Creato da Solo_Vita il 10/08/2006

Angelo Ribelle

La Via Che Conduce All'Inferno E' Lastricata Di Buone Intenzioni? Piacere, Io Sono Il Pavimentatore...

 

 

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Eroi

Post n°210 pubblicato il 04 Agosto 2013 da Solo_Vita

Chi è un eroe?
Te lo sei chiesto spesso in questi ultimi mesi, nelle notti insonni popolate di incubi assurdi e caleidoscopici. Te lo sei chiesto con l'arroganza dei grandi e l'ardore dei bimbi, una combinazione che non permette si lasci spazio all'ignoranza.

Hai rispolverato vecchi libri di filosofia, trattati di storia, brani di narrativa, alla ricerca di elementi che potessero portarti alla risposta. Niente. Solo idee varie e confuse.

Molti affermano che si tratta di qualcuno in grado di compiere atti eccezionali. Altri invece dicono che si tratta semplicemente di atti normali compiuti da persone comuni.
Terzi sostengono che sia solo questione di fortuna, momento storico, congiuntura astrale.

Ma questo non placa la tua sete di sapere. Chi è un eroe?

E pensi alle persone che conosci, alle facce che quotidianamente sfilano come comparse nella tua vita distratta.

Tutti potrebbero essere eroi: il fruttivendolo che si alza ogni mattina alle quattro per portare a casa i soldi necessari all'università del figlio, il medico generico che ascolta ad ogni ambulatorio del mercoledì le medesime lamentele di un'anziana signora rimasta sola, il sacerdote che ogni notte d'inverno a bordo della sua fiat Uno sgangherata porta un piatto caldo e quattro parole di conforto ai senzatetto della stazione.

Perfetto, tutto fila. Ma Lei dove si trova in questo ragionamento? In quale antro si è nascosta?
Tra quale categoria di eroi puoi schierarla? Perchè sei sicuro, lei certamente lo è.

Lei che ti ha donato il suo cuore con tutto quello che c'era dentro. Lei che te lo ha aperto mentre tu, folle, ci davi dei colpetti come si farebbe con una di quelle palle di vetro col paesaggio e la neve dentro.
Provavi stupore, si. Ma quanto dolore creavi? Qual è il prezzo di uno dei tuoi spettacoli?
Lei che ad ogni squarcio di sereno ti offriva l'arcobaleno, tu che invece rimanevi sospeso come un corpuscolo di nebbia in una giornata di novembre, timoroso del sole che avrebbe portato calore, luce  e verità.
Tu, ragazzo confuso che capisce di avere dentro l'amore in ritardo e si purga solo al passare del tempo doloroso. Tempo senza sentire, vedere, parlare.

Tempo fatto di immaginazione, di pensieri un pò rubati ed un pò captati, tempo di parole annotate su un quadernetto sul quale scrivere con una penna colorata, illudendosi di poterlo mostrare fiero un giorno. -Hai visto, che ti dicevo? Sei sempre stata con me- un bacio profondo e senza respiro, un attimo prima di fare dolcemente l'amore.

Un piccolo pensiero preso per Lei ad ogni viaggio, ogni volta una foto che non hai mostrato a nessuno e che attende solo di incontrare i suoi occhi, dialoghi immaginari che la vedono coprotagonista.

Ti ricordi quella volta sull'Empire che hai cominciato a parlare con Lei incurante del vecchio giapponese che avevi accanto? C'è mancato poco che chiamasse la sicurezza ma poi, una volta incrociati i tuoi occhi liquidi, capì subito e ti lasciò sfogare. Non afferrò una parola, ma intese perfettamente il senso complessivo del tuo parlare in maniera così bella che sembrava una via di mezzo tra una poesia ed una preghiera.

Nevicava quella sera sull'ottantaseiesimo piano. In quella babele di genti, con la pancia dei 777 poco sopra la testa, ti sei sentito solo come non era mai successo, consapevole che il bruco non sarebbe mai diventato farfalla soltanto con le proprie forze. Sentisti dentro di te un rumore secco, come di un ramo che si spezza e rimanesti bloccato lì.

Servì del tempo per far tornare le falangi al loro colorito normale, da viola che erano, cosi come anche le labbra. Il vecchio jap ti aveva salvato la vita convicendoti a tornare dentro.

Tempo fatto di tutto e niente, tempo buttato, tempo scivolato come sabbia tra le dita.

Passano i mesi e tu neppure ti accorgi. Rimani appigliato a qualche foto e frase rubata come un naugrafo all'ultima tavola rimasta a galla.

Un brivido.

E' stato così forte che c'è mancato poco che finissi a terra. Una sensazione così intensa e persistente che ancora adesso hai una coperta addosso. Nella fine luglio più calda che si ricordi da decenni.

E' stata questione di un attimo. Succede sempre così.
Se perdi la concentrazione è finita, le regole ormai sono chiare. Ed tu le conosci sin troppo bene.

Ci sono dei pensieri che non sono ammessi. Cassetti dei ricordi che non devono essere aperti, emozioni che non devono mai essere messe a contatto con l'aria, perchè altrimenti il fuoco strozzato dalla carenza di ossigeno torna subito a divampare.
Ti sei distratto e così è successo, di nuovo.

Sbuffa impaziente la moka, neppure fosse una gatta ruffiana in cerca di attenzioni che fa di tutto per attrarre qualche coccola.

La stanza si riempie di odore di caffè, l'aria è buia eppure tutto è chiaro. La mappa mentale della stanza è ormai impressa nella corteccia cerebrale da anni.
Un colpo di reni per alzarsi, una mano che si allunga per spegnere il fornello e mettere fine al sibilo sofferente che ha sostituito il gorgoglìo del liquido bollente e nerissimo.

Un istante dopo eccoti sprofondare nuovamente nel giaciglio improvvisato sulla vecchia poltrona della cucina. Quel rudere di arredamento è lì da talmente tanto tempo che non riesci neppure a ricordare quella stanza senza quel residuato bellico. Mille volte ti sei riproposto di cambiarla, gettarla, ed altrettante hai deciso di posticipare.

Quante emozioni su quel vecchio sofà.

Più in là un album di foto, un quaderno ed una penna colorata. Poi qualche poesia.

"La morte si sconta vivendo", c'è scritto in una pagina. Sorridi amaro. Inizi a pensare che Ungaretti abbia ragione.

Chissà dove sei.

Buona fortuna.

 
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INFERNO, CANTO V, VV. 127-138

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lanciallotto, come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

 

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