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La Carta di Milano e la retorica scientifica di Expo - Pier Paolo Pasolini risponde

Post n°53 pubblicato il 02 Maggio 2015 da yululunga
Foto di yululunga

I carvelloni scientifici che hanno redatto per noi tutti e per il nostro futuro la cosidetta carta di Milano, la foglia di fico della Grande Esposizione Internazionale che per la prima volta nella sua storia commerciale ha (appunto), attraverso loro, voluto darci una'immagine etica e un obbiettivo che fa un po a cazzotti con certi partecipanti. Ma tanto chissenefrega, l'esposizione è grande e chisseneaccorge. L' obbiettivo immaginifico di questa EXPOsition è :

Sfamare il Pianeta !

Ora su quale sia la parte del pianeta che verrà sfamata veramente (Renzi ci spera, cioè spera che la maggior visibilità delle industrie italiane rappresentate si traduca in un boomerang occupazionale che renda meno inutile il job act nella sua inutilità ineluttabile) è sin troppo semplice ironizzare e rispondere, quello che mi premeva analizzare molto umilmente erano invece i dati sullo spreco che questi cervelloni scientifici che hanno progettato l'evento, sviscerano con dovizia di particolari.

Per esempio sembrerebbe che ognuno di noi butta nella spazzatura qualcosa come 108 kg di cibo commestibile ogni anno !!! Cioè vale a dire che ogni giorno ciascuno di noi butta nella monnezza l'equivalente in etti (udite , udite), di una molto generosa bistecca fiorentina (come quelle della Leopolda ?). Questi scienziati eminenti ci dicono anche e addirittura che noi singles e compagnia bella (le Famiglie) siamo quelli che sperperano piu cibo col 42% del totale degli sprechi alimentari. Quindi non la GDO, non gli agricoltori che preferiscono macerare la produzione piuttosto che svenderla alle industrie di trasformazione (e bene fanno), non queste ultime , le bastarde aziende di trasformazione, non le mense e gli esercizi commerciali. Ma invece VOI nella VOSTRA cucina !!!

D'altra parte il pianeta si sfama anche colle stupidate e la retorica. Chissa se tra dieci anni qualcuno si ricorderà dei buoni propositi della Carta di Milano... mah. Speriamo almeno nella Monsanto  lei certo ha la ricetta per sfamare il pianeta facendo avanzare anche qualcosa per i biocombustibili !

Buon EXPO a tutti allora !

Quello che segue e un bel brano sulla fame vera dei deportati dalle città bombardate nel primo dopoguerra. Un pezzo romanticissimo da "Mamma Roma" del grande Pier Paolo Pasolini. Buona lettura a tutti.

roberto.

Panza piena nun crede ar diggiuno...G.G.Belli

 

 .......C'era puzzo di stabbio e di paglia al macero, e un gran profumo di finocchi, che si vedevano distendersi come una nuvola verde, con in mezzo la cappuccina, oltre la ramata, tutta scassata, tra gli squarci della siepe di cannacce fradice che la costeggiava.

"Namo de qqua," fece con una faccia da lupo mannaro il vecchio, andandosene ingobbito a passi felpati più giù, dove finiva la ramata, tutta contorta e cominciava una parata d'assi fradice e disuguali, fino a che arrivarono davanti alla scalarola: tra questa e la parata, c'era una specie di passaggio, un buco, coperto con degli zeppi spinosi e un pò di canne.

il vecchio cominciò a rasparci intorno per allargarlo, in ginocchio sulla lingua di cane, la porcacchia, la malva e i bietoni del fossatello, tutti zuppi di guazza. Attraverso quel buco s'infilarono nell'orto.

La luce della luna lo investiva tutto, grande com'era, che non ci si vedevano i recinti dall'altra parte.

La luna era ormai alta nel cielo, s'era rimpicciolita e pareva non volesse più aver che fare col mondo, tutta assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di là.

Al mondo, pareva che ormai mostrasse solo il sedere; e, da quel sederino d'argento, pioveva giù una luce grandiosa, che invadeva tutto.

Brilluccicava, in fondo all'orto, sulle persiche, i salici, i petti d'angelo, le cerase, i sambuchi, che spuntavano qua e là in ciuffi duri come il ferro battutto, contorti e leggeri nel polverone bianco. Poi scendeva radendo a far sprizzare di luce, o a patinarlo di lucore, il piano dell'orto: con le facciatelle curve di bieta o cappuccina metà in luce e metà in ombra, e gli appezzamenti gialli della lattughella e quelli verde oro dei porri e della riccetta.

E qua e là i mucchi di paglia, gli attrezzi abbandonati dai burini, nel più pittoresco disordine, che tanto la terra faceva da sola, senza doversi tanto rompere il cazzo a lavorarla.

Ma il vecchio aveva allumato i cavoli fiori, e soltanto quelli. Seguito dai due soci, senza perdere tempo, attraversò il solco, e si cacciò giù per la spranga, ch'era come un viottoletto con un dito d'acqua in mezzo all'appezzamento di cavoli fiori, e da dove a sinistra e a destra partivano gli scrimoli , acquitrinosi pure loro, dividendo l'appezzamento in tanti riquadri.

Su questi s'allineavano, grossi come pavoni, i cavoli fiori in filari di quattro o cinque metri.

"Daje," fece il vecchio, che già teneva aperto in mano il coltello. E, cacciandosi dentro per uno scrimolo, si immerse tra i filari dei cavoli fiori che gli arrivavano fino alla cintola, e cominciò a farli fuori a colpi di coltello. Li tagliava e li cacciava dentro il sacco incarcandoli con le mani e coi piedi. I due complici, restati più in dietro in osservazione , si guardarono in faccia e sbottarono a ridere, sempre più forte, fino a che le loro sghignazzate si sarebbero sentite al Quadraro.

"Stàteve zitti, aòh," fece il vecchio affacciandosi impensierito tra le cimette turchine dei cavoli fiori.

Quelli dopo un pò, passato il primo entusiasmo, s'azzittarono: poi piano piano si decisero a far qualcosa, e strapparono un pò di cavoli peruno, senza muoversi dalla spranga, escegliendo i primi che gli capitavano sottomano.

Infilarono il loro bottino, strappato dalla terra grassa con la cimetta, il torso e tutto, dentro il sacco del neno (trad.:vecchio), schiacciando e mezzo rovesciando il carico e prendendolo a calci. "Fate piano," si raccomandava il vecchio.

Ma quelli senza filarlo si divertivano a far stare dentro il sacco più cavoli che potevano, facendosi due risate.

Ma finalmente il vecchio si riprese il sacco, se l'incollò e partì a zig zag sotto il peso verso il buco. Il Lenzetta però fece tranquillo tranquillo:" Aòh a mori, aspettate un momento che c'ho da fà un bisogno" , e senza aspettar risposta si slacciò la cinta, si calò i calzoni e si mise spensieratamente a compiere il lavoro di sgancio sull'erbetta bagnata.

Pure il Riccetto e sor Antonio, stando così le cose, l'imitarono, e si misero tutti tre in fila sul solco, coi sederi alla luce della luna. Il Lenzetta adempiendo la bisogna, si mise a cantare. Il vecchio allora lo guardò di sguincio, accucciato come stava accosto al suo sacco pieno, e tutto preoccupato fece: "A coso, ce lo sai che mi' nipote per un cavolo, ma uno de numero, s'è fatto sei mesi de priggione ? Che, ce voi fa carcerà tutti quanti ?"

Il Lenzetta a quelle parole assennate s'azzittò. "A sor maè," fece allora il Riccetto approfittando di quel momento confidenziale, mentre che il Lenzetta già si stava tirando su i calzoni, " che è fidanzata vostra fija ?" Al Lenzetta scappò da ridere. mettendo la scusa che rideva per la puzza e stringendosi il naso; il vecchio, inghiottendo paragulo la parte da micco che le circostanze lo costringevano a fare, rispose affabile: "None, nun è fidanzata".

Come furono sulla strada, i due fiji de na mignotta non vollero, capirai, che il vecchio facesse lui la fatica, e s'offrirono loro a tutti i costi d'incollarsi il sacco pieno. Lo portarono un pò peruno sulle spalle, mostrandosi tutti allegri e indifferenti, e facendo una gran moina, mentre camminavano tutti sderenati e bestemmiando dentro di sè per lo sforzo che gli toccava fare, dietro al sor Antonio.

Quando ch'ebbero lasciato alle spalle, passo passo, Porta Furba e si furono bene internati in mezzo ad una Shanghai di orticelli, strade, reti metalliche, villaggetti di tuguri, spiazzi, cantieri, gruppi di palazzoni, marane, e quasi erano arrivati alla Borgata degli Angeli, che si trova tra Tor Pignattara e il Quadraro, il vecchio fece con contegno di persona compita e di mondo: "Perchè nun salite su casa ?" "Grazie, come no," risposero i due scagnozzi tutti sudati, e dentro di loro pensavano: "Ce mancava mo' che nun c'invitasse a salì, sto froscìo!". La Borgata degli Angeli era tutta deserta a quell'ora, e tra i grandi scatoloni delle case popolari costruite in tante file regolari, si vedevano giù, quattro strade di terra battuta piene di zozzerie, e in alto, il cielo senza una nuvola con una lunetta che locca locca tramontava.

La porta di strada del palazzone dove abitava il sor Antonio, era aperta.

Entrarono, e cominciarono a salire una rampa, due. tre, con un macello di pianerottoli, porte, finestre che davano sui cortiletti interni, tutto scrostato e coi disegni sporchi dei ragazzini a carbone sui muri. Il vecchio suonò il campanello all'interno settantaquattro, con dietro i due aiutanti in attesa, e venne ad aprire dopo un pò proprio la figlia più grande.

Era una bella sorcona di manco vent'anni, con una vestaglietta che le cadeva giù per le spalle, tutta scapigliata e con gli occhi gonfi e la carne calda per il sonno. Allumati i due ospiti, tagliò dietro un paravento tutto stracciato ch'era lì in mezzo all'ingresso.

Il sor Antonio entrò, appoggiò il sacco presso il paravento, echiamò a voce alta: "A Nadia !" Non sortì fuori nessuno, ma ali là della parete si sentiva fare sci sci come fanno le donne quando stanno in tre o quattro assieme.

"Ammappete," pensò il Riccetto, "che, ce sta na tribbù, quà dentro ?"
"A Nadia!" ripetè il sor Antonio.

Si sentì smucinare più forte, poi venne fuori un'altra volta la figlia più grande, con la vestaglia stretta, con le scarpe e pettinata.

"Te presento sti amichi mia," fece il sor Antonio. Nadia s'accostò con un sorriso, tutta vergognosa, tenendosi una mano contro la scollatura della vestaglia a l'altra allungata verso di loro, con certi ditini stretti, teneri e bianchi come il burro, che arraparono subito i due compari. "Mastracca Claudio," fece il Riccetto, stringendo quella bella manina.

"De Marzi Alfredo," disse il Lenzetta, facendo altrettanto, con la faccia rossastra e liquefatta che aveva nei momenti d'emozione, lei si vergognava tanto, che si vedeva che quasi le veniva da piangere, tanto più che se ne stavano tutti e quattro lì in piedi, senza muoversi, a guardarsi in faccia.

"Accomodateve," fece il sor Antonio, e li precedette, attraverso una porta coperta da una tenda, nella cucina.

Lì tra il fornello e la credenza in mezzo a quattro o cinque seggiole, c'era pure, contro la parete, una brandina dove rosse e sudate una da testa e una da piedi dormivano due ragazzine, con le lenzuola tutte intorcinate e più grige che bianche. Sopra il tavolo c'erano due tegami e dei piatti sporchi, e una nuvoletta di mosche, risvegliate dalla luce, gironzolava e ronzava come in pieno mezzogiorno.

La Nadia era entrata per ultima, e se ne stava in disparte, accanto all'uscio. "Nun ce fate caso," disse il sor Antonio, "è na casa de lavoratori !" "Allora, si vedete casa mia !" Fece il Lenzetta ridacchiando, per fargli coraggio, ma come farebbe un ragazzino, abituato a discorrere con altri ragazzini zellosi come lui.

Il Riccetto ridacchiò pure lui alla mezza sparata del compare. Il Lenzetta, preso dall'entusiasmo, continuò senza più nessuno scrupolo come se ragionasse al Bar della Pugnalata, pisciando ironia dagli occhi.

"La cucina de casa nostra, me pare un cacatore, e nella camera da letto ce sta lo smistamento de li sorci in vacanza!"

"Sti due bravi ragazzi m'hanno aiutato, " comunicò il sor Antonio alla figlia, "sinnò quanno ce'a facevo a portalli qqua così presto! A Natale!" A quella uscita del padre, a Nadia, che faceva del tutto per mostrarsi sorridente, tremò la scucchia (trad.:la bocca), che pareva che stesse per sbottare a piangere, e voltò la faccia dall'altra parte, "Eeeeh!" fece cordialone, mettendo la pancia in fuori e alzando le braccia il Lenzetta, "mica se metterà a piagne per così poco!"

Ma quella, come se non aspettasse altro che queste parole, sbottò proprio a piangere, e corse via dietro al paravento.

"A matta, a sonata!" Si sentì gridare dopo un momento là di dietro.
"E' mi moje," fece il vecchio.

Infatti, non era passato un minuto che venne fuori, pure lei in vestaglia, ma tutta ben pettinata con la crocchia piena di spille, sora Adriana, con davanti due respingenti che non avevano niente da invidiare al sacco dei cavoli fiori. "Bona più la madre che le fije," pensò il Riccetto. Lei entrò sparata in cucina ancora tutta vibrante di sdegno, continuando il discorso che aveva incominciato di là.

"Sta scema, che la possino ammaillà! Ma che, uno s'ha da mette a piagne perchè se deve da arrangià pe vive, ma guarda sì che robba! Ai tempi d'oggiggiorno! Ma da chi avrà preso, sta fija mia, io no lo so..."

S'interruppe, un poco calmata, e studiando, con due rapide occhiate, gli ospiti che le si offrivano tutti smandrappati e filoni allo sguardo.

"Te presento sti amichi mia," rifece il vecchio. "Piacere," fece lei, aggrottando un pò le ciglia e compiendo sbrigativamente quel dovere mondano."Mastracca Claudio," ripetè il Riccetto, "De Marzi Alfredo," ripetè il Lenzetta.

Compiuta la necessaria parentesi della presentazione, lei ricominciò coi discorsi che importavano, se pure con un tono più confidenziale: "Ma guarda si s'ha da vede na fija de vent'anni che piagne come na ragazzina, e ppe quale motivo poi! Pe quattro cavoli fiori fracichi? Ma che, c'è da vergognasse c'è?" E sollevò la testa in segno di sfida, con gli occhi che le fiammeggiavano e le mani sui fianchi, contro un invisibile uditorio, probabilmente di signori.

"A Nadia!" Fece poi, sporgendo la testa oltre la tenda. "A Nadiaaaaa!"

Nadia dopo un pò ritornò, ancora vergognosa, asciugandosi la punta degli occhi con una mano, e sorridendo per la sciocchezza del suo comportamento di poco prima, con l'aria di dire: "Nun ce fate caso!" "A matta!" Ripetè la madre, sempre in tono di sfida contro quelle persone che sapeva lei "che, c'è de vergognasse c'è-è?"

"E noi forse nun c'annamo a rubbà?" Fece sempre per tirarla su di morale, con la sua solita delicatezza, il Lenzetta, "semo disoccupati, semo!"

"Nun c'è da meravijasse," aggiunse con aria quasi salottiera il Riccetto, "tutti rubbano, chi più chi meno."

A quelle belle consolazioni la ragazza stette quasi quasi per farsi riprendere dal mammatrone: per fortuna che in quel momento entrò tutta acchittata la sorella, quella di diciotto anni. C'aveva messo tanto a presentarsi perchè aveva indossato la veste bona, di seta nera, e s'era persino dato un pò di rossetto. Calcolava sulla sorpresa della sua apparizione, e si fece avanti tutta modesta. "Te presento stì dù bravi ragazzi, amichi mia," rifece per la terza volta cerimonioso il vecchio. "Questa é l'altra fija mia."

"Lucian-na,"disse lei con voce strascicata, facendo la cucciolona come le ragazze dei giornaletti.

"Piascere," lei fece, tirandosi indietro con una mano i capelli. "Molto lieto de fà la sua conoscenza," ciancicarono il Riccetto e il Lenzetta, compiaciuti e rossi come due gallinacci.

Poco dopo venne pure la terza figlia, una roscetta, con la faccia tutta piena di lenticchie, e con un nastro sui capelli.

La madre intanto aveva ricominciato con la sua moina fuoriscena. "c'avete raggione, signò" concluse il Lenzetta, quando quella ebbe finito, "è regolare! "
Ma il suo calore proveniva da un'altra ragione, ossia dal fatto ch'era completamente arrazzato per tutta quella centrale del latte che c'aveva attorno.

"Che ve potemo offrì?" Fece il sor Antonio."Che, l'accettate un caffè ?"

"E lassate perde, a sor Antò! " Fece il Riccetto, mentre il Lenzetta aveva drizzato gli orecchi all'offerta.

"Che, ve volete disturbà pe noi due?" aggiunse il Riccetto, con un'inaspettata e allegra aria di disprezzo per quei due morti di fame ch'erano lui e il compagno suo.
Il sor Antonio non s'era accorto però che alla parola "caffè" le quattro donne, s'erano guardate in faccia. Perciò insistette: "ma quale disturbo, anzi ce fa piacere," disse, trascinato dalla sua cortesia. Le occhiate intorno a lui si fecero sgomente.

La sora Adriana aprì un pò la bocca come se volesse dire qualcosa, ma poi la richiuse e se ne stette zitta, con le figlie che la guardavano con apprensione e con finta indifferenza negli occhi.

"E faje sta tazzina de caffè," fece tutto preso dal suo dovere di padrone di casa il sor Antonio.

La moglie non si muoveva, all'impiedi tra le figlie che ora guardavano lei ora si guardavano tra di loro, con la Nadia che quasi stava per ricominciare a piangere.

Sora Adriana scuotendo la testa svelta svelta, e mettendosi una mano sul petto, fece: "Pe fallo, je lo farebbe, solo che.... che t'ho da ddì...ce semo scordate d'annà a comprà lo zucchero..." Il sorAntonio accusò il colpo.

"Ah, Antonio mio, che voi fà," fece la moglie, "co tutti sti pensieri io 'a testa nun la tengo più a posto, sa..."

"E che je fà, "disse allegro il Riccetto, mantenendosi sempre sul tono della più completa sottovalutazione di se stesso e del compare, "pe noi va bbene pure senza zucchero!"

Il Lenzetta approvò ridendo, tutto chiazzato di rosso.
A quella uscita tutta la famiglia Bifoni si sentì rincuorare.

La sora Adriana dicendo "io per me ve lo fò.." prese la caccavella e accendette il fornello, con l'assistenza delle figlie, e quell'attività sparse tanto entusiasmo intorno che mentre i due bravi ragazzi e il sor Antonio chiacchieravano affabilmente, pure le restanti due ragazzine vennero fuori in camicia da sotto le lenzuole e si misero a fare caciara per la stanza. In quattro e quattr'otto il caffè fu pronto, e fu servito in due tazzine scompagnate al Lenzetta e al Riccetto, mentre il sor Antonio e la moglie se lo bevvero in due tazze da caffelatte tutte scrostate.

Soffiandoci sopra per raffreddarlo il Riccetto fece:"Mo bevemo, e poi levamo il disturbo !"

"Ma quale disturbo !" fece grande il sor Antonio. La sora Adriana, bevendo il caffè non nascose il suo disgusto, anche per mettere le mani avanti. "Baah, che ciufega!" pensavano dentro di se i due bravi ragazzi, nascondendo il brivido di schifo sotto un'aria cordiale e mondana, sorbendosi allegramente il caffè e, infine, rimettendo le tazzine sul tavolo tra le mosche.

"Mò è ora che se n'annamo!" "Rifece poi il Riccetto "Come diggià?" disse il sor Antonio con un gesto di meraviglia.

"Ammazza," fece il Lenzetta, "fra poco è mezzogiorno è!" "E fermateve ancora un pochetto, no" insistette il vecchio.

"Ve salutamo aaaaa sor Antonio," fece sbrigativo il Riccetto, allungando virilmente e con aria un po paragula la mano al vecchio.

"Aoh, allora v'accompagno," fece il neno (trad.:vecchio), lungo e bianco come un baccallaccione. Il sor Antonio scendeva tutto scavicchiato le scale, facendo di sguincio le scalini, senza rumore a causa delle scarpe di pezza.

Il Riccetto urtò il gomito al Lenzetta approffitando che il sor Antonio andava avanti . il Lenzetta lo guardò .

"Damme li sordi," fece a voce bassa e feroce, per paura che quello non gli desse retta, il Riccetto.

Infatti il Lenzetta si scurì in faccia, e fece finta di non avere sentito.

"Nun fà l'indiano," disse sempre a voce bassissima, più con gli sguardi che con le parole, il Riccetto, stringendo i denti e lanciando al Lenzetta una occhiata furente, "dammi li sordi daje".

Il Lenzetta si sentì in dovere di darglieli, e li cacciò nero dalla saccoccia. Fuori era già un pò chiaro: dietro i quaranta scatoloni in fila della Borgata degli Angeli.
Oltre il Quadraro, oltre la campagna, oltre le sagome nebbiose dei colli Albani, si stampava nel cielo un luce rossiccia, come dietro un'invetriata, e pareva che laggiù, dall'altra parte del cielo, ci fosse un'altra Roma, che andasse silenziosamente a fuoco.

"Mbè mo ve saluto, a moretti," fece il sor Antonio, "mo vado a dormì".

"Tenete, aaaa sor maè!" Fece sbrigativo il Riccetto allungandogli in un mucchietto tutto ciancicato la piotta e mezza.

Il sor Antonio guardò la grana, osservandola attentamente. "Ma no ma no, ce mancherebbe..." fece.

"Annamo, pijatela," l'incoraggiò il Lenzetta. Il vecchio continuò a fare un pò di polemica, ma intanto però, alla fine, si prese la piotta e mezza.

"Ammazzete. che sole!" disse il Lenzetta come il vecchio se ne fu rientrato, e furono rimasti soli in mezzo alla borgata, infatti una luce poco più che viola era venuta a galleggiare limpida negli spazi delle strade , tra palazzo e palazzo, riverberata fin laggiù da quella specie di incendio lontano e invisibile, dietro i colli, mentre tra un cornicione e l'altro due o tre civette svolazzavano lanciando qualche strillo.

il Lenzetta, ascoltandole preoccupato, e mettendo tutt'insieme in un mucchio il pensiero della parte di bravi ragazzi che avevano fatto, della famglia Bifoni e della morte, e sentendosi venire il latte alle ginocchia, stette un momento fermo soprappensiero, come in raccoglimento, poi tirò su una gamba col ginocchio contro la pancia, e mollò un peto.

Ma gli venne sforzato, perchè non era de core.

 

 

 

 

 
 
 
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