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Post n°4 pubblicato il 22 Aprile 2015 da socio.sanitario
 
Tag: socio

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INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA

 

 

 

 

Introduzione

 

La parola integrazione ha sempre avuto un forte potere rappresentativo. La sua origine etimologica deriva da ‘intero’, come ‘non toccato’, intatto nella sua unità; allo stesso tempo, lo Zanichelli indica per il verbo integrare il “rendere completo aggiungendo ciò che manca”.

Non è forse questo l’elemento chiave per avere un sistema sociosanitario il più possibile efficace?

In effetti, il concetto di integrazione sociosanitaria è previsto, da almeno un decennio, in tutte le pianificazioni di tipo sanitario e sociale; di fatto, però, resta difficile comprendere davvero le potenzialità e i contenuti che tale espressione porta con sé.

Tentando di dare una definizione il più possibile completa, si può immaginare l’integrazione sociosanitaria come “il coordinamento tra interventi di natura sanitaria e interventi di natura sociale, a fronte di bisogni di salute molteplici e complessi, sulla base di progetti assistenziali personalizzati.

Il raccordo tra politiche sociali e politiche sanitarie consente di dare risposte unitarie all’interno di percorsi assistenziali integrati, con il coinvolgimento e la valorizzazione di tutte le competenze e le risorse, istituzionali e non, presenti sul territorio”.

In altre parole, vi sono diverse situazioni in cui la capacità di raccordare interventi di natura sanitaria con interventi di natura sociale rafforza l’efficacia di entrambi.



L’integrazione sociosanitaria nella normativa vigente

 


È a partire dal Decreto Legislativo n. 229 del 1999 che si inizia dare forza al tema dell’integrazione sociosanitaria e si dà avvio ad una prima definizione delle prestazioni e dei principali attori coinvolti nell’organizzazione e nella gestione di tale forma assistenziale.

Tuttavia, il riferimento normativo fondamentale in merito all’integrazione sociosanitaria è costituito dall’“Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie” (DPCM del 14 febbraio 2001).



(DPCM del 14 febbraio 2001).

Una visione di sistema

 

Il sistema sanitario ed il sistema sociale, pur avendo intrapreso percorsi diversi e sperimentato fasi storiche non sovrapponibili, nascono e si sviluppano all’interno di una medesima prospettiva, vale a dire l’assunzione, da parte dell’intera collettività, della tutela del singolo individuo sancita nella Carta costituzionale e che ha prodotto il perseguimento del cosiddetto welfare.

In effetti, l’organizzazione dell’assistenza sanitaria è divenuta ‘sistema’ nazionale nel 1978 (L. 833), all’interno di una visione della società di stampo solidaristico, ispirata all’art. 32 della Costituzione e strettamente connessa con altri interventi di tutela socioassistenziale, che solo nel 2000 (L. 328) sono confluiti in un vero e proprio ‘sistema’ sociale. Il sistema del welfare attuale, articolato su tre livelli territoriali (Stato, Regioni, Comunità locali), è costituito dai soggetti presenti all’interno della rete (i cosiddetti ‘nodi’).

Sia in ambito sociale che in quello sanitario vengono utilizzati i termini di ‘rete’ e di ‘integrazione’, presenti perché capaci di definire in modo efficace e sintetico alcune caratteristiche di fondo del funzionamento di tali organizzazioni.

Il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 (DPR 23 luglio 1998), richiamandosi alle conclusioni della ‘Commissione nazionale di studio sul tema dell’integrazione sociosanitaria’ (istituita con Decreto del Ministro della Sanità), definisce l’integrazione sociosanitaria quale priorità strategica cui destinare congrue risorse, da definire anche nei Piani regionali, attraverso lo sviluppo di Progetti obiettivo nella aree: materno-infantile, handicap, psichiatria, tossicodipendenze, anziani, lungodegenze.

È all’interno dello stesso Piano che si coglie un nuovo approccio che vede il superamento della visione dicotomica tra servizi sociali, di competenza degli Enti locali, e servizi sanitari, di competenza del Servizio Sanitario Nazionale.


Il riconoscimento della necessità di sviluppare forme di partnership tra Distretti sociosanitari e Comuni comprende il bisogno di potenziare anche i livelli attraverso i quali ha luogo l’integrazione sociosanitaria:


il livello istituzionale, che consente di definire i ‘patti per la salute’ sottoscritti tra i diversi attori;


il livello gestionale, che garantisce l’adozione di modelli organizzativi coerenti, ed


il livello professionale, che permette di armonizzare le competenze dei professionisti chiamati in causa nella realizzazione degli obiettivi di salute comuni.





Già a partire dalle definizioni dei due servizi (intesi come ‘sistemi’), sociale e sanitario, si possono individuare degli elementi comuni.


1.     Il Servizio Sanitario Nazionale è costituito dal “complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio” (L. 833/78, art. 1). 

Per Servizio Sociale si intende, invece, “il complesso delle attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia” (D.Lgs. 112/98, art. 128). La prospettiva comune e la conseguente convergenza verso l’integrazione tra il settore sanitario e quello sociale traspare chiaramente anche da altri elementi che li caratterizzano.


2.     Sia in ambito sanitario che sociale viene posta grande enfasi sulla pianificazione, tanto di livello nazionale, che regionale e locale. Da tempo sono in vigore Piani sanitari e Piani sociali nazionali e regionali.

Sebbene le pianificazioni sanitarie e sociali siano nate distintamente, esistono già, in alcune Regioni, esperienze più o meno consolidate di effettiva pianificazione congiunta (in alcuni casi l’integrazione si ferma infatti al solo titolo del documento!).

Piani sociosanitari possono essere attualmente riscontrati nelle seguenti Regioni: Valle D’Aosta, Piemonte (ancorché in fase di proposta per il periodo 2006-2010), Veneto, Lombardia e Sardegna.

A livello locale, con l’emanazione della L. 328/00 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), è stato istituito (art. 19) il ‘Piano di Zona’ (strumento di programmazione degli interventi e dei servizi sociali da parte degli Enti locali), fortemente ispirato allo stesso principio di ‘intersettorialità’ degli interventi che caratterizza il ‘Programma delle Attività territoriali’, istituito con l’art. 3-quater del D.Lgs. n. 229/99, che rappresenta lo strumento di pianificazione sanitaria locale più capillare sul territorio (all’interno del quale andrebbero programmati i servizi ad elevata integrazione sanitaria).

3. I due sistemi riconoscono inoltre, come presupposto necessario, la garanzia ai cittadini di alcuni diritti essenziali. Prendendo spunto dalla definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sanitari (DPCM 29 novembre 2001), anche il servizio sociale ha infatti ritenuto importante definire i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (detti LIVEAS o LEP), che ad oggi, tuttavia, sono ancora in fase di determinazione da parte del Governo.

Tale impostazione sembra aver suggerito anche alcune importanti soluzioni di ‘ingegneria costituzionale’ all’interno del processo di decentramento. Infatti, l’art. 117 della L.C. n. 3/2001, ha inserito la ‘Tutela della salute’ tra le materie di legislazione concorrente, in cui la potestà legislativa spetta alle Regioni, distinte da quelle di legislazione esclusiva, in cui lo Stato mantiene la piena potestà nel legiferare.

L’area di competenza sociale non è espressamente prevista, ma alcune sue componenti sono di competenza esclusiva dello Stato (immigrazione, previdenza sociale), mentre altre (tutela e sicurezza del lavoro, istruzione) sono citate tra le materie di legislazione concorrente.

Per tutte le materie di legislazione concorrente, in ogni caso, viene riconosciuta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali, cioè dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, che evocano fortemente tanto i LEA quanto i LIVEAS.

Sia i LEA che i LIVEAS rappresentano pertanto la specifica traduzione, per i rispettivi ambiti, delle garanzie del cittadino, cioè dei diritti sociali da questi esigibili.

4. e 5. Tra gli altri elementi che accomunano i due sistemi, è possibile citare l’enfasi riconosciuta all’integrazione gestionale e la forte sottolineatura (maggiore nel sociale), sulla necessità di favorire la partecipazione dei cittadini.

6. Una forte rilevanza viene altresì attribuita al processo di accreditamento, cioè di rispondenza a requisiti strutturali, tecnologici (in particolare per la sanità) ed organizzativi predefiniti, come sistema di garanzie di qualità per i cittadini.

7. Entrambi i sistemi, infine, riconoscono un ruolo strategico allo strumento della valutazione.

A partire da tali premesse, che dimostrano come in effetti il sistema sociale sia stato disegnato, in misura rilevante, sul modello di quello sanitario, risulta evidente l’esigenza (e l’urgenza) di una reale integrazione sociosanitaria, resa ancor più necessaria dall’evoluzione dei bisogni e della domanda sociale, dai cambiamenti istituzionali, così come dai vincoli di sostenibilità economica.




Alcune esperienze regionali

 

In diverse Regioni, l’enfasi sulla globalità e unitarietà degli interventi posta con la L. 833/78 aveva favorito la realizzazione di interventi sociosanitari integrati, in quanto coordinati dallo stesso attore. L’aziendalizzazione avviata con il D.Lgs. 502/92 aveva previsto la possibilità di attivare il meccanismo della ‘delega’ alle USL, da parte dei Comuni, delle prestazioni socioassistenziali.

Per un certo periodo la ‘delega’, comportando un unico gestore di prestazioni, ha in effetti favorito l’integrazione tra gli interventi sanitari e quelli sociali.

Le difficoltà legate alla disponibilità delle risorse, unitamente al nuovo impulso gestionale da parte del settore sociale originato dalla L. 328/00 ha, di fatto, introdotto elementi critici nel perseguimento di una reale integrazione, in buona parte collegati ai problemi di sostenibilità economica.

Molti Enti locali tendono oggi a ritirare la delega per abbracciare nuove forme di coordinamento tra loro: si associano per la programmazione (PdZ); costituiscono coordinamenti istituzionali e ‘uffici di Piano’; si attrezzano per essere interlocutori delle Asl sul terreno programmatorio e gestionale. Insieme alle tante difficoltà, spesso legate alla complessità del sistema più che alla mancanza di volontà, si possono cogliere alcuni segnali incoraggianti. 



Le prospettive attuali

                               

È indubbio che il sistema del welfare ha subito profonde trasformazioni negli ultimi anni; trasformazioni che hanno avuto come loro obiettivo quello di garantirne la sopravvivenza.

Il superamento della ‘configurazione centralistica’ (da welfare state awelfare community) ha portato all’affermarsi dei principi di sussidiarietà (verticale tra istituzioni ed orizzontale tra istituzioni e cittadini), di programmazione negoziata tra i diversi ‘attori’ del sistema e al concetto di integrazione sociosanitaria come risposta obbligata al grande cambiamento della domanda dovuto all’aumento delle condizioni di fragilità nella popolazione, con il conseguente riorientamento del sistema dell’offerta dalle cure sanitarie ospedaliere di tipo acuto e intensivo alle cure territoriali sociosanitarie di natura cronica e continuativa.

Nonostante negli ultimi anni i sistemi sanitario e sociale siano stati abbondantemente connotati dal valore dell’integrazione, continua a prevalere un modello che separa sia la titolarità nell’esercizio delle rispettive funzioni che le competenze finanziarie collegate.

La ricerca dell’equilibrio tra i costi del welfare ed i volumi di risorse disponibili richiede evidentemente l’adozione ed il monitoraggio di strumenti e misure tipicamente gestionali (programmazione per obiettivi e incentivazione dei risultati, budgetizzazione e aziendalizzazione delle unità di offerta, eventuale coinvolgimento dell’utenza alla compartecipazione dei costi) Un aspetto di particolare importanza è quello della mancata definizione, a livello nazionale, dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali che, di fatto, non beneficiano di un concorso di finanziamento dello Stato rapportato ai livelli stessi.

È importante, inoltre, assicurare l’effettiva garanzia, da parte del Servizio Sanitario Nazionale, delle prestazioni relative al settore dell’integrazione sociosanitaria (in cui rientrano tutte quelle indicate nell’allegato 1.C “Area integrazione sociosanitaria” del DPCM 29 novembre 2001); i livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie contengono una componente sanitaria in qualche modo coperta dal fondo sanitario, mentre il peso della componente sociale grava sugli utenti e sui Comuni, per un impegno di spesa stabilito senza averne mai neppure stimato l’ammontare.

Oltre a una doverosa articolazione e definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociosanitarie, sarebbe auspicabile definire modelli organizzativi, strumenti di programmazione, di gestione (compreso il finanziamento) e di valutazione armonizzati a livello regionale, così come immaginare l’istituzione di punti di accesso unificati, a livello territoriale, per le diverse prestazioni.

Un aspetto fortemente qualificante l’integrazione sociosanitaria riguarda la messa a punto di un sistema informativo di natura sociosanitaria, attualmente inesistente a livello nazionale: è infatti evidente come la disponibilità continuativa di informazioni affidabili sul sistema da governare sia elemento fortemente strategico per poter effettuare la programmazione, la gestione e la valutazione dei servizi sociosanitari.

A ben vedere, non è però attualmente possibile prevederne un facile e rapido avvio. Questo a causa di numerosi fattori critici presenti quali, ad esempio, la scarsa attenzione al settore sociale da parte del settore sanitario; il basso livello di standardizzazione degli interventi sociosanitari; il contesto gestionale incerto e turbolento; la carenza di una classificazione delle ‘patologie’ sociali e delle prestazioni ad esse collegate; la mancanza di una sufficiente ‘cultura informativa’, in particolare in ambito sociale; e, infine, la reciproca resistenza degli operatori dei due sistemi a collaborare.

Fortunatamente sono riscontrabili, da parte di alcune Regioni (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna), alcune tendenze a sanare tali difficoltà per intraprendere un percorso di reale condivisione.

Per ‘non’ concludere, la natura estremamente dinamica dei processi culturali, politici e decisionali che condizionano i sistemi analizzati, rende estremamente difficile formulare previsioni sulla loro possibile convergenza e integrazione.

In ogni caso, un rischio da scongiurare è quello di far dipendere i diritti dalle risorse disponibili: un diritto subordinato alle risorse, infatti, è semplicemente un ‘non diritto’.

Purtroppo l’attuale sistema sociosanitario sembra orientarsi sempre più verso questo paradosso.




 



 

 
 
 
 
 

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Un blog di: socio.sanitario
Data di creazione: 13/09/2013
 

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