessi maschile e femminile, fortemente caratterizzati ancor prima della nascita anche quanto al loro svolgersi psico-attitudinale,  esse vengono oggi brandite in ambito politico nelle battaglie per i “diritti” e per l’”uguaglianza”: si tratta dunque di una vera e propria nuova ideologia. L’aspetto più grave è che quest’ideologia politica viene oggi propagandata con ogni mezzo mediatico, perché le lobby che la sostengono riescono a far passare il messaggio per cui solo questa impostazione culturale ed antropologica può garantire il rispetto reciproco ed evitare situazioni di discriminazione e violenza: l’ONU e l’UE hanno preso posizioni politiche importanti in favore di quest’opera propagandistica nelle scuole tra le giovani generazioni. Noi crediamo che l’unica vera ingiustizia sia spacciare per vera e indispensabile un’ideologia che nega la realtà antropologica più evidente di tutte: che si nasce maschi e femmine, e che la complementarietà delle doti naturali dei due sessi è una ricchezza straordinaria per l’umanità intera, passaggio obbligato di ogni speranza di progresso. Educare i giovani all’idea di una “identità di genere” nebulosa e indefinita crea una pericolosa instabilità psicologica, che mette in un conflitto assurdo la sessualità corporea e quella psichica naturalmente conseguente.
 
2. COS’È IL “DDL SCALFAROTTO”, COSÌDDETTO “ANTI-OMOFOBIA”?

Il disegno di legge “Scalfarotto” introduce nell’ordinamento italiano i moventi di “omofobia” e “transfobia” come aggravanti di un eventuale atto discriminatorio nei confronti di una persona. Ad oggi simili aggravanti, oltre che per generici “motivi abietti”, esistono solo per i casi in cui la discriminazione sia fondata sulla razza, la religione, l’etnia o la nazionalità della vittima (per scoraggiare quelle violenze che storicamente hanno condotto ai più gravi conflitti interni alla società). Quest’iniziativa presenta due gravi problemi: a) l’equiparazione dell’orientamento omosessuale ai sopracitati dati socio-identitari, che la legge tutela in via specialmente a motivo di una precisa esperienza storica di conflittualità, con cui l’accettazione sociale dell’omosessualità non c’entra nulla; b) l’assenza di una definizione chiara e condivisa di cosa concretizzi un atto di “omofobia” o di “transfobia”. Questa terminologia mediatica è usata oggi per ricomprendere pressoché ogni sorta di atteggiamento, psicologico oltre che materiale, che si mostri in qualche misura reticente a considerare l’orientamento omosessuale come una condizione in sé positiva e costitutiva di per sé di un valore sociale. Da ciò discende il rischio di criminalizzare anche ogni libera opinione che riguardi l’identità della famiglia o i requisiti naturali del matrimonio, così come l’opportunità di permettere a una coppia omosessuale di adottare minori o accedere alla procreazione artificiale. Su questi temi di attualità già oggi si sta consolidando un pensiero unico, dominato dal “politicamente corretto”, che mette alla gogna ogni opinione dissenziente, accusandola di propagandare odio e discriminazione (si pensi al caso “Barilla”). Se il disegno di legge “Scalfarotto” fosse approvato, questo clima ideologico ne uscirebbe inevitabilmente rafforzato, ed anzi addirittura incoraggiato, e avremmo un vero e proprio reato d’opinione. In realtà, già oggi il nostro ordinamento, dalla Costituzione fino al Codice Penale, dispone di una ricca gamma di strumenti per affermare la dignità intangibile di ogni persona umana e per difenderne e tutelarne l’integrità fisica e morale.

 3. COS’È LOMOFOBIA?

Il termine omofobia è un neologismo inizialmente utilizzato in ambito giornalistico per indicare i casi di violenza nei confronti di persone omosessuali. Il significato di questo termine è stato ampliato, fino ad includere come espressione di omofobia anche tutte le forme di pensiero, critica, obiezione o dissenso rispetto alle rivendicazioni delle associazioni LGBT. Ciò fa di questo termine un vero e proprio strumento di repressione nei confronti di chi sostiene un’antropologia differente da quella della teoria Gender, e nei confronti di chi non accetta l’imposizione mediatica, educativa e legislativa di questa ideologia.
 
4. SIETE CONTRO GLI OMOSESSUALI?

No, non siamo contro le persone con orientamento omosessuali. Rifiutiamo nel modo più assoluto qualsiasi violazione della dignità propria di ogni essere umano, a prescindere da ogni altra specificazione. La nostra battaglia non è contro nessuno; è bensì un impegno a favore ed in difesa di valori antropologici imprescindibili che appartengono a tutta la società: la famiglia, costituita da un uomo e una donna, i diritti dell’infanzia e la libertà di espressione.
 
5. COSA SUCCEDEREBBE SE VENISSE APPROVATA LA LEGGE SCALFAROTTO?

Con la Legge Scalfarotto niente più libertà di opinione in materia di famiglia, educazione, diversità: il pensiero unico imposto dalla legge è quello dell’ideologia gender. Il reato di omofobia punirebbe infatti ogni forma di dissenso da suddetta ideologia, imponendola di fatto come pensiero unico imperante in tutti gli ambiti della vita sociale, pubblica e privata. Il passo successivo sarà la demolizione dei vincoli che definiscono matrimonio e adozione, e il Ddl Scalfarotto in questo senso si muove preventivamente, sbaragliando ogni dissenso con il reato d’opinione: sarebbe punito penalmente chi dovesse sostenere la non equiparabilità di situazioni oggettivamente e costitutivamente diverse; sarebbe reato persino affermare quanto sancito dalla stessa Corte Costituzionale (sentenza 138 del 2010): «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Diventerebbe reato sostenere una realtà di fatto, ovvero che la famiglia costituita da un uomo e una donna è un bene insostituibile per la crescita delle persone e per la società intera. Esprimersi a favore della famiglia edifendere il diritto di educare i propri figli secondo i propri valori saràreato: sarà omofobia.


6. COSA SONO LE “LOBBY LGBT”?

Le lobby LGBT (lesbian-gay-bisexual-transexual) sono associazioni, circoli e gruppi di pressione impegnati nel promuovere le rivendicazioni proprie delle teorie di genere applicate alla “cultura gay”. La più importante è l’Associazione Internazionale Lesbiche e Gay (ILGA), una struttura mondiale che riunisce al suo interno numerose altre associazioni su tutti i continenti, il cui ramo europeo è ILGA Europa. Gli obiettivi di tali organizzazioni sono molto lontani dai reali bisogni degli omosessuali, perseguendo invece finalità politiche ed economiche, basate su logiche di potere radicate nell’ideologia gay. Tali organizzazioni sono finanziate da privati, ma anche da organismi pubblici (tra cui l’UE), ricevendo il sostegno di politici che pensano di vedere in esse l’espressione di una maggioranza; in realtà rappresentano un’élite che cerca di influenzare a suo favore le scelte dei governi e dei parlamenti.

7. L’OMOGENITORIALITÀ INFLUENZA LA CRESCITA DEL BAMBINO?

L’ambiente di cura dei primi anni di vita ha grandissima influenza sullo sviluppo del bambino. La presenza di una coppia genitoriale uomo-donna è fondamentale per lo sviluppo dell’identità: affinché il bambino possasviluppare una chiara idea di sé, un’identità solida e matura, ha bisogno di potersi identificare nel genitore dello stesso sesso e differenziare dal genitore del sesso opposto. Ha bisogno di scoprire attraverso di loro, che sono il suo riferimento primario, il mondo del maschile e il mondo del femminile, in termini di sentimenti, di funzionamento, di atteggiamenti e di ruoli. Se questo processo non può avvenire quotidianamente, perché la coppia genitoriale non costituisce l’immagine della complementarietà maschile e femminile, il bambino avrà difficoltà a sviluppare una chiara idea di chi egli sia, come maschio o come femmina, e ad interiorizzarla nel profondo. La sua identità può rimanere allora frammentata, confusa, fragile, a grave danno di tutta la persona.
 
8. CHI LO DICE CHE UNA FAMIGLIA DEV’ESSERE COMPOSTA DA UN UOMO E UNA DONNA?

Lo dice la nostra natura: l’essere umano tramanda la vita grazie all’unione di un uomo e di una donna all’interno di un legame stabile, creando così una famiglia. L’uomo e la donna sono complementari l’uno all’altra, non solo per le loro caratteristiche anatomiche, ma anche per quelle funzionali ed umorali ed è per questo che solo dalla loro unione può nascere una realtà nuova, caratterizzata dall’unicità: la famiglia. La reciprocità uomo-donna vissuta nell’amore e nella donazione totale di sé all’altro è il fondamento della famiglia, ed è il cammino di una piena e profonda umanizzazione della cultura e della società.
 
9. E UNIONI DI FATTO SONO FAMIGLIA?

La famiglia è culla delle nuove generazioni. Dunque per essere famiglia è necessario essere aperti a generare una nuova vita, che può nascere solo dall’unione di un uomo e una donna. Allo stesso tempo è imprescindibile garantire alla vita stessa un luogo idoneo alla sua crescita, alla sua promozione e al suo accompagnamento in tutte le sue tappe. Non può dirsi famiglia una coppia che non può garantire ai figli che accoglie le condizioni necessarie allo sviluppo (condivisione totale di ogni bene, stabilità del legame senza condizioni, l’essere consolidata da un vincolo giuridico e non basata sulla mera convivenza…). La coppia di fatto non è questo per sua definizione; non chiamiamo famiglia ciò che famiglia non è.
 
10. PERCHÉ È COSÌ IMPORTANTE PROTEGGERE E PROMUOVERE LA FAMIGLIA?

La famiglia come realtà fondata sulla stabile comunione di sentimento e di intenti tra un uomo ed una donna è l’unica forma di unione che  permette la pienezza della relazione di chi la compone, la stabilità di vita, che nasce dalla consapevolezza dell’identità del proprio essere uomo o donna. La famiglia contribuisce alla crescita dell’ampia comunità nella quale cresce, vive ed educa i propri figli nel rispetto, nella responsabilità, nell’onestà, nella libertà e nell’autenticità. Questi importanti compiti fanno della famiglia un’istituzione sociale fondamentale: al suo interno le nuove generazioni vengono accolte e ricevono le risorse necessarie per diventare adulte e affrontare il mondo. Per questo la famiglia è cellula della società; è un bene che non ha uguali, va protetta ed è da promuovere.
 
11. SE IO E UNA PERSONA DEL MIO STESSO SESSO CI AMIAMO, PERCHÉ NON CI VIENE ACCORDATO IL DIRITTO DI ADOTTARE UN FIGLIO?

Perché per crescere un figlio non basta l’amore. Lo dicono gli studi clinici e le ricerche, ma anche l’esperienza: l’amore è la sorgente, ma da solo non basta. In particolare, una coppia dello stesso sesso, anche se legata da forti sentimenti e dotata di adeguate risorse morali e materiali, non può offrire ad un bambino ciò di cui egli ha bisogno per maturare la sua identità, che è invece un processo di assoluta importanza per il benessere di tutta la persona. Non potendo offrire l’immagine vissuta della complementarietà dei sessi e dei ruoli, resterebbe un profondo vuoto nell’identità del piccolo, una fragilità che si ripercuote su tutta la persona.
 
12. LE DIFFERENZE FRA MASCHI E FEMMINE SONO INNATE O INDOTTE DALLA CULTURA?

La differenza tra maschi e femmine è innata. Esiste in tutte le persone sin dal concepimento a livello genetico, nella caratterizzazione di ogni singola cellula con i geni XX per le femmine e XY per i maschi. Questa fondamentale differenza si esprime poi nelle peculiari caratteristiche fisiche, ormonali e psicologiche proprie del maschio e della femmina. Le differenze biologiche, psicologiche e relazionali tra il maschio e la femmina esistono a prescindere da qualsiasi influenza sociale o ambientale, come dimostrato. Tuttavia è attraverso di esse che assumono una loro particolare espressione all’interno della personalità del soggetto: l’educazione, le interazioni sociali, l’influenza della cultura e della società hanno un ruolo fondamentale nel riconoscimento, nello sviluppo e nella valorizzazione della bellezza, della differenza e della specificità del maschile e del femminile.

- LA MANIF POUR TOUS ITALIA -

 
 
 

COSA SIGNIFICA CRESCERE CON DUE MAMME? STORIA DI ROBERT: "BASTA L'AMORE" DICONO. MA NON E' VERO.

Post n°8967 pubblicato il 13 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

«Mi fa impressione che si debba usare la scienza per dimostrare che un bambino ha bisogno di una mamma e di un papà». Le parole sono dell’americano Robert Oscar Lopez, che lo scorso martedì, ad un incontro organizzato da Fondazione Tempi, Alleanza Cattolica e Obiettivo Chaire ha raccontato il suo dramma. Cresciuto da una madre lesbica e dalla sua compagna, oggi Lopez è docente di letteratura inglese alla California State University. «Mancante». Così si è sentito per trent’anni della sua vita. Dopo anni di silenzio lo ha voluto raccontare a tutti, incominciando dai parlamentari degli Stati Uniti impegnati nella corsa frenetica per la legalizzazione del matrimonio gay.

Professore, cosa le mancò da bambino?

È semplice: un padre. Nel 1973, quando avevo 2 anni, mia madre divorziò e mi crebbe insieme alla sua amante. Ricordo che in classe io ero il più problematico, anche rispetto ai compagni che avevano i genitori separati oppure morti. Sono tutte sofferenze, ma nel caso di un genitore defunto esiste la rievocazione, la memoria: non c’è un adulto che decide deliberatamente di privarti di una figura di riferimento. E mentre i figli di separati conoscevano la differenza fra femminile e maschile, io non sapevo come esprimere la mia natura sessuale. Ero chiuso in me stesso. Ma purtroppo credo che il peggio debba ancora arrivare, perché il culmine della confusione la vivranno i figli di omosessuali nati tramite fecondazione. Questa sarà solo l’ultima conseguenza dell’escalation di disordine e dolore cominciata con il divorzio.

Come reagiva sua madre davanti alle sue difficoltà?

Ero molto bravo a scuola, mi diplomai a pieni voti un anno prima dei miei compagni, poi fui accettato all’università di Yale. Dall’esterno potevo apparire come un figlio modello, ma dentro avevo una ferita enorme che cercavo di alleviare con il sesso. A 13 anni cominciai ad avere rapporti sessuali con maschi adulti, compensando così la mancanza di mio padre. Mia madre lo sapeva, anche perché una volta mi scoprì a letto con un uomo. Ma non mi disse nulla, era troppo impegnata a vivere la relazione con la sua compagna. Era un rapporto possessivo il loro, totalizzante. Non c’era molto spazio per me e non mi sentivo amato. Non ne faccio una colpa a mia madre. So che l’omosessualità è dura da gestire, in questo tipo di relazioni difficilmente c’è posto per altro. Materialmente avevo tutto quello che mi serviva, ma nessuno mi insegnò a vivere.

Negli anni del college ha cominciato a frequentare il mondo Lgbt. Perché lo fece, se era proprio quella la causa del suo disagio?

Quando avevo 19 anni mia madre morì e di colpo mi ritrovai come orfano. Per sopravvivere avevo bisogno di un gruppo di persone che mi accettasse. La “famiglia” Lgbt mi sembrava l’unica in grado di proteggere me stesso dal mondo che non avevo imparato ad affrontare. Il problema è che invece fui vittima del loro bullismo: mi prendevano in giro, premevano affinché dichiarassi la mia omosessualità. Provai a resistere perché le mie tendenze erano bisessuali, ma siccome tutto ciò che esce dagli stereotipi dell’attivismo gay deve essere eliminato, alla fine feci “coming out”. Fu la prima avvisaglia di quella che scoprii essere un’ideologia totalitaria che vuole entrare dappertutto: nelle case, nelle scuole, nei tribunali, nei parlamenti, nei mass media. E per farlo giustifica ogni mezzo, anche l’uso degli stessi omosessuali, esattamente al pari del marxismo che utilizzò gli operai sfruttati per fare la rivoluzione. Gli attivisti gay nascondono gli omosessuali che hanno l’Hiv o che si drogano ed evitano chi assume comportamenti troppo effeminati, isterici o aggressivi. E lo fanno perché vogliono nascondere le prove del fatto che nel loro mondo c’è qualcosa che non va.

Poi avvenne qualcosa che, lei dice, la «guarì».

Alla fine dell’università accadde il primo fatto che mi cambiò la vita: mi diagnosticarono un tumore molto aggressivo e mi ricoverarono d’urgenza per essere operato. Ricordo che non pensai mai di chiamare la donna con cui ero cresciuto, ma telefonai a mio padre. Per la prima volta mi mise davanti ai suoi impegni e corse da me in ospedale. Di getto gli dissi: «Io sono tuo figlio e tu sei mio padre». In quell’istante provai una pace a me sconosciuta. Dopo l’intervento chirurgico mio padre mi portò a casa sua e per la prima volta nella mia vita mi sentii voluto. Cominciai a vivere con lui e fu come se una ferita incancrenita da anni cominciasse a sanarsi e tutta la mia natura maschile involuta a liberarsi. Il secondo fatto che mi cambiò la vita avvenne quando frequentavo il dottorato. Lì incontrai Mimma, quella che nel giro di un anno sarebbe diventata mia moglie. Cominciò a invitarmi a uscire, voleva sempre stare con me. Fu la seconda persona da cui mi sentii amato, a lei andavo bene così, con tutte le mie stranezze. Siamo sposati da 16 anni, abbiamo una figlia di 7 anni e so che senza di lei e senza Dio oggi non sarei qui.

 Cosa c’entra Dio con questa storia?

Sono cresciuto nella tradizione cattolica, ma me ne andai. Mio padre veniva dalle Filippine, mia madre da Porto Rico. Lei era una fervente sostenitrice della Teologia della liberazione. In casa mia sentivo solo discorsi legati alla lotta contro la povertà, per quei cattolici l’unico peccato era l’oppressione dei poveri. Fra loro c’era un prete molto radicale che causò il mio rifiuto per il cattolicesimo. Quando cominciai ad avere rapporti con gli uomini corsi a dirglielo e lui mi rispose che non dovevo giudicarmi, che dovevo continuare a farlo se la cosa mi faceva stare bene e se quegli adulti mi davano in cambio del denaro non dovevo sentirmi in colpa. Quando crebbi mi resi conto che se lui mi avesse fermato, se mi avesse fatto capire che così stavo distruggendo me stesso, che quello era un peccato e che il mio disagio non era normale, forse la mia vita non sarebbe stata un inferno. Trovai conforto e sostegno nella chiesa battista: mi dicevano quello che sentivo dentro, che il peccato fa soffrire, che c’è un bene e un male. Che Dio è buono e ci ama. Lì trovai padri che mi educarono.

Oggi a parlare in questo modo succede di essere accusati di intolleranza, eppure lei dice di amare chi l’ha fatta soffrire. Cosa significa?

I miei nemici sono le lobby, non gli omosessuali. Sono gli attivisti che diffondono l’ideologia gender, quelli che si sono infilati nella testa di mia madre confermandola in ciò che ha fatto. Per amare i nostri nemici bisogna fare come si fa con gli amici: giudicare con amore ciò che fanno. Se un amico si sta cacciando in un pericolo, se sta sbagliando e non lo correggi, sei responsabile anche tu. Il resto è tolleranza e questa ha solo le parvenze del bene; mente l’amore è forte e quindi può apparire duro.

Perché allora ha taciuto per anni?

Quando mi sposai avevo ancora molti amici omosessuali. Cominciarono anche loro a crescere i figli esattamente come ero stato cresciuto io. All’inizio provai ad accettarlo. Ma durò poco: davanti ai miei occhi vedevo ripetere il male che era stato fatto a me. Sebbene sapessi che era sbagliato, mi dicevo che non dovevo giudicare. Ma l’egoismo di queste persone che portavano via i figli dai loro padri o dalle loro madri, divenne insostenibile. Guardavo questi bambini disorientati e col passare del tempo sempre più aggrappati alle ragioni dei loro genitori. Ogni figlio del mondo può ribellarsi, litigare con la mamma e il papà, dire loro che sta male. Ma nelle case omogenitoriali questo non è possibile, perché i bambini devono dimostrare ai genitori e a tutti di essere perfetti e il desiderio che hanno di essere amati li porta a sottomettersi a questo diktat implicito. È per questo che a certe domande ribattono spesso con risposte preconfezionate. Davanti a tutto questo mi decisi a rompere il silenzio. A maggior ragione ora che la questione si è fatta ancor più politica e si comincia a parlare normalmente di “uteri in affitto”. Mi chiedo dove sia quella sinistra che millanta di lottare per i diritti dei piccoli e della donna. Mi pare che a difenderli sia rimasta solo la Chiesa.

Oltre a lei ci sono altre persone che hanno raccontato vicende simili?

Con me hanno cominciato a parlare Rivka Edelman e Dawn Stefanowicz, ma conosco altra gente cresciuta come noi, che ho incontrato e che mi scrive. Molti, una volta usciti di casa provano a ritrovare la loro identità. Mi scrive anche qualche adolescente. Ma per noi c’è poco spazio, si leggono invece studi a favore delle adozioni gay, dove si trovano risposte identiche, che fanno pensare a un lavaggio del cervello: «Io sono come tutti, voglio bene a mia mamma e mio papà». Possibile che non risulti mai che nelle case omogenitoriali ci siano adolescenti con problemi come in qualsiasi altra famiglia “normale”? Per non parlare di quando portano come esempio le performance di qualche bambino brillante a scuola: anche io ero fra i migliori, un prototipo perfetto per la campagna Lgbt.

Lei ha detto di essere «convinto che una famiglia omosessuale non è un ambiente adatto in cui crescere un bambino» e alcune ricerche scientifiche le danno ragione. Invece le posizioni dell’American psychological association (Apa) sembrano più ambigue.

È così. Loren Marks ha studiato le 59 ricerche a favore dell’omogenitorialità citate dall’Apa per sostenere la tesi Lgbt scoprendo che non raggiungono i requisiti per essere considerate scientifiche. Mentre quello di Mark Regnerus, il più ampio (248 figli di omosessuali) e attendibile, perché svolto su adulti usciti di casa, dimostra che chi è stato allevato da due persone dello stesso sesso è dalle 25 alle 40 volte più svantaggiato dei suoi coetanei cresciuti in famiglie normali. I dati dicono che questi bambini hanno un più alto tasso di suicidi, minori possibilità di diplomarsi, un alto tasso di disoccupazione (solo il 26 per cento dei ragazzi cresciuti all’interno delle coppie omosessuali ha un lavoro fisso contro il 60 per cento della media), maggiori probabilità di entrare nel mondo della droga, di contrarre malattie sessualmente trasmissibili e di andare in psicoterapia. Però mi fa impressione che si debba usare la scienza per dimostrare che un bambino ha bisogno di una mamma e di un papà. A volte mi pare di vivere in un mondo in preda a una follia sentimentalista. «Basta l’amore», dicono. Ma un figlio ha bisogno di quello vero, che non è solo affetto: l’amore è accoglienza, dedizione, sacrificio per il bene di un altro.

Lei utilizza spesso il termine “sacrificio” che oggi suona quasi come una parola negativa. Che cosa significa per lei?

Suonerà così, ma chieda a chiunque se non vorrebbe un padre che si sacrifica per lui. Chi le direbbe di no? Soltanto un folle o chi non ha conosciuto padri così. Per me è davvero difficile capire come si possa divorziare, come si possa strappare un figlio dalla propria madre o dal proprio padre senza capire che il bambino è una cosa sola con loro. Non potrei mai rinunciare all’unione profonda del matrimonio per una sbandata sentimentale. Facendolo condannerei me e la mia famiglia a quello che ho vissuto io da piccolo. Capisce a cosa serve il sacrificio?

 - Benedetta Frigerio - Tempi.it -

 
 
 

IL TEMPO DELLA TESTIMONIANZA TRA INSULTI E DERISIONE

Post n°8966 pubblicato il 13 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

La manifestazione delle Sentinelle in Piedi avvenuta ieri pomeriggio a Trento è stata un autentico trionfo. Non tanto per ragioni numeriche (in piazza Duomo si contavano almeno 300 Sentinelle), e neppure per l’imponente contro-manifestazione (gli oppositori sono arrivati in massa radunando di tutto di più, pur di apparire numerosi), avvenuta nelle forme più provocatorie (risolini, insulti, infiltrazioni nella manifestazione, distribuzione di cartelli deliranti). La manifestazione delle Sentinelle in Piedi – che nonostante le innumerevoli provocazioni non ha registrato il minimo scontro, con scorno dei provocatori – è stata un successo perché ha reso evidente a tutti il passaggio epocale in corso.

Non siamo infatti più, neppure in Italia, nel tempo delle parole, dei discorsi e degli confronti dialettici: il Pensiero Unico non ammette più nulla che non sia dialogo apparente: non si è cioè più liberi – non del tutto, almeno – di pensarla come si vuole, ma come solo si può, com’é ancora consentito in attesa di quando si sarà costretti a pensarla come si deve. Siamo così passati in un’altra fase, vale a dire il tempo della testimonianza. Chi ha a cuore non tanto la Fede, bensì la Ragione è chiamato a testimoniarlo. Non a dichiararlo, ma a mostrarlo pubblicamente nella consapevolezza che questo attirerà incomprensione, dissenso ed irrisione.

Le persone che ieri hanno partecipato pacificamente e silenziosamente alla veglia delle Sentinelle in Piedi sono state apostrofate – per il solo fatto di manifestare, esercitando un diritto costituzionale! – come fasciste. Per un assurdo rovesciamento della realtà, fascista non è dunque più chi fa di tutto per impedire all’altro di manifestare («Vi vorrei morti», si è lasciato scappare uno dei “disturbatori”, evidentemente innamorato della democrazia), ma chi manifesta. Non chi vuole imporre agli altri la propria idea, ma chi è reo di avere la propria. Perché il Pensiero Unico di cui tanti, troppi sono inconsapevoli burattini questo vuole: impaurire. Far sentire estrema minoranza la già ristretta minoranza degli àpoti, coloro che non la bevono e seguitano, ostinati, ad usare la Ragione, questa sconosciuta.

Il tempo della testimonianza, dunque. Non un tempo facile; di sicuro, non un tempo conveniente. Un tempo nel quale si paga per quel che si pensa ed il modo per cavarsela è uno: pensarla come tutti. Mi rincuora tuttavia pensare – ed immagino a più qualcuno questo dispiacerà – che raduni come quelli delle Sentinelle in Piedi continueranno. Continueranno perché chi conosce il valore altissimo della testimonianza che è chiamato ad offrire nel momento in cui si difende la libertà di pensiero, non si farà certo intimorire dal prezzo che comporta oggi la coerenza. Continueranno perché “padre” e “madre” non sono parole che appartengono a noi, ma a tutti i bambini, e rubarle a loro sarebbe un crimine. Continueranno perché le battaglie, alla fine, le vince chi resta in piedi.

- giulianoguzzo -

 
 
 

13 APRILE 2014: DOMENICA DELLE PALME, DOMENICA DELLA PASSIONE DEL SIGNORE, INIZIA LA SETTIMANA SANTA

Post n°8965 pubblicato il 13 Aprile 2014 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Con la Domenica delle Palme o più propriamente Domenica della Passione del Signore, inizia la solenne annuale celebrazione della Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la crocifissione, morte e sepoltura e infine la sua Risurrezione.
La Domenica delle Palme giunge quasi a conclusione del lungo periodo quaresimale, iniziato con il Mercoledì delle Ceneri e che per cinque liturgie domenicali, ha preparato la comunità dei cristiani, nella riflessione e penitenza, agli eventi drammatici della Settimana Santa, con la speranza e certezza della successiva Risurrezione di Cristo, vincitore della morte e del peccato, Salvatore del mondo e di ogni singola anima.
I Vangeli narrano che giunto Gesù con i discepoli a Betfage, vicino Gerusalemme (era la sera del sabato), mandò due di loro nel villaggio a prelevare un´asina legata con un puledro e condurli da lui; se qualcuno avesse obiettato, avrebbero dovuto dire che il Signore ne aveva bisogno, ma sarebbero stati rimandati subito.
Dice il Vangelo di Matteo (21, 1-11) che questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria (9, 9) "Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un´asina, con un puledro figlio di bestia da soma".
I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme.
Qui la folla numerosissima, radunata dalle voci dell´arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente rendevano onore a Gesù esclamando "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell´alto dei cieli!".
A questa festa che metteva in grande agitazione la città, partecipavano come in tutte le manifestazioni di gioia di questo mondo, i tanti fanciulli che correvano avanti al piccolo corteo agitando i rami, rispondendo a quanti domandavano "Chi è costui?", "Questi è il profeta Gesù da Nazareth di Galilea".
La maggiore considerazione che si ricava dal testo evangelico, è che Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme, sede del potere civile e religioso in Palestina, acclamato come solo ai re si faceva, a cavalcioni di un´asina.
Bisogna dire che nel Medio Oriente antico e di conseguenza nella Bibbia, la cavalcatura dei re, prettamente guerrieri, era il cavallo, animale nobile e considerato un´arma potente per la guerra, tanto è vero che non c´erano corse di cavalli e non venivano utilizzati nemmeno per i lavori dei campi.
Logicamente anche il Messia, come se lo aspettavano gli ebrei, cioè un liberatore, avrebbe dovuto cavalcare un cavallo, ma Gesù come profetizzato da Zaccaria, sceglie un´asina, animale umile e servizievole, sempre a fianco della gente pacifica e lavoratrice, del resto l´asino è presente nella vita di Gesù sin dalla nascita, nella stalla di Betlemme e nella fuga in Egitto della famigliola in pericolo.
Quindi Gesù risponde a quanti volevano considerarlo un re sul modello di Davide, che egli è un re privo di ogni forma esteriore di potere, armato solo dei segni della pace e del perdono, a partire dalla cavalcatura che non è un cavallo simbolo della forza e del potere sin dai tempi dei faraoni.
La liturgia della Domenica delle Palme, si svolge iniziando da un luogo adatto al di fuori della chiesa; i fedeli vi si radunano e il sacerdote leggendo orazioni ed antifone, procede alla benedizione dei rami di ulivo o di palma, che dopo la lettura di un brano evangelico, vengono distribuiti ai fedeli (possono essere già dati in precedenza, prima della benedizione) , quindi si dà inizio alla processione fin dentro la chiesa.
Qui giunti continua la celebrazione della Messa, che si distingue per la lunga lettura della Passione di Gesù, tratta dai Vangeli di Marco, Luca, Matteo, secondo il ciclico calendario liturgico; il testo della Passione non è lo stesso che si legge nella celebrazione del Venerdì Santo, che è il testo del Vangelo di s. Giovanni.
Il racconto della Passione viene letto alternativamente da tre lettori rappresentanti: il cronista, i personaggi delle vicenda e Cristo stesso. Esso è articolato in quattro parti: l´arresto di Gesù; il processo giudaico; il processo romano; la condanna, l´esecuzione, morte e sepoltura.
Al termine della Messa, i fedeli portano a casa i rametti di ulivo benedetti, conservati quali simbolo di pace, scambiandone parte con parenti ed amici. Si usa in molte regioni, che il capofamiglia utilizzi un rametto, intinto nell´acqua benedetta durante la veglia pasquale, per benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua.
In molte zone d´Italia, con le parti tenere delle grandi foglie di palma, vengono intrecciate piccole e grandi confezioni addobbate, che vengono regalate o scambiate fra i fedeli in segno di pace.
La benedizione delle palme è documentata sin dal VII secolo ed ebbe uno sviluppo di cerimonie e di canti adeguato all´importanza sempre maggiore data alla processione. Questa è testimoniata a Gerusalemme dalla fine del IV secolo e quasi subito fu accolta dalla liturgia della Siria e dell´Egitto.
L´uso di portare nelle proprie case l´ulivo o la palma benedetta ha origine soltanto devozionale, come augurio di pace.
Da venti anni, nella Domenica delle Palme si celebra in tutto il mondo cattolico la `Giornata Mondiale della Gioventù´, il cui culmine si svolge a Roma nella Piazza S. Pietro alla presenza del papa.
 
Autore: - Antonio Borrelli - www.santiebeati. it -

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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