Creato da fabbri.giancarlo il 08/08/2012
Giancarlo Fabbri giornalista freelance

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Messaggi di Marzo 2018

Pino Cacucci presenta a Rastignano il suo nuovo libro “Mujeres”

Post n°1089 pubblicato il 28 Marzo 2018 da fabbri.giancarlo
 

Cacucci 01 Mujeres

Pianoro (Bologna)

Alle 21 di domani, 29 marzo 2018, la Biblioteca “Don Milani”, in piazza Piccinini a Rastignano di Pianoro, chiude la rassegna culturale delle biblioteche comunali di Pianoro “Donne fuori dagli sche(r)mi” con Pino Cacucci che presenta il suo ultimo libro “Mujeres”; romanzo grafico illustrato da Stefano Delli Veneri. Al termine il consueto buffet della buonanotte. Per informazioni: Biblioteca Don Milani, 051.6260675; bibliotecarastignano@comune.pianoro.bo.it.

Nel volume, magistralmente affrescato da Stefano Delli Veneri lo scrittore Pino Cacucci racconta le magnifiche donne ribelli del Messico degli anni venti e trenta facendole rivivere in tutto il loro fascino. Negli anni settanta, davanti al Palacio de Bellas Artes a Città del Messico, una donna anziana vende ai turisti per pochi pesos vecchie foto con nudi di donna. Nel romanzo un giovane poeta la riconosce dagli occhi, di un colore irripetibile: è Nahui Olin. Inizia così, attraverso le parole di Nahui, vecchia e dimenticata, il racconto di un’epoca di straordinaria creatività culturale, in cui furono le donne a essere protagoniste della rivoluzione: la stessa parola “femminismo” nasce in Messico in quel periodo, quando si formano le prime Ligas Feministas. E donne occupano un posto di rilievo nella vita culturale del paese: Antonieta Rivas Mercado; Nellie Campobello; Frida Kahlo; Chavela Vargas; Elvia Carrillo Puerto; Tina Modotti fotografa italiana e Carmen Mondragón, che cambiò il nome in Nahui Olin, pittrice, poetessa, scrittrice, pianista, nonché musa e modella di molti artisti, donna di rara bellezza. “Non ricordateci tristi: ci siamo divertite, nei giorni luminosi. Abbiamo appassionatamente preso a morsi la vita.”

Pino Cacucci, nativo di Alessandria, scrittore, sceneggiatore e traduttore, dopo un’infanzia a Chiavari si trasferì a Bologna nel 1975 per frequentare il Dams. All’inizio degli anni ottanta è vissuto per lunghi periodi sia a Parigi che a Barcellona e in seguito viaggia molto in America Latina e in Messico dove ha abitato a lungo. Ha pubblicato numerosi libri di narrativa e saggistica dove pone in risalto personaggi storici non vincitori, sommersi e nascosti dalla Storia ufficiale.

Stefano Delli Veneri, milanese, affianca l’attività di illustratore e scenografo alla docenza in varie accademie di Belle Arti. Suoi lavori sono stati esposti in diversi paesi ed è membro della Society of Illustrators di New York. Nel 2014 ha illustrato il libro “Pan del Alma, un saggio storico culturale sul culto della morte in Messico, presentato al Museo Frida Kahlo di Città del Messico.

 
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I misteri della Croara, le messe nere nel buio del parco

Post n°1088 pubblicato il 27 Marzo 2018 da fabbri.giancarlo
 

Satana 02 San Lazzaro

San Lazzaro (Bologna)

Visto il mio interesse per il territorio della Croara di San Lazzaro un amico di Facebook mi ha inviato la foto di un cartello stradale che immagino taroccato col fotoritocco ma, voluto o no, con un pizzico di cronaca degli anni scorsi. Qualcuno ricorda il caso dei “Bambini di Satana” che tra il 1996 e il 1997 a Bologna vide coinvolti esponenti di un gruppo satanista con accuse gravissime: stupro, pedofilia; omicidio rituale? Salvo concludersi con l’assoluzione per inesistenza dei reati.

Eppure qualcosa ci fu e probabilmente c’erano anche altri satanisti. Un mattino del luglio 1998 alcuni operai avevano ripreso il lavoro di puntellamento dell’antico oratorio della Madonna dei Boschi, alla Croara di San Lazzaro nel verde del Parco regionale dei Gessi e trovarono all’interno tracce di strani riti. Cinque o sei ceri da cimitero, sullo spoglio altare, strane figure geometriche tracciate sul pavimento col sale, poi cerchi, triangoli e sulle pareti, scritte inneggianti a Satana e il 666, suo numero simbolico tracciate in precedenza. Viste le tracce si ritenne che nella notte precedente si fossero svolti altri lugubri riti di magia nera o messe nere con la partecipazione di diverse persone.

I visitatori notturni erano entrati nell’oratorio forzando la porta ma fortunatamente all’interno del tempietto isolato non furono provocati altri danni, oltre a quelli dovuti al vandalismo sacrilego. Quella notte gli ignoti amanti delle tenebre esoteriche si erano anche sfogati contro un escavatore, a fianco dell’oratorio, sfondando i vetri della cabina. I danni al mezzo da lavoro, e le tracce del festino notturno nel luogo sacro, furono denunciati ai carabinieri dai dirigenti del Parco dei Gessi e da quelli della Bonifica renana, incaricata di eseguire le opere di tutela del piccolo edificio sacro, privato, risalente al XVII secolo.

Sembra poi che non ci sia limite alla stupidità umana. Nel febbraio successivo il guardaparco Massimo Colombari, dipendente del Parco dei Gessi, rinvenne davanti alla porta dell’oratorio la carogna infilzata di un gatto nero. Il micio, in decomposizione, era stato riesumato da una piccola tomba scavata nelle vicinanze e non si capisce se il gioco macabro abbia fatto parte di un altro rito satanico o soltanto di spregio alla chiesetta. I frammenti di selenite posti sulla piccola tomba, con targa “Niki” e la data 24/06/98, non furono purtroppo sufficienti a proteggerlo. Il piccolo oratorio fu poi restaurato, inaugurato nel 2003, e purtroppo di nuovo deturpato, ma soltanto esternamente con scritte inneggianti ad Adolf Hitler e altre non riferibili, almeno per decenza.

Ma tracce di altre messe nere, con ceri e galli sgozzati, furono trovate anche nell’ex cava Iecme-Ghelli, all’interno del Monte Croara, e in particolare in quella che fu la Santa Barbara, la polveriera, dove un tempo venivano custoditi gli esplosivi utilizzati nel lavoro di cava.

 
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Nessuno fa; e nessuno ci fa bella figura, nessuno …

Post n°1087 pubblicato il 26 Marzo 2018 da fabbri.giancarlo
 

A Collage 01 Oche Cam

Pianoro (Bologna)

Sono passati quattro anni dalla fine dei lavori stradali ma il cantiere della rotatoria delle Oche è ancora aperto, infatti almeno così sembra, e nessuno ci fa bella figura, proprio nessuno. Né i residenti della zona indifferenti e forse rassegnati, né le autorità istituzionali che invece dovrebbero eliminare possibili situazioni di rischio e far mantenere il decoro pubblico, e nemmeno il proprietario dell’area chiunque sia.

Nell’agosto del 2014 la rotatoria delle Oche a Rastignano di Pianoro, tra le vie Andrea Costa (Sp 65 “della Futa”), Alcide De Gasperi (ponte delle Oche) e Marzabotto (sottopasso ferrovia “Direttissima”), è stata completata. Nei quasi quattro anni dalla sua apertura al traffico è stato finalmente completato anche il capolinea della linea filoviaria Tper 13/A attesa da alcuni decenni. Infatti la cabina con i servizi igienici per il personale Tper è stata montata soltanto nel febbraio scorso. Ma purtroppo all’angolo sudest tra le vie Marzabotto e Andrea Costa ci sono ancora, stranamente, delle malmesse recinzioni di cantiere e non se ne capiscono i motivi non essendoci cartelli di lavori in corso con le doverose obbligatorie indicazioni di legge: motivazione dei lavori, committente, progettista, direttore dei lavori, eccetera, eccetera.

Da quanto mi è stato detto, anche a livello istituzionale, il suolo che si trova tra la vecchia recinzione e il nuovo cordolo in granito era stato ceduto alla proprietà dell’edificio oggi sede del gruppo Cam Martelli. Proprietà che dovrebbe spostare, a sue spese, l’attuale recinzione al nuovo confine a permuta del suolo espropriato per la realizzazione della nuova fermata degli autobus sul lato est di via Andrea Costa. Ma non si sa se il passaggio di proprietà è stato effettivamente rogitato.

Tra l’altro, come si vede alle foto allegate, se l’attuale recinzione venisse spostata fino al cordolo in granito, si annetterebbe un palo dell’illuminazione stradale pubblica, un palo della segnaletica stradale (di precedenza e di rotatoria), una botola della Telecom (non si sa se attiva o meno) e due piccole botole di cemento. Non è che tali pali debbano trovare un’altra collocazione? Come si pensa di risolvere questa situazione di cantiere non completato che non è certo il fiore all’occhiello nella realizzazione della rotonda e del servizio filoviario?

Non spetta all’uomo della strada o al cronista giudicare o cercare di capire ma di evidenziare lo stato delle cose. Se ci sono accordi scritti, o verbali tra galantuomini (Giacomo Biffi diceva di fidarsi “più della stretta di mano di un galantuomo che della firma di un furbacchione”), devono essere rispettati. E se non c’erano accordi chiari si tratta di una partita nata male, e gestita peggio, da risolvere in un modo o nell’altro per ridare decoro all’area e chiudere il cantiere … delle Oche.

 
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Scomparso Massimo Marchesini, esempio e guida per tante persone

Post n°1086 pubblicato il 23 Marzo 2018 da fabbri.giancarlo
 

Marchesini 08 Massimo

Pianoro (Bologna)

Massimo Marchesini, nato nel 1933 in una famiglia di carrettieri, diplomandosi poi alle Aldini Valeriani, si è spento ieri 22 marzo a Bologna e i funerali si svolgeranno alle 15 di domani sabato 24 marzo nella chiesa di San Bartolomeo di Musiano; a un passo da casa sua.

Con grande dispiacere personale oggi ho ricevuto la notizia della scomparsa di Massimo Marchesini che fino all’ultimo è stato esempio di vita per tante persone, e non solo per i dipendenti e le loro famiglie.

Conobbi per la prima volta Marchesini nel 1960 quando fui assunto come apprendista fresatore alla Costruzioni Automatiche Martelli (Cam) di via Bosi a San Ruffillo. Non avevo rapporti diretti con lui, responsabile del reparto montaggio, ma ne parlavano come di persona esperta e autorevole, come lo erano l’imprenditore Antonio Martelli di cui Massimo Marchesini, mi dissero, fu tra i primi dipendenti assieme a Medardo Lambertini responsabile dei reparti produttivi.

In Cam non ci stetti molto, dopo nemmeno un anno fui infatti promosso e fui anche il primo dipendente della Gm; nuova azienda che Martelli aveva creato a Sesto per affidarla al figlio Guglielmo. Con un altro passo fui tra i primi dipendenti del Centro Automazioni Moderne e capo reparto della fresatura. E dopo poco tempo mi ritrovai con Massimo Marchesini come direttore di stabilimento e ne ammirai la competenza e la serietà. Era un galantuomo d’altri tempi che non aveva mai bisogno di alzare la voce per rimproverare qualcuno. Era autorevole senza essere autoritario e aveva l’antica educazione di non scavalcare le competenze dei responsabili di reparto. Più volte tra un anno scolastico all’altro mi aveva affidato in reparto il figlio Maurizio.

Posso quindi confermare che si faceva apprezzare da tutti tanto che quando nel 1974 uscì dal gruppo Cam Martelli alcuni dei dipendenti lo seguirono nella nuova avventura della 2M che grazie alle sue idee, a quelle del progettista Giuseppe Monti, e del figlio Maurizio (a cui nel 1976 affidò la Generalmac) diventerà con la costituzione della Marchesini Group uno tra i più importanti gruppi industriali italiani nel comparto del packaging. Massimo però aveva in sé la concezione del valore del lavoro ed è stato quasi fino all’ultimo che andava in fabbrica tra i suoi collaboratori a trovare soluzioni ai problemi.

Andai in pensione alla fine del 1992, dopo 32 anni di lavoro sempre nel gruppo Cam Martelli, per dedicarmi al giornalismo. Nel 2015, in occasione di un’intervista a Maurizio Marchesini, colsi l’occasione di salutare Massimo. Mi fecero attraversare vari capannoni e quando mi vide il viso si allargò in un sorriso ed esclamò in dialetto: «Ben, mo cs’a fet que». Ecco, quel sorriso per me fu un bel regalo, e oggi un ricordo.

 
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I misteri della Croara, la frazione ha perso la chiesa … e i gessi

Post n°1085 pubblicato il 19 Marzo 2018 da fabbri.giancarlo
 

AA Collage xx

Dall’alto in senso orario: il cartello incomprensibile, Santa Cecilia della Croara, la collocazione dei vari cartelli, pubblicazioni del Parco dei Gessi

San Lazzaro

Da oltre un anno a San Lazzaro lungo via Croara, tra le vie Santa Rosa e del Pozzo poche decine di metri a valle da Villa Malvasia, è stato posto – e non si capisce il perché – un cartello di località con la scritta “Croara (San Lazzaro di Savena)”. Col nome in chiaro per chi scende dal colle della Croara e barrato in rosso per chi sale da San Lazzaro. Come dire che la frazione Croara inizia, e finisce, a metà del suo vero territorio naturale che va, come conferma il cartello a valle, da via Plabusa (via che esiste solo nella toponomastica comunale) nei pressi della cisterna dell’acquedotto fino al confine col Comune di Pianoro dove la via Croara proseguendo prendendo nome via Ca’ Bianca.

Confine, dove c’è il cartello stradale marrone con scritto “San Lazzaro di Savena” che dovrebbe essere integrato con quello bianco posto invece, assurdamente, due chilometri più a valle. Accanto al confine pianorese c’è infatti il colle della Croara (in antico “Monte dei Corvi”, in latini Mons Corvaria), ai bordi della Valle chiusa dell’Acquafredda, dove a metà dell’Ottocento fu realizzato il Forte Croara come altri, vedi Forte Monte Calvo e Forte Jola, costruiti per difendere Bologna dal ritorno degli austriaci. Col termine “forte” non si devono intendere opere in muratura ma terrapieni e trincee con postazioni di artiglieria.

Il curioso è che il nuovo cartello taglierebbe fuori dal territorio della frazione “Croara” proprio la parte più antica e vera della Corvariae di cui sono accertate, grazie alle protezioni date dalle caverne dell’area, frequentazioni umane dell’Età della pietra. Secondo chi ha posto il nuovo cartello “Croara” tra le ville Accarisi (o Collevati) e Malvasia (o Veronesi), quindi, il monte o colle della Croara e l’ex Abbazia della Croara non fanno parte della Croara nonostante che a monte di quel cartello ce ne siano altri due, uno in via Madonna dei Boschi e uno davanti alla chiesa di Santa Cecilia in una via che ha tanti nomi a seconda delle carte che si consultano. Mentre a valle dell’assurdo cartello mezzano ce ne sono altri due: uno già citato a valle accanto a via Plabusa, e alla cisterna, e il secondo in via San Ruffillo a pochi metri dalla storica Trattoria della Croara e da via Croara.

In concreto quel cartello a valle della vera Croara esclude il territorio più ricco e fascinoso anche dai punti di vista geologico, naturalistico, ambientale, preistorico (il Museo della Preistoria “Luigi Donini” nacque nell’ex abbazia della Croara) e storico. E anche il Parco regionale dei Gessi ne esalta la particolarità delle tante grotte presenti, degli affioramenti gessosi con tante pubblicazioni. Legittimo quindi il cercare di capire se chi ha fatto sistemare quel cartello ai piedi del territorio della Croara conosce la sua storia. Per coerenza, e giustizia storica, dovrebbe farlo smontare e rimontare al confine col Comune di Pianoro accanto al traforato, dimezzato e sinistro, “Monte dei Corvi”.

 
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