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DenseSoul

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KENSHI DAITO

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Post N° 86

Post n°86 pubblicato il 08 Ottobre 2007 da siddhal

"Quello che conta nel nostro esistere è stabilire un contatto. Perché una vita senza amore è come un uccello con le ali spezzate"

Sei più piccola di me. Non di molto, in effetti, solo qualche mese, ma è con la tenerezza della maggiore che ti ho sempre rivolto i miei pensieri. Eppure, sei grande, anzi, immensa, nel tuo modo di esistere. Ti conosco da sempre e da sempre ti amo, perché tua madre e mia madre erano sorelle e perché, tu ed io, siamo cresciute come se lo fossimo. Sei una delle persone più importanti della mia vita, una delle poche con le quali sia riuscita a stabilire un contatto profondo, intimo, indissolubile, nonostante me stessa e i miei ristretti confini emotivi.

Ci siamo riviste ieri, non accadeva da tempo. Al solito, con naturalezza, abbiamo ripreso discorsi interrotti da mesi, così, come se il periodo intercorso non fosse stata che una pausa durata il tempo di un respiro. Con la dolcezza e la pazienza che ti caratterizzano, mi hai costretta a riflettere, e a ricordare qualcosa che colpevolmente avevo rimosso.

Tre anni fa, in un soleggiato e flemmatico pomeriggio di maggio, mia sorella è venuta a trovarmi per darmi personalmente una terribile notizia.

Elena ha il cancro...

Rievocare quel momento, il terrore che provai, mi ha fatto venire ancora la pelle d’oca. Ma non solo...E’ emersa anche tutta la mia vergogna.

Ho abbassato lo sguardo. Ma tu mi hai preso la mano e mi hai detto che ne avevamo bisogno entrambe.

E io te lo devo, Elena...

Così, va bene, al diavolo! Apriamo questo forziere. Ormai, è stato dissotterrato e, su questa spiaggia, continuerò ad arenarmi se non lo svuoterò per riprendere il largo senza zavorra.

Quel pomeriggio, come tante altre volte nella vita, la mia prima reazione fu di mettermi a correre. Non verso di te, però. Al contrario, correvo come una furia nella direzione opposta, sulla via della fuga. Non ti chiamai, non chiamai nessuno, non ne volli più sapere per dieci, lunghi giorni. Mi lasciai andare completamente al dolore e alla paura di perderti, facendomi fagogitare da quella ignobile e gigantesca codardia che, nella mia mente, segnava il tuo destino prima che fosse realmente il destino a segnare te. E’ terribile, ma per me eri già morta.

Mi chiamasti tu. Tu mi consolasti. Tu mi incorraggiasti. Tu mi aiutasti a venire fuori dal quel vortice depressivo che mi stava umanamente rimpicciolendo, annullando. E intanto, senza di me, combattevi la tua guerra. E, giorno dopo giorno, la vincevi.

Incapace di fare altro, dipinsi una tela: farfalle. Quando cominciai i toni erano scuri, freddi, le pennellate piatte, saettanti. Ma, mentre il tempo passava e tu combattevi, curando anche la mia speranza inducendola a levitare, lentamente, saldamente, la mia tela cambiò. Le pennellate si fecero dense e morbide, le sfumature schiarirono fino a diventare colpi di luce e poi fasci e poi campi interi di esplosioni luminose.

Il piccolo quadro - incorniciato con i rami raccolti qui, sulle rive del mio lago - che ora è sopra il tuo letto, è diventato infine un volo leggero e colorato. Un volo a cui tu, non io, hai tolto peso, e sempre tu, non io, hai donato colore.

Quando ti ho chiesto dove trovassi il coraggio, la forza, la fede, l’impegno, mi hai risposto candidamente che li compri al supermercato, quello dell’ Universo che ascolta e risponde. Al mattino, subito dopo aver aperto gli occhi, subito prima di alzarti e cominciare la giornata, vai a chiedere duecento grammi di sorrisi, trecento di costanza, mezzo chilo di fiducia, un sacchetto di quella fortuna che ti serve per finire in tempo il tuo lavoro, una sporta di quella pazienza che ti manca...Oh, dolcissima Elena ...

Quando mi comunicasti che era vero e inconfutabile, eri guarita!,ti strinsi fino a farti male e ti promisi che mai, per nessuna ragione, mi sarei più allontanata da te.

Non è stato così...

La mia vita è sempre stata più forte di me, ha sempre avuto il malefico potere di rapirmi, ingoiarmi, imbambolarmi, distogliermi dalla salvifica intenzione di chiedermi sistematicamente Sto vivendo bene? Sto vivendo per quello che conta davvero? Sto vivendo...in fondo?

Stabilire un contatto è l’unica cosa che abbia davvero un senso nell’atto dovuto di vivere la nostra esistenza. Si. Anzi, è l’unico atto che possa salvarci da un intollerante ed implosivo egocentrismo. Un pericolosissimo egocentrismo. Ma è mantenere vivo e fertile, quel contatto, ciò che conta davvero.

E io, non ne sono capace. Non ne sono mai stata capace. Non so coltivare, non so rallentare, osservare, curare, non sono capace di stare lì, serenamente, in coda, nel tuo fantastico supermarmercato cosmico, a decidere cosa mi serve di più, o cosa posso chiedere per qualcun altro, magari qualcuno che amo da impazzire e ha bisogno di me.

Vivo così, confusamente, faticosamente, da sempre, annaspando fra moti di gioia e strappi dolorosi. E riscoprendomi, sempre, deludentemente, come quella che non mantiene le promesse.

A mia madre, a Elena, a Laura,e...a più di un paio di altre persone.

 

 
 
 
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