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Il Diavolo in Corpo

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Enea e Didone..

Post n°7038 pubblicato il 23 Aprile 2015 da nina.monamour

Enea, prima di raggiungere le coste italiane, approda a Cartagine dove la regina Didone lo accoglie benevolmente. Presento i nostri eroi: Enea è un Pio, un devoto che non rinuncia alle proprie responsabilità, si sente un predestinato, segue il volere degli dei ciecamente  e mette qualsiasi cosa al secondo posto. Lei è una donna forte, una regina, ma è rimasta vedova e fedele alla memoria del marito e giura che non si risposerà più.

Cosa potrà succedere tra i due?

Durante una tempesta si rifugiano nella stessa grotta e si uniscono in amore (per volere degli dei). Ed ecco che la nostra regina, sentendo riaccendere il barlume di un sentimento, ritorna bambina come tutte noi quando la morsa dell’amore ci avvince. Eh si, davanti all’amore siamo tutte uguali. Quindi trascura tutto, si libera da ogni freno per viversi finalmente il nuovo amore.

Ma Giove ricorda ad Enea la sua missione, andare in italia per fondare la stirpe romana. Il troiano predispone la partenza senza avvertire Didone, la quale ne ha comunque il presentimento (tipico femminile) e affronta violentemente l’amato che stava sgattaiolando via senza proferir parola. (Quanto è Pio!)

Invano lo supplica, la sua delusione è bruciante e quando la risposta di Enea non lascia dubbi sul suo proposito di partire, Didone rimprovera se stessa tremendamente, ha perso tutto, la propria credibilità nel frequentare uno straniero, il voto di castità dopo la morte del marito, la fama di buona regina.

Adesso è solo una donna sciagurata che aveva la responsabilità di un popolo e invece si è data a futili passioni.

E’ furiosa, impazzita e il suo amore si trasforma in tragedia, decide infatti di uccidersi su un rogo ferendosi mortalmente con la spada avuta in dono da Enea, nella speranza che lui possa vedere quelle fiamme e la sua morte possa perseguitarlo come una maledizione.

Quando Enea scenderà negli inferi la riconoscerà nella selva dei suicidi, l’eroe cerca invano di giustificarsi, di chiederle perdono ma la regina non risponde, lo ignora e va a raggiungere l’ombra del defunto marito.

Non lo ha perdonato, lo ama/odia ancora ed è ancora straziata pur essendo nel regno dei morti, senza pace e senza perdono..per l’eternità.

Non lo ha perdonato perché in primis non ha assolto se stessa e la propria vulnerabilità. Si può condonare chi ci ha ferito profondamente? Difficile ma non impossibile! Prima di tutto impariamo a graziare noi stessi e a non avere rimpianti, dopotutto abbiamo amato.

Didone continua a disprezzarsi, a star male per essere stata così ingenua da concedere allo straniero le sue grazie. Si, il suo amore è stato denigrato e non corrisposto. Ma se fosse riuscita a perdonarsi? Ad accettare le sue debolezze?

Sicuramente avrebbe trovato la pace e forse non avrebbe compiuto quell’insano gesto.

Se vogliamo la nostra pace perdoniamo le nostre fragilità, siamo umani, sbagliamo sempre e non dobbiamo temere di essere vulnerabili. Provare rabbia, dolore, senso di colpa, sofferenza, ci porta alla pazzia, alla distruzione.

Il perdono invece “libera l’anima e cancella la paura”.

Cito un passo di questo grande poema..

'Ma chi potrebbe ingannare una donna che ama? Presentì la regina l’inganno e dei prossimi eventi S’accorse, lei timorosa d’ogni cosa sicura'. Finalmente affronta lei per prima il troiano: - Hai perfino sperato, o perfido, tu di potermi Nascondere tanto delitto? Di potertene andare in silenzio, così, da questa mia terra? Non l’amor nostro né il nostro patto d’un tempo né ti trattiene Didone che morrà crudelmente?

Tu fuggi Dunque da me? Per queste mie lacrime, per la tua destra – non altro ho serbato a me stessa – per l’amor nostro, per le nozze già cominciate, se bene di te meritai, se mai tu ricevesti alcuna dolcezza da me, ti prego, abbi pietà della casa che crolla, deponi questo pensiero, se a preghiere è aperto ancora il tuo animo! Per te le genti di Libia, per te m’hanno odiato I re dei Numidi e i Titi mi furon avversi; sempre per te il mio pudore e la fama d’un tempo, per cui sola andavo alle stelle, scomparvero. A chi mi abbandoni morente, ospite? Mi resta ormai Questo nome soltanto a chiamarti, di sposo che m’eri.

Se almeno un figliuolo mi fosse Avanti la fuga nato da te, se un piccolo Enea Mi scherzasse dintorno per queste mie sale, non delusa forse del tutto, non ingannata mi sentirei né abbandonata del tutto da te'. A Didone che smania come una Baccante e che tenta di convincere l’amato prima con parole aspre e poi con preghiere accorate, l’eroe non sa rispondere che con parole di riconoscenza e di ringraziamento, ma protestando allo stesso tempo il suo dovere di partire perché così ordinano i fati: 'Non turbare te stessa e me col pianto: / io non cerco l’Italia per mia volontà'..ecc..ecc..

Italiam non sponte sequor!


Mandela

 

 
 
 
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