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seppur debole, il suo chiarore può illuminare le notti...

 

 

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Recita di Natale

Post n°393 pubblicato il 21 Dicembre 2014 da labirintidelcuore
 

Non c'è Natale, senza recita...

 

 

Qui il racconto ironico e divertente, ma non solo, di un Emanuele che ho visto piccolino e che ora è genitore ...

 

Dicembre 2012

La mia fulgida carriera teatrale ha conosciuto, ahimè, momenti neri ma formativi. Non molti anni fa ho visto almeno un centinaio di saggi scolastici dal punto di vista obliquo del siparista. Ogni sera gettavo uno sguardo pietoso in platea e osservavo la varia umanità dei parenti-spettatori, una massa ineducata temuta dalle maschere di sala più che un monologo di Testori senza intervallo.

I parenti-spettatori hanno vari vizi inclassificabili, come volere seguire tutti contemporaneamente i figli nelle strettissime vie di fuga dei camerini, o pretendere di tenere in sala il trio della Chicco completo accanto al posto assegnato. Ma la cosa che non mi è mai andata giù è l’ostinazione nel salutare il figlio o nipote proprio quando sta dando il meglio di sé in palcoscenico. Tanto più che lui, coi proiettori in faccia, vede come una talpa con il distacco della retina.

Pochi giorni fa ho debuttato nel ruolo di parente-spettatore.

Michele fa il primo anno di asilo, dunque prima recita di Natale. Secondo il nostro credo di genitori alternativi e avvezzi al mondo dello spettacolo, non portiamo nessun apparecchio di registrazione, né video, né audio, nè niente. Il ricordo di questo impagabile momento sopravviverà solo grazie alla nostra capacità mnemonica, è romantico e poi non saremo costretti a fissare per un’ora un lcd da un pollice.

Lo spettacolo racconta la nascita di Gesù, per fortuna, non i problemi di volo della magica renna Rudolph. Appena il sipario mostra l’intenzione di aprirsi, a me e a mia moglie esplodono gli occhi per la commozione. Come resistere di fronte a una Madonnina di cinque anni che riceve un annuncio mimato da un angelo di quattro? Il mio proverbiale senso critico teatrale è probabilmente incastrato nell’ombrello in guardaroba, perché a me sembra tutto perfetto: luci impeccabili, testi profondi, coreografie degne della migliore scuola russa. Quando inizio a supporre che quello che ho di fronte avrà un impatto sul teatro europeo pari o superiore all’Orlando Furioso di Ronconi, ho la lucidità di vedermi per un attimo da fuori. Devo ammetterlo, qualcosa sta falsando la mia obiettività. E quel qualcosa probabilmente è alto novanta centimetri e mi canticchia di fronte.

“Ambalam-belem, ambalam-belem”. “La prescella lei saraaà”. Questi i ritornelli della recita preferiti di Michele, che nell’ultimo mese li ha ripetuti anche nel sonno, tipo mantra. La mia indagine sul contenuto generale delle strofe mi ha permesso di attribuirgli dei significati ipotetici: il primo dice “Andare a Betlemme”, il secondo “La prescelta lei sarà”. Inevitabile il dubbio del genitore credente e riflessivo: cosa accidenti capirà il mio piccolissimo interprete di quello che sta raccontando con i suoi compagni?

La potenza estetica della recita di Natale mette in secondo piano tutte le possibili obiezioni paterne. A ogni nuovo rifiuto dell’albergatore, una nuova lacrima cerca un posto sulle mie guancie già fradice. Quand’ecco, un brivido di disappunto. Questo no. Questo non va. Qui mi dissocio.

Gesù bimbo si sta posando nella culla sorretto dalle tenere manine dell’angelo con le ali di brillantini. Maestre, ma scherziamo? Io che la notte di Natale di tre anni fa ero proprio in sala parto, non posso accettare una venuta al mondo tanto soft, con messo celeste riconvertito a cicogna. Il parto è un evento pieno di sangue e altre mostruosità, e di grida. Più che il contatto al suolo di una foglia, sembra l’aprire a spallate una porta. Nessuno ci pensa mai a che cosa sentiva Maria la notte santa. Io sì. Avrà imparato ad apprezzarne il ricordo col tempo ma, al momento, altro che l’espressione beata della statuetta nel mio presepe. Al di là dei noti dolori inconcepibili dal maschio, che smarrimento prova chi fino a un attimo prima si portava Dio in pancia, e poi lo vede li davanti, altro da sé?

Siamo quasi alla fine. Le mie mani aderiscono col palmo alla poltrona, ancorate dal peso delle cosce. Io, proprio io, non cadrò mai  nella tentazione del saluto. Ma ecco che …Laura, cosa fai? Sta sventolando il braccio destro, chissà da quando. No! Moglie mia! Figura educativa a me complementare! Perché saluti anche se siamo al buio e lui non ti può vedere? Roba da dilettanti della poltroncina! A questo punto il danno è fatto. Tanto vale. Mi alzo in piedi con la speranza di ricevere il dono temporaneo della fosforescenza. “Sono quiii. Micheleee”.

Il mio gesto temerario non ottiene nessuna modifica al mio abituale fotoassorbimento, ma mi dona un’altra grazia. Immediatamente comprendo che quella sì, è una nascita: l’inedito senso di impotenza sul destino (artistico e generale) di Michele. Ecco il significato del mio Natale 2012: vedere il nostro MiniNoi finalmente da di fronte, non per mano. E scoprire che la vita si genera inizialmente con l’unione, ma poi, e soprattutto, con il coraggio di tagliare.

 

* Emanuele Fant è nato nel 1979, è sposato con Laura, è papà di Michele e Clara. Ha studiato teatro all’università e ne ha fatto il suo lavoro, sperimentandosi in ogni mansione; educa e dirige una compagnia marionettistica di ex-senzatetto. Racconta questa avventura senza troppa continuità nel blog

 lemarionettedellamisericordia.blogspot.it .

 
 
 
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