In una società tanto frenetica, profondamente globalizzata e tecnologicamente sviluppata come la nostra, che senso può avere un discorso sulle risorse umane? Queste ultime che ricchezza possono ancora rappresentare in un mondo che si prepara ad un futuro dominato dalla robotica, dalla cibernetica, dalla conquista dello spazio? Eppure, da diversi anni a questa parte si parla tanto di risorse umane come punto di forza da cui è impossibile prescindere per la crescita di qualsivoglia organizzazione. Perché?
Credo che la risposta a questa domanda risieda solo in una parola: valore.
Ebbene, l’uomo costituisce l’unico vero valore in grado di fare la differenza in ogni settore in cui deciderà di spendersi e di giocarsi. Fare la differenza significa avere la capacità di arrivare laddove altri non pensano di poter arrivare, spingersi oltre i confini noti per scoprire ed esplorare nuove terre ancora sconosciute, desiderare di fare un passo in più nella conoscenza.
Per colmare tale differenza è ancora necessario l’uomo, l'unico valore aggiunto capace di arricchire ed inorgoglire chi avrà la capacità di scommettere e di puntare su di lui.
Chi punterà su di lui? Tutti dovranno puntare sul capitale umano! La risposta può sembrare scontata, ma in realtà non lo è, come si potrà vedere nella lettura di questo lavoro che si articola in due parti, una teorica ed un’altra pratica.
Nella parte teorica si affronterà come, negli ultimi secoli, si sono succeduti, migliorandosi, differenti schemi organizzativi che hanno condotto gli esperti a considerare il capitale umano da mero strumento in seno all’organizzazione a valore aggiunto ed ineludibile per l’organizzazione stessa. Ovviamente, si farà riferimento a qualunque tipo di organizzazione sia del settore privato, ma anche e soprattutto del settore pubblico.
Si sottolinea del settore pubblico perché, come si vedrà nel quinto paragrafo del primo capitolo, è quello che vive con maggiore difficoltà la valorizzazione del capitale umano. Alla luce di questa osservazione, prende vita la seconda parte di questa tesi che sarà dedicata ad una indagine svolta sul Corpo di Polizia Locale del Comune di Castellammare di Stabia, una città difficile della provincia di Napoli. Gli agenti che compongono questa organizzazione sono troppo spesso additati come una delle cause principali del caos in cui si trova a vivere la cittadinanza in quanto incapaci, oltre che svogliati, nel compiere il loro dovere.
L’obiettivo di questa ricerca non consiste nel voler assolvere i Poliziotti Municipali dalle loro presunte responsabilità, ma nella volontà di dimostrare la tesi secondo la quale i componenti di questo ente pubblico, i vigili urbani di Castellammare di Stabia, si trovino a vivere ed operare in una condizione inadeguata allo svolgimento del proprio ruolo.
Dalle interviste effettuate su un campione selezionato sulla base di criteri relativi all’anzianità di servizio ed al genere, è risultato che gli operatori si autopercepiscano come demotivati e, quasi del tutto, rassegnati a poter giocare un ruolo significativo nel loro contesto lavorativo. La demotivazione deriva, soprattutto, dal sentirsi scarsamente stimolati, valorizzati, tutelati ed equipaggiati da parte della loro organizzazione, non tanto dai superiori di grado, quanto dalle autorità politiche comunali. La rassegnazione, invece, proviene dal sentirsi notevolmente screditati e criticati dai destinatari delle loro mansioni. Questi ultimi, ovvero l’utenza costituita principalmente dalla cittadinanza stabiese, stando alle interviste, rappresentano un muro di gomma per gli agenti di Polizia Locale, in quanto ogni azione, sia preventiva sia repressiva, messa in atto nei confronti dei cittadini non è in grado di sortire, se non in ridottissima parte, effetti positivi e, dunque, di modificare atteggiamenti sbagliati e “fuori-legge” anche di bassissimo livello, quali possono essere la sosta vietata o la guida di moto e motorini senza l’uso casco.
L’obiettivo che, invece, “non” si pone questo lavoro è quello di voler gettare fango su una realtà difficile del sud Italia, fin troppo spesso vituperato e diffamato da mass-media e opinione pubblica, oltre che offeso e sfruttato da diversi amministratori politici locali e nazionali. Piuttosto, sarebbe il caso di far luce su questo tipo di situazioni con la volontà di spezzare un circolo vizioso che rischia di generare problemi e problematiche ben più gravi e difficilmente sanabili ai quali si rischia di abituarsi.
In fondo, la demotivazione e la rassegnazione di chi, come i vigili urbani, ha il dovere di “mettere e mantenere le cose a posto”, non costituisce, forse, una sconfitta per tutto il sistema sociale? E se anche il sistema sociale si rassegnasse a questo stato di cose? Dove può condurre la rassegnazione? La meta ideale sarebbe la speranza. Ma quanto appare difficile, invece, l’approdo al fallimento totale delle società?
Scarica la tesi di Vincenzo Meglio