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Post n°2243 pubblicato il 08 Marzo 2015 da gratiasalavida

In dispari...

 
 
 

Attese

Post n°2242 pubblicato il 08 Marzo 2015 da gratiasalavida

Sempre così controllata, lei.

Sempre attenta a non farsi cogliere impreparata dagli eventi.

Aveva deciso di festeggiare l'otto Marzo con le amiche, in un lcale da ballo.

C'era andata per ballare, più che per festeggiare, che di festeggiamenti lei non ne vedeva il motivo.

La ricorrenza trae origine da un  evento luttuoso.

Sara non aveva mai compreso chiaramente che cosa ci fosse da festeggiare, con tanto di floreali omaggi maschili, nel commemorare un rogo in cui tante donne, per lo più giovani donne, avevano perso la vita in un modo orribile.

Era andata in quel locale per ballare, più che altro.

E aveva ballato.

Si era regalata una serata piacevole, oon Grazia, Teresa e Mimma, le sue amiche storiche.

Le amiche del Liceo.

Ora non le capitava più tanto spesso di vederle e di trovarsi insieme, come venti anni prima, quasi trenta ann prima, a far nottata discutendo amabilmente gli avvenimenti recenti della vita di ognuna.

Le capitava di rado.

Le capitava di rado di uscire la sera, ormai, giacché non aveva mai preso la patente e si arrangiava con i mezzi pubblii, così come può arrangiarsi con i mezzi pubblici una donna di mezza età, sola e senza accompagnatori di sorta, per di più residente in un quartiere periferico dove scorgere l'arrivo di un autobus alla fermata, di sera, assume l'aspetto di un evento quasi miracoloso.

Le amiche le vedeva di rado, ormai, perché a una certa età, quella età di mezzo che si colloca  dopo la gioventù e prima dell'età pensionabile, è assai difficile che si riesca a ritagliare, nell'arco delle ore diurne, il tempo necessario a oziare con gli amici.

Tassativa l'uscita serale, imposta dal prolungarsi dei tempi riservati al lavoro, dapprima, poi alle esigenze dei figli, a quelle dei nipoti, a quelle dell'animale domestico, a quelle del governo di quel nido di ciarpame di varia fattura chiamata familiarmente "casa".

Dopo ore di sfiancante esercizio fisico e mentale volto all'incastro dei tempi occorrenti alla risoluzione di decine di piccoli e snervanti compiti quotidiani, le ore serali sono le uniche della giornata a consentire talora brevi momenti da riservare allo svago.

Così da anni Grazia, Teresa e Mimma avevano d comune accordo stabilito che le loro uscite sarebbero state relegate ai dopocena, almeno una volta al mese, preferibilmente in area centrale.

Sara si era adeguata, suo malgrado, alla decisione presa a maggioranza.

Ogni volta era felice di rivedere le amiche e allo stesso modo preoccupata dal problema di dover affrontare un'odissea straziante sui mezzi pubblici notturni.

Ne doveva prendere mediamente tre, per arrivare a casa dopo aver trascorso il dopocena con le amiche, e generalmente doveva curare che i tempi di percorrenza del primo e del secondo autobus coincidessero con l'arrivo del terzo, quello che l'avrebbe condotta nel quartiere ulraperiferico ove risiedeva.

Abitualmente trascorreva la prima parte della serata con rilassata amabiltà, che scemava gradualmente all'avvicinarsi dell'ora in cui avrebbe dovuto mettersi in cammino alla ricerca della fermata del primo dei bus che l'avrebbero condotta a casa.

- Ma basta con questa mania di prendere l'autobus!- diceva Grazia- Emancipati. Prendi la patente una buona volta!

- Risolveresti i tuoi problemi con un bel taxi - diceva Teresa con la saggezza di chi non ha mai tentato di prendere un taxi dopo la mezzanotte e non sa che dopo la mezzanotte i taxi sembrano scomparire dalla faccia della terra, inghiottiti dal buio della notte inoltrata o da qualche altro insondabile motivo...

Fatto sta, alle 23.30 in punto Sara salutava le amiche e correva a cercare la fermata del primo autobus. Poi ne scendeva per correre alla fermata del secondio autobus, da cui scendeva con l'apprensione tipica di chi non sa se riuscirà a prendere il terzo autobus notturno.

Quella sera, però, chissà come, chissà perché, Sara aveva perso il proprio abituale rigore nel rispetto dei tempi.

Tutta colpa del ballo.

Le piaceva ballare. Da anni, tuttavia, non si abbandonava al piacere di dimenarsi in una pista al ritmo di una musica scatenata, perché da diversi anni, ormai, si considerava troppo veccha per farlo, troppo fuoriposto in ambienti frequentati da giovani e giovanissimi, troppo controllata dal proprio gendarme interiore per lasciarsi andare a un atto che giudicava ridicolo per una signora della sua età.

Le piaceva ballare, tuttavia.

E le piacque, quella sera, abbandonarsi completamente alla musica, in una sorta di dimenticanza di sé, del peso opprimente della propria senile solitudine, del fardello insostenibile del proprio fallimento esistenziale.

Riuscì a dimenticarsi di tutto, anche del senso dello scorrere inesorabile dei secondi, dei minuti, delle ore.

Fu solo a causa di un banale imprevisto se, all'una del mattino, riuscì a tornare in sé e a ricordare chi era, dove si trovava e che ora fosse.

Fu a causa di un incrocio di tacchi (il suo e quello di una ragazza che le si dimenava accanto) se cadde per terra e in un istante riacquistò il senso del ridicolo che per tutta la serata aveva involontariamente estromesso dalle proprie percezioni.

Cadde rovinosamente a terra e faticò a rialzarsi in fretta, prima che la massa di carne in movimento che incombeva su di lei la calpestasse e la schiacciasse con conseguenze irreparabili.

Una volta in piedi si accorse della lunga smagliatura che guastava la calza nera all'altezza della caviglia, e, quel che è peggio, del tacco della scarpa destra, perso chissà dove nel labirinto di piedi e mani e corpi aggrovigiati che ricopriva la pista da ballo.

Si allontanò dalla folla, rifugiandosi in un bagno ridotto dall'ora tarda a un pietoso stato di trasandatezza.

Si sciacquò la faccia con acqua gelida e, allo scopo di non vedere la propria immagine riflessa, volse il viso da una qualsiasi altra parte che non fosse il grande specchio rettan golare che sovrastava il lavello dell'antibagno.

Lo sguardo, dopo aver vagato  brevemente tra le macerie del bagno, completamente invaso da brandelli di carta igienica strapazzata, incrociò le lancette del quadrante dell'orologio.

Quella vista la fece sobbalzare: erano le due del mattino.

Doveva tornare a casa.

Al tavolo non c'era più traccia delle sue amiche. Probabilmente avevano abbandonato il locale senza riuscire ad avvisare l'amica, che si era persa  nel groviglio dei corpi in movimento sulla pista.

Corse fuori dal locale.

Estrasse lo smatphone dialla borsetta, uscita miracolosamente indenne dallo stato di abbandono in cui sia lei che le amiche l'avevano lasciata, sulla spalliera di una delle sedie del tavolo che avevano prenotato per quella sera.

Compose il numero necessario a prenotare telefonicamente un taxi.

Al segnale di linea libera seguì una musica a tratti interrotta da una voce che la invitava ad attendere il proprio turno.

Lei attese.

Due.

Cinque.

Dieci minuti.

Riprovò a telefonare.

Di nuovo la musica. Di nuovo la voce che la invitava ad attendere.

Di nuovo un'attesa prolungata.

Al quinto tentativo coronato dal fallimento, decise di spostarsi alla fermata del primo degli autobus che avrebbe dovuto prendere e di riprovare nel frattempo a richiamare il taxi.

Miracolosamente riuscì a prendere il mezzo pubblico al volo, nonostante la zoppia prodotta dalla perdita del tacco della scarpa destra.

Si rincuorò, pensando che sarebbe stata altrettanto fortunata con gli altri autobus.

Scese dal primo mezzo dopo circa quindici minuti e corse a prendere il secondo mezzo.

Attese.

Attese.

Attese.

Nel frattempo cercava disperatamente di contattare il servizio dei taxi, ricevendone in cambio sempre le medesime parole dalla medesima voce registrata.

La invitavano ad attendere.

Cominciò a digitare sullo smartphone alla ricerca del servizio che informava sui tempi di attesa dell'autobus desiderato.

Scoprì che a quell'ora del mattino il servizio non foniva alcuna informazione utile, tranne quella che non c'erano dati disponibili.

Attese per circa mezz'ora.

Alle due e quarantacinque, quando un veicolo le si affiancò e il guidatore le chiese quanto prendesse per una prestazione orale, non ebbe il coraggio di rispondere usando le parole rabbiose che avrebbe voluto pronunciare. Si limitò a girare la faccia da un'altra parte fingendo noncuranza e soperando che l'uomo se ne andasse quanto prima.

Si limitò a girarsi da un'altra parte.

Alle tre e venti della notte, dopo aver atteso invano per quarantacinque minuti, dopo aver vanamente cercato di contattare un taxi, o, in alternativa, di avere informazioni sui tempi di attesa del bus, si incamminò a piedi, con un'andatura sbilenca dovuta alla mancanza del tacco della scarpa destra.

Camminò per circa venti minuti, cercando di sostenere un buon ritmo di marcia, nonostante l'evidente fastidio provocato dalla mancanza del tacco.

Nel frattempo le si affiancarono, a distanza di dieci minuti l'una dall'altra, altre due automobili con altrettanti guidatori in cerca di sesso a pagamento.

Rassegnata, lei reagiva a quegli approcci verbali ritirandosi il più possibile nella parte interna del marciapiede, elaborando nel frattempo strategie di possibili fughe in caso di emergenza.

Alle quattro, finalmente, quando meno se lo aspettava, un taxi si allineò al marciapiede che stava percorrendo per consentire ai passeggeri di scendere.

Vi si precipitò dentro, senza neppure chiedere se fosse stato libero.

- E' fortunata, signò. Ancora nun avevo preso n'artra  chiamata.

Si dimenticò di pronunciare una formula di saluto in risposta al tono cordiale con cui il tassita le aveva parlato.

Si limitò a fornre l'indirizzo cui l'avrebbe dovuta accompagnare.

- Ha fatto le ore piccoe, signò? E già. Ieri era l'otto marzo. Pure se ormai so' le quattro del mattino, io glieli faccio lo stesso gli auguri pe' la festa della donna, che le donne so' 'mportanti!

Nulla rispose alle parole del conducente.

Voleva solo tornare a casa e dormire per almeno  un'ora, prima di alzarsi per recarsi al lavoro.

Ripensò all'andamento della serata.

In fondo, pur essendo uscita con le sue amiche, l'aveva trascorsa in perfetta solitudine.

Sola, in mezzo a una folla anonima con cui non aveva altro motivo di condivisione che il ritmo della musica.

Ripensò a come si fosse sentita sola alla fermata dell'autobus e poi lungo la strada che aveva percorso a piedi.

Decise che nel pomeriggio si sarebbe iscritta a un corso di scuola-guida.

E che non avrebbe mai più festeggiato l'otto Marzo in vita sua.

Poiché c'era ben poco da festeggiare.

 

 

 
 
 

NOTA DELL'AUTRICE DEL BLOG

Tutti i testi qui pubblicati

sono esclusivo frutto della mia creatività. Cinzia M.

Tutti i diritti sono riservati.

Ho scorto su You Tube un canale intitolato Rubra Domus.

Non ha a che fare con me, che sono unicamente l'autrice

di questo blog e dei testi che vi sono quotidianamente

inseriti.

Cinzia M.

 

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