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La poesia serve ? Riparliamone ( a breve, nuovamente)

Post n°583 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Vilma63

L’arte è utile? La cultura può cambiare il mondo? La poesia serve?

Partire dagli interrogativi alla maniera di Jaar.

Marinella Polidori

 

“È responsabilità del poeta essere donna tenere d’occhio
il mondo e gridare come Cassandra, ma per essere
ascoltato questa volta.”

Grace Paley

 

Una realtà costellata di battenti chiusi la nostra, come nell’illustrazione di copertina; battenti dietro ai quali si intravedono i mille occhi dell’ostinazione più cieca, del giudizio aprioristico, del pre.giudizio appunto. Atteggiamento mentale non ascrivibile soltanto, come spesso si è portati a pensare, a situazioni culturalmente svantaggiate, arretrate, ma diffuso in larga parte in tutti gli ambienti, tanto che rintracciare sguardi curiosi e coraggiosi è impresa ardua anche nel nostro settore, dove capita che lo sguardo arrivi solo poco più in là della propria formazione, delle frequentazioni, poco più in là di orizzonti amici o amici di amici.

E’ l’atto dell’aprire che darebbe invece inizio al cambiamento, favorendo il contatto con l’esterno e ridimensionando quel microcosmo di certezze che mai abbiamo vagliato […].

L’arte migliore, l’arte che serve, in questo senso è allora quella che favorisce questo tipo di apertura e che partecipa, agendo, a quel faticoso e lento processo che chiamiamo cambiamento culturale, quel processo, appunto, che “cambia il mondo una persona alla volta” come afferma Alfredo Jaar. Proprio in riferimento agli interrogativi che questo artista politico si pone, abbiamo indirizzato le nostra piccola mappatura di buone pratiche, di pratiche artistiche utili, iniziando dalla scelta di una cornice iconografica significativa nella quale inserire altri esempi di arte, vorremmo azzardarci a dire, politica.

L’opera raffigurata in copertina è tratta da “Munnizza”, rielaborazione creativa di un’esperienza vissuta da tre artisti, Licio Esposito, Andrea Satta e Marta dal Prato, in una Cinisi invasa da giovani per il concerto omaggio dei Têtes de Bois nel giorno del trentesimo anniversario dell’omicidio di Peppino Impastato. […]

Questo tipo di arte è indiscutibilmente utile e serve, non ce ne voglia Baudelaire, perché apre al cambiamento, favorisce la diffusione di una cultura in grado di sbrigliare la nostra umanità, di scuoterci dal torpore come direbbe Bachmann, perché alza la voce, “suona un campanello d’allarme” (Vezzali in questo numero), e non ci lascia “parziali” tra la vita e la morte, corresponsabili di un mondo buzzianamente di mezzo.

Ma i poeti, ugualmente, possono qualcosa per mettere alla luce questa dissociazione etica che si è attuata tra il dire ed il fare, per sminuire il valore assolutorio dell’indignazione?

Noi pensiamo di si.

Servono però strumenti e processi utili alla disautomatizzazione della parola, utili a riattivarne la sensitività nella sfera della comunicazione, come ricorda Franco (Bifo) Berardi. La poesia è utile e allora serve, se restituisce la parola alla sua funzione pienamente espressiva, comunicativa, se la libera da quella speculazione “informativa” che l’ha gonfiata a dismisura, se la sottrae a quella bolla semantica che ne ha svalutato l’unico valore reale, il valore di scambio, di comunicazione appunto.

E’ utile quella poesia che non segue i tempi svelti della produzione, che non si “festivizza” nel dopo lavoro, che non si consuma come qualsiasi spettacolo ma che sa progettare a lunga scadenza, un impegno in progress, una poesia che sa riappropriarsi di una funzione sociale, traducendo valori, necessità e denunce, entro un sistema simbolico fàtico, misurabile nella sua efficacia “retorica”,  nella sua capacità di dire “a” e “per” gli altri, restituendo al più forte tra i leganti sociale, la lingua, il suo reale valore d’uso. E’ utile quella poesia che aiuta il rinnovamento dei mezzi di comunicazione e diffusione, che sperimenta strade di scrittura collettiva, editoria autoprodotta, indipendente, coerenti con quella visione antiliberista che i più dichiarano di professare, a parole. […]

Arte “espansa, diffusa”, plurilogica, plurilinguistica, collettiva, fors’anche anonima; poesia che si fa laboratorio creativo partecipato […].

estratto da "Le Voci della Luna" 52 e in rete su Nazione indiana

 

 

 
 
 
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