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Il bambino nella valigia

Post n°139 pubblicato il 17 Marzo 2018 da robertocass
 

Ci sono immagini che parlano più di mille parole.
Il bambino che dorme nella valigia racconta bene il dramma dei civili in fuga da Goutha, il grande quartiere alla periferia di Damasco in Siria che da oltre quattro anni viene bombardato dalle forze legate al regime di Bashar Assad.
Il regime sostenuto dalla Russia, Iran e dalle milizie sciite dell'Hezbollah libanese, mira a liquidare definitivamente i gruppi della reistenza islamica che si annidano nelle case, negli scantinati, nei tunnel fortino costruiti negli anni della guera cvile siriana.
Nelle ultime tre settimane di bombardamenti intensi e indiscriminati sulle zone civili si calcola siano morte almeno 1.500 persone, e nella sola giornata di venerdì più di 100.
Ed ora le truppe di Assad, in stretto coordinamento con i comandi russi, stanno permettendo la fuga dei civili tramite alcuni poco sicuri corridoi umanitari.
Nelle ultime ore sono riuscite a fuggire più di 20.000 persone.
Il bambino nella valigia è uno di loro.
La sua famiglia si è mossa di continuo, si è spostata di casa in casa, di cantina in cantina, cercando di sfuggire ai continui assalti.
La valigia è diventata la sua culla.
E una delle meraviglie dell'infanzia è che ci si addormenta dovunque.
Anche in una valigia.
Anche in una guerra.
Una guerra che nessuno vede e che non interessa a nessuno.
Manca l'acqua, il cibo, le medicine.
L'aviazione russa colpisce tutto, anche le cliniche di fortuna e quello che resta degli ospedali.
Alcune centinaia di militanti jihadisti hanno accettato di essere trasferiti a nord, nella zona di Idlib.
Ma tanti altri rimangono, nascosti fra i civili e sono complici di questa strage.
E la battaglia per Goutha continua.
E il dramma dei civili non si ferma.
In sette anni di guerra sono 6 milioni i profughi fuggiti all'estero e altrettanti sono gli sfollati che vagano da città in città.
Non è il primo bambino siriano che ci viene proposto dai media internazionali, ma l'emozione dura poco e per gli europei i migranti sono sempre quelli che bivaccano nelle loro piazze.
Adesso arriva il bambino nella valigia.
Per quanto tempo resterà nei nostri cuori?
E' molto più comodo fingere di non sapere.
E' molto più comodo fare finta di niente tanto dopo una prima commozione, si dimentica subito tutto.
E questa assurda guerra continua e la gente muore.
L'Europa si preoccupa giustamente degli sbarchi ma possibile che nessuno pensi di intervenire per fermare questo genocidio?
Possibile che una guerra giusta verso l'ex Isis oggi Stato Islamico di Al Baghdadi sia diventata oggi la strage di un intero popolo?
Certo l'occidente deve difendersi da questa organizzazione terroristica, potente, ricca e molto pericolosa.
Ma possibile che l'unica soluzione sia quella russa?
Osteggiata dagli americani ma mai fermata.
Milioni di civili muoionio e intere città vengono rase al suolo.
E non si vede una soluzione.

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Commenti al Post:
che41
che41 il 19/03/18 alle 13:30 via WEB
Il bambino nella valigia: immagine simbolo di Ghouta Nell’estate del 2016 la commozione aveva il volto del bambino Omran. Ogni giornale, ogni televisione, ogni sito internet piangeva per quel bambino con il volto insanguinato ed impolverato estratto dai calcinacci della sua casa di Aleppo Est. Nel piangere per quel bimbo ogni commentatore ometteva diligentemente una basilare verità: Aleppo Est non era un’oasi di libertà, ma un piccolo califfato su cui sventolava la bandiera di Jabhat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida. E ci si guardava bene dal ricordare che tutte le foto uscite da quell’angolo di Siria erano attentamente controllate e scelte dagli “agit prop” del gruppo terrorista. Così quando – caduta Aleppo Est – il padre di Omran denunciò i soccorritori del figlio spiegando come l’avessero messo in posa e fotografato invece di curarlo e portarlo all’ospedale sulla vicenda cadde un velo di omertoso e imbarazzato silenzio. La vicenda del bimbo nella valigia è diversa, ma il principio è lo stesso. Quello scatto toccante e commovente viene utilizzato per confondere l’opinione pubblica e riproporre il copione di una guerra alimentata dalla spietata ferocia del “macellaio” Bashar al Assad e del suo alleato Vladimir Putin. È da settimane che le agenzie diffondono in maniera martellante solamente le immagini dei civili di Ghouta, nascondendo scrupolosamente i ribelli che combattono a Ghouta. Due giorni fa, abbiamo raccontato quando il bimbo nella valigia, la sua famiglia e almeno altri 15mila fra bimbi, donne, uomini e anziani hanno deciso di abbandonare il villaggio controllato dalla Legione Rahman e da Tahrir Al Sham, la coalizione di gruppi alqaidisti attivi nella regione di Ghouta. L’hanno fatto perché per la prima volta in sette anni, da tanto dura l’occupazione della regione di Ghouta da parte dei gruppi islamisti, hanno potuto scegliere da che parte stare senza essere minacciati e condizionati dai ribelli. L’hanno fatto perché il governo di Damasco e i russi, dopo settimane di bombardamenti e assalti alle roccaforte ribelli, hanno aperto quel corridoio umanitario offrendo ai civili la possibilità di mettersi in salvo. Dal sobborgo di Damasco, secondo le stime fornite dal rappresentante siriano all’Onu Bashar Jaafari, sarebbero fuggiti “oltre 40mila civili” grazie ai corridoi “aperti dall’esercito siriano in coordinamento con l’alleato russo”. “I civili” – ha proseguito il diplomatico – “sono andati nei centri allestiti dal governo siriano e dalla Mezzaluna rossa arabo-siriana, in rifugi temporanei dotati di tutto il materiale necessario per la loro cura”. Quel bambino – appoggiato in una valigia perché mamma e papà, piegati sotto il peso di altri bagagli e di altri figli da portare in salvo, non hanno un altro posto confortevole in cui trasportarlo – è dunque un’immagine di disperazione, ma anche di speranza. La speranza di un ritorno alla vita, di una fuga da una regione occupata con la forza delle armi e assoggettata all’arbitrio dei gruppi ribelli. Ribelli che – come raccontavano le famiglie in fuga assieme al bimbo nella valigia – sequestravano gli aiuti umanitari, si guardavano bene dal distribuire cibo e soccorsi ai civili e minacciavano di morte chiunque tentasse di abbandonare i territori sotto il loro controllo. Dunque possiamo anche commuoverci per quel bimbo, ma attenzione perché le troppe lacrime rischiano di offuscare la realtà. La realtà di una valigia scomoda e angusta che lo porta, però, verso la salvezza. La realtà di una valigia che lo aiuta a fuggire da dei villaggi trasformati in prigioni, a dire finalmente addio a dei lager a cielo aperto dove lui e la sua famiglia erano solo carne da cannone, scudi umani piegati alla volontà folle e spietata dei gruppi jihadisti.
 
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