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Messaggi del 04/08/2015

Risvegliarsi con un sogno di meno...

Post n°7166 pubblicato il 04 Agosto 2015 da nina.monamour

Due tossicologi forensi e una criminologa rileggono in un libro documenti e fatti di quel 5 agosto 1962. Conclusione? Non fu omicidio, e la sospettata numero uno è la cameriera.

Quando alle 4.30 di mattina il sergente Jack Clemmons entra nella casa di Marilyn Monroe, al 12305 di Fifth Helena Drive a Los Angeles,


trova, in camera da letto, il corpo esanime della diva e un flacone vuoto di Nembutal (nome commerciale del pentobarbital). Marilyn è distesa a faccia in giù con le braccia lungo i fianchi e le gambe in linea retta.
Ed è un'anomalia perchè nelle morti per overdose di sonnifero in genere si verificano convulsioni che lasciano i corpi in posizioni scomposte.

Norma Jeane (Marylín Monroe)  Parte 6

La governante, Eunice Murray, riferisce ai poliziotti di aver notato verso la mezzanotte che la Monroe si era chiusa a chiave in camera e, non ricevendo nessuna risposta da lei, aveva chiamato lo Psicanalista dell'attrice, il dottor Greenson.

Greenson si era introdotto nella camera sfondando un vetro, ma non aveva potuto far altro che constatare il decesso. Mentre interrogava Greenson, il sergente Clemmons notò un'altra anomalia, Eunice Murray, che curiosamente aveva già fatto riparare il vetro, continuava a pulire con scrupolo l'abitazione, con lavatrice e asciugabiancheria in funzione.


Un alone di mistero avvolge così da sempre la morte di Marilyn. Adesso, a riesaminare il caso è il saggio L'enigma della morte di Marilyn Monroe (Le Lettere) scritto da tre italiani, Francesco Mari ed Elisabetta Bertol, Docenti di Tossicologia forense all'Università di Firenze, e Barbara Gualco, Docente di Criminologia nella stessa università.

Mari e Bertol nel 2001 scoprirono che Pietro Pacciani, pochi giorni prima di morire, aveva preso un farmaco per lui controindicato e si sono già applicati a casi del passato, nel 2006 hanno risolto il giallo della morte quasi contemporanea di Francesco I de' Medici e della consorte Bianca Cappello stabilendo in via definitiva che erano stati avvelenati.

Inviduarono infatti tracce di arsenico in frammenti di fegato vecchi di quattro secoli. Nella ricostruzione del caso Marilyn Monroe applicano la loro perizia ai documenti, alle testimonianze e alle teorie di biografi acuti come Donald Spoto (Marilyn Monroe: the biography, 1993).


"Tra tante cose poco chiare, emerge cristallina la volontà del coroner, Theodore Curphey, di chiudere il caso in fretta, con una diagnosi di "probabile suicidio" molto discutibile". Anzitutto, come mai nella stanza e nel bagno non si trovò il bicchiere, o la tazzina, che necessariamente la Monroe avrebbe dovuto utilizzare per ingerire quelle capsule?

E perché queste capsule non furono rintracciate nel contenuto gastrico?. Dell'autopsia si occupò Thomas Noguchi, vicecoroner dello staff di Curphey, il quale scoprì con sconcerto, la mattina del 5 agosto, che il corpo della Monroe non era all'obitorio, come la legge richiedeva nel caso di morti poco chiare, ma presso una ditta di onoranze funebri, che stava già iniziando a prepararlo.


Comunque Noguchi nello stomaco non trovò niente di significativo, eppure 47 capsule di Nembutal, tante ne avrebbe dovute ingerire per giustificare i livelli della sostanza nel sangue e nel fegato, pari a tre volte la dose letale, hanno la loro consistenza, sono colorate di un giallo intenso, e almeno un piccolo residuo sarebbe dovuto restare. Nella nostra esperienza, nei casi di suicidi con barbiturici, c'è sempre un residuo gastrico notevole, perché quando sopravviene la morte, blocca l'assorbimento di queste sostanze.

Invece Noguchi trovò solo 20 millilitri di materiale mucoso, privo di residui, l'analisi venne fatta con il microscopio a luce polarizzata, strumento che si usa ancora e consente di individuare tracce anche minime dei cristalli che caratterizzano molecole come quella del pentobarbital".

Un altro dato contrasta con l'ipotesi del suicidio: "Come ha fatto Marilyn ad assumere 47 capsule di Nembutal, se quel giorno, come risulta dalle prescrizioni mediche, doveva averne a disposizione solo 25?" osserva Elisabetta Bertol. Anche alla luce dell'analisi psicologica, l'ipotesi del suicidio fa acqua: "Il giorno prima di morire Marilyn parlò con la nipote di Joe DiMaggio del loro accordo per risposarsi l'8 agosto.


Inoltre, se avesse scelto di farla finita, con ogni probabilità avrebbe aggiornato il testamento, quello ritrovato, vecchio di 18 mesi, non prevedeva disposizioni a favore di Greenson, che invece ormai era diventato una presenza fondamentale per il suo equilibrio psichico" osserva Barbara Gualco.

Forti dubbi sul suicidio furono del resto espressi proprio dalle persone più coinvolte nelle indagini, il Procuratore John Miner nel suo rapporto scrisse che non si trattava di suicidio (per poi correggere aggiungendo a "suicidio" l'aggettivo "intenzionale") e il Tossicologo Lionel Grandison firmò il certificato di morte con l'indicazione di suicidio ma rivelò di esservi stato costretto da Curphey, e che la sua vera ipotesi sulla morte di Marilyn era quella di un'iniezione letale.

Un pò diversa è la conclusione dei tossicologi italiani: "La concentrazione di barbiturico nel sangue, 4,5 milligrammi su 100 millilitri, in confronto a quanto riscontrato in altri casi di suicidio, è così elevata da rendere quasi impossibile l'ipotesi che la Monroe abbia assunto per via orale un quantitativo del genere.

Ma nell'autopsia


non si è trovata alcuna traccia di iniezione, mentre si è riscontrata invece una zona infiammata nel colon retto e questo può indicare che l'assorbimento massivo del veleno sia avvenuto lì" spiega Francesco Mari.

Ecco perché possiamo sottolineare la validità scientifica dell'ipotesti contenuta nella biografia di Spoto e cioè che la somministrazione sia avvenuta via clistere. Pratica che per Marilyn, al netto del veleno, era un'abitudine, per la quale la assisteva la governante.

Fu dunque la Murray a somministrare la dose fatale? E avrebbe agito di sua iniziativa o per conto di qualcuno? Qui le cose si fanno più ingarbugliate, da un lato è noto che la governante covava risentimento per Marilyn, che stava per licenziarla.
Dall'altro si sa che Marilyn aveva minacciato Robert Kennedy,


l'amante che l'aveva lasciata per non compromettere la vita familiare, di convocare una conferenza stampa con rivelazioni clamorose per lunedì 6 agosto se lui non fosse andato a trovarla nel week-end.

Il 3 agosto risultano diverse chiamate senza risposta della Monroe all'hotel dove si trovava Kennedy. E proprio lui fu fermato dalla polizia di Los Angeles per eccesso di velocità a pochi chilometri dalla casa della Monroe, intorno alle 24 di quella notte in cui l'umanità si addormentò per risvegliarsi con un sogno di meno.


fonte ilmiolibro.kataweb.it/booknews

 
 
 

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