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Letture/Riletture

Post n°324 pubblicato il 18 Agosto 2014 da lab79
 
Tag: libri

Mi capita spesso, specie nei periodi di stanca, di rileggere libri che ho già letto. Solo qualche pagina, solitamente. Partendo da un punto a caso del libro, proseguendo per pochi paragrafi, per poi saltare avanti o indietro lungo il libro e ripetere la stessa operazione, senza altra motivazione se non quella, probabilmente, di verificare se ricordo ancora qualcosa. Tranne nel caso di Tropico del Cancro di Henry Miller (di cui dimentico regolarmente la trama), è un vizio di lettura che mi da piccole soddisfazioni. 

E' un piacere un po' colpevole nel quale indugiare, a ben guardare, come quello di accendermi un buon sigaro, oppure altrettanto occasionalmente concedermi un bicchiere di Ron. (Rum, in lingua corrente. Ma concedetemi il vezzo di riferirmi a lui nella mia lingua madre) Il punto è che rileggere un libro va contro uno di quei principi che, mi dicono, definiscono un vero lettore:  il piacere della scoperta. Che trattandosi di una rilettura, è semmai una ri-scoperta. Il che potrebbe anche andare bene; dopotutto, rileggendo un buon libro è possibile apprezzarne meglio le sfumature, l'eleganza formale, la struttura, e un sacco di cose a cui non avevo mai fatto caso la prima volta, preso com'ero a cercare di capire dov'è che l'autore intendeva andare a parare.

Ma io raramente rileggo un libro per intero, specialmente negli ultimi anni in cui ho perso il piacere della lettura. Si tratta di un privilegio che concedo a pochi eletti, come Lolita di Vladimir Nabokov, o a quel delizioso libretto che custodisce La leggenda del Santo Bevitore di Joseph Roth ("Voglia Dio concedere a tutti noi, a noi bevitori, una morte tanto lieve e bella" è uno dei finali più commoventi della letteratura, a mio avviso. Non che mio personale memento mori) Solitamente mi limito ad esercitare il vizio della rilettura parziale, come ho già raccontato, magari senza nemmeno cercare un posto dove sedermi: così, in piedi davanti alla libreria sconclusionata in cui accatasto i miei libri, relitti inermi delle mie ore di ozio. Ad un certo punto mi annoio, e rimesso al suo posto il libro che ho in mano, finisco con scegliere di iniziare un libro nuovo, di cui ho sempre una discreta scorta, oppure persino col rinunciare del tutto alla lettura. 

Questa volta no. Per un motivo che ancora non sono riuscito ad individuare (e alla luce di questo dubbio, questo è forse uno dei libri più pertinenti), dopo qualche giorno di letture sbocconcellate quasi furtivamente, ho deciso di rileggere daccapo Follia di Patrick McGrath, col neanche tanto sottile piacere di conoscere già le parti del racconto che preferirò, mettendo persino da parte per qualche giorno quel piccolo scrigno di meraviglie che è L'Aleph di Jorge Luis Borges (che merita una lettura appassionata, specialmente quando si è sulla soglia tra la veglia e il sonno. Ma trattandosi di racconti, è un libro abbastanza indulgente col suo lettore, tanto da poter essere messo da parte e ripreso più tardi, senza che se ne abbia a male.)

Follia non è, forse, un capolavoro irresistibile. Ma fa parte di quel genere di romanzi che usano l'espediente della psicoanalisi per svelare i personaggi e le loro motivazioni. Che a ben pensarci, è proprio il lavoro della letteratura, più ancora di quello di raccontare storie.  Non ricordo nemmeno la prima volta che l'ho letto, ma è uno dei rari romanzi in cui ho apprezzato il realismo con cui si rende l'artificio della voce narrante. Scelta obbligata e importantissima, in letteratura. E spesso catastrofica quando usata nel cinema (A proposito, dovrebbe esserci anche il film tratto da questo libro, ma non ho molta voglia di cercare. Voi l'avete visto?), utile a raccontare da un punto di vista "di parte", ma non per questo parziale, lo svolgersi di una storia di ossessione, piuttosto che di amore. I personaggi forse risultano un tantino stereotipati, con la parziale eccezione dei due protagonisti, mentre quello della voce narrante (che è uno dei personaggi, e non è quindi automaticamente identificabile con l'autore) risulta a mio avviso ben congegnato. 

Lo so, non ho detto molto che possa invogliarvi alla lettura di questo libro. Ma non mi interessa, questo post non è una recensione, e questo blog non è un forum sulla letteratura. Se vi interessa un'opinione: leggetelo, è un libro piacevole. Quel che mi chiedo è se la rilettura di un libro sia ancora uno dei piaceri della lettura, oppure in fondo solo un modo più facile, e anche un po' disonesto, di leggere.

 
 
 
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