Due assolti. Pene dimezzate rispetto alle richieste dell'antimafia
SANT’ANTONIO ABATE. Sessantuno anni di carcere e due assoluzioni. È questo in cifre il risultato del processo ad Antonio Esposito e altri dieci imputati ritenuti appartenenti all'omonima cosca dei monti Lattari. A processo per associazione a delinquere di stampo mafioso ed estrosione dinanzi al Gip Capuano del tribunale di Napoli, gli imputati hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato accedendo ad uno sconto di un terzo della pena finale. Le pene inflitte sono state meno gravi rispetto alle richieste della Dda partenopea. L'Antimafia, rappresentata in aula dal pm Pierpaolo Filippelli, aveva invocato la condanna per tutti gli imputati ad un totale di 90 anni di carcere. Otto anni di carcere a Gargiulo, esattamente la metà rispetto alla richiesta dell'accusa. Con lui il ruolo di capoclan è ricoperto da Antonio Esposito ritenuto anche il fondatore della cosca. Collaboratore di giustizia da meno di un anno, “Tonino o’ biondo” è stato condannato a 6 anni di carcere, la stessa pena chiesta dall'accusa. Otto anni di carcere anche per Antonio Somma, alias “votasole”, a fronte dei 14 richiesti, ritenuto il referente di zona del clan per Santa Maria la Carità. Otto anni di carcere, inoltre, per Ernesto Montagna, 2 in meno della richiesta della Dda che lo considera un quadro dell’associazione in cui rivestono un ruolo altrettanto importante sia Ernesto Samà che Vincenzo Bisaccia, entrambi condannati a 6 anni di carcere, la metà rispetto alla richiesta. Condannati anche Giuseppina Todisco, ai cui danni sono stati inflitti 5 anni di carcere, uno in meno della richiesta. Lo stesso per Antonio Gargiulo mentre un anno in più per Gennaro Gargiulo, ai cui danni era stata chiesta la metà della pena. Tre anni di pena ai danni di Antonietta Zincone. Assolti Giuseppe Izzo e Gaetano Malafronte. Accolte in definitiva gran parte delle argomentazioni proposte dal collegio difensivo su tutti la penalista Ambra Somma, vista la riduzione delle pene. Il clan Esposito secondo gli inquirenti avrebbe preso il posto del clan Fontanella nei paesi dei Monti Lattari stabilendo un patto con i vicini D’Alessandro di Castellammare di Stabia. L’elemento fondamentale per il controllo del territorio sarebbe rappresentato dal racket . Vincenzo Sbrizzi - GdN