Post n°1230 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da G_ietta
La clinica delle tartarughe Ormai ridotti a poche migliaia in tutto il Mediterraneo, questi rettili marini riescono ancora a nidificare in Puglia, unica regione d’Italia insieme a Calabria e Sicilia di Titti Tummino
Quando le vasche vengono tirate fuori dal furgone del Centro recupero tartarughe marine e trasportate fino alla pilotina ancorata al molo del porto di Manfredonia, Lella e Rosalia iniziano ad agitarsi. I due animali, della specie caretta caretta, la più comune nel Mediterraneo e fra le più protette a livello internazionale, sbattono forte gli arti posteriori, muovono convulsamente la testa, emettono un suono che non sembra respiro, ma sbuffo d’impazienza. Sembrano aver compreso che è arrivato il momento di ritornare in libertà. Rimaste accidentalmente impigliate nelle reti a strascico di due pescatori al largo di Zapponeta, Lella e Rosalia sono state affidate al Centro gestito da Legambiente, all’interno dell’oasi di Lago Salso, riserva protetta del Parco nazionale del Gargano. A liberarle in una fresca giornata di inizio autunno è Giovanni Furii, naturalista e responsabile scientifico del Crtm sipontino che, insieme a quello salentino di Rauccio, sempre affidato a Legambiente, costituisce la costola pugliese del progetto Tartanet: un network di 13 centri in Italia, realizzato grazie al programma Life Natura della Commissione europea, con l’obiettivo di attuare una strategia di conservazione a lungo termine e di contribuire alla riduzione delle minacce per la caretta caretta. Ormai ridotti a poche migliaia in tutto il Mediterraneo, questi rettili marini riescono ancora a nidificare in Puglia, unica regione d’Italia insieme a Calabria e Sicilia: nell’ottobre 2007, la spiaggia salentina di San Foca fu scenario di un evento eccezionale con la nascita attesissima di 41 piccoli. Una storia a lieto fine, proprio come quella di Lella e Rosalia. «Nei giorni di degenza le abbiamo sottoposte a tutti i con¬trolli che operiamo su ogni tartaru¬ga affidataci — spiega Furii — visita biologicoveterinaria per valutare lo stato di salute generale, rile¬vamento di dati biometrici, prelievi di sangue e di campioni per indagini genetiche, radiografia per verificare l’eventuale presenza di corpi estranei e fratture, fino alla marcatura per il riconoscimento: tutti dati che confluiscono nel database del ministero dell’Ambiente». Il regalo che il Centro sipontino offre a Repubblica è di quelli preziosi: non capita certo tutti i giorni di partecipare alla liberazione delle tartarughe e la trepidante attesa di Lella e Rosalia è pari alla nostra. Sulla pilotina che ci porta al largo, oltre a Furii, ci sono Giovanni Simone, artefice del progetto Centro cultura del mare e grande amico di Filippo, il delfino mascotte di Manfredonia ucciso nell’agosto del 2004, e Michele Conoscitore, pescatore sipontino al quale Goletta verde ha consegnato quest’estate il premio “Io sono amico del mare”. La pilotina prende il largo, scortata da una motovedetta della Guardia costiera. Il mare agitato è ora azzurro, ora verde, ora grigio; il porto di Manfredonia, incorniciato dalle alture del promontorio, sempre più lontano; il vento stordisce e inebria; gli spruzzi diventano salsedine sulla pelle.
È una bella sensazione di libertà, la stessa che stanno “respirando” Rosalia e Lella, rispettivamente 15 chili di peso per 50 centimetri di lunghezza del carapace, e 32 chili per 68 centimetri. Il momento è arrivato. Simone spegne il motore della barca, Furii e Conoscitore prendono le tartarughe dalle vasche e quasi le adagiano sul mare. Un attimo e Lella e Rosalia si immergono velocissime, scomparendo alla nostra vista. C’è euforia a bordo, anche fra gli uomini avvezzi a questo genere di eventi. Altri due esemplari dei 98 che il Centro di Manfredonia ha avuto in cura dal gennaio 2007 al settembre 2008, ce l’hanno fatta, sono ritor¬nati nel loro elemento vitale. Furii e il comandante della motovedetta si scambiano un segno a distanza — il pollice alzato — e un sorriso. La soddisfazione è grande, certo, ma nel profondo del mare per le tartarughe ci sono anche tante insidie, come le micidiali eliche che arrivano a tranciare il possente carapace. Come è capitato a Betty e a Costanza. Le due caretta caretta sono convalescenti da molti mesi al Crtm di Manfredonia, in vasche singole dotate di filtri e pompe elettriche: i carapaci marrone rossiccio sono stati gravemente danneggiati e addirittura in parte tranciati dall’i mpatto con le eliche, ma le condizioni generali ora sono buone e presto si spera di restituirle al mare. Dalla parte opposta del grande ambiente, altre vasche con altre tartarughe. Più in là la sala operatoria attrezzata di tutta la strumentazione veterinaria per le visite diagnostiche e gli interventi chirurgici; in una saletta attigua l’apparecchio per le radiografie. «Il centro è operativo tutto l’anno — racconta Furii — lavoriamo in équipe con un veterinario che è anche il responsabile sanitario e due collaboratori, per un tratto di costa di 300 chilometri, da Bari a Termoli. Da quando è stato inaugurato, a luglio 2006, abbiamo accolto migliaia di visitatori e soprattutto tante scolaresche, molto sensibili alle problematiche ambientali». Un fattore importante tanto quanto l’azione di tutela. Questi animali abitano il pianeta da molto prima dell’uomo, ma proprio l’uomo ne sta causando l’e stinzione: a lungo considerate come materiale buono per inutili monili o per delicati brodi, oggi le tartarughe marine devono fare i conti an¬che con l’intenso traffico nautico, con il turismo nelle spiagge dove depositano le uova, con l’erosione delle coste e l’i nquinamento delle acque. Ogni caretta caretta salvata è quindi un piccolo grande miracolo. Il pensiero ritorna fatalmente a Lella e a Rosalia. Dove saranno ora? Furii sorride: «A nuotare felici da qualche parte del nostro grande mare».
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