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Blockbuster

Post n°461 pubblicato il 16 Novembre 2016 da lab79

*NdA: Una piccola premessa. Questo testo è vecchio. Ma l'avevo scritto per un altro blog, che per motivazionI varie è stato cancellato. Siccome ho il vizio di rimestare di tanto in tanto nel cestino della mia memoria (non fatelo, non è igienico) ho ritrovato il link che porta alla memoria esterna in cui conservo queste cose. Quindi lo posto qui, perché avevo voglia di scrivere qualcosa di diverso senza fare fatica. 

Per Blockbuster si intende generalmente un successo cinematografico imponente. Il termine pare derivare dall’ambito teatrale della Broadway anni 40, preso in prestito a sua volta dall’ambito bellico (Pare fosse il nome con cui venivano colloquialmente chiamate le bombe ad alto potenziale, in grado di far saltare interi isolati –detti appunto “Block”- ) ma sono tutte informazioni di cui sono sicuro a voi non frega un granché. Per noi che siamo nati nei pressi degli anni ’80, il Blockbuster era la catena di negozi di vendita e noleggio video, fine della discussione.

Ora, dato che come di mia abitudine parlerò del contrario di quello di cui sto parlando (Si capisce di cosa sto parlando, vero?), non vi parlerò di grandi successi cinematografici, o non necessariamente di questi, almeno. Parlerò di quei film presenti nella mia personale cineteca che, se la Blockbuster Inc. esistesse ancora, vi consiglierei fortissimamente di noleggiare. E per un motivo preciso. Sono film molto belli, alcuni bellissimi. Potreste acquistarli, certamente. Ma la verità è che non li riguarderete più, perché il vostro legittimo istinto di conservazione vi spingerà a proteggere la vostra psiche da ulteriori sofferenze. Quindi perché spendere i vostri soldi in un film che non rivedrete di proposito MAI PIU’? Il punto è che si tratta di quei film i cui registi sono delle legittime carogne: costruiscono una storia basata sui sentimenti più basilari, vi fanno amare i protagonisti cercando di risvegliare quel poco di umanità che rimane al pubblico cinematografico, per poi pugnalarvi alle spalle. O in pieno petto, che tanto a loro che gli frega della vostra salute emotiva. La lista non è ovviamente esaustiva: non tutti questi film toccheranno un vostro nervo scoperto, e non sono tutti i film che possono toccare i nervi scoperti di chiunque. Ed è, dopotutto, una mia personale piccola lista:

La tomba delle lucciole (Di Isao Takahata, 1988): Cominciamo con il film che riassume l’intero significato di questa lista. Si tratta di un film d’animazione giapponese (Si, un cartone. E si chiamano Anime, e non manga. Non fatevi bacchettare sulla punta delle dita), e non è un cartone qualunque. Prodotto dallo storico studio Ghibli, e nato in contemporanea a uno dei capolavori più dolci del Maestro Miyazaki (Il mio vicino Totoro), La tomba delle lucciole è uno dei più lucidi pugni nello stomaco che mi sia capitato di prendere davanti alla tv. Adattamento di un romanzo semibiografico (Il cui autore lo scrisse per cercare di lenire il dolore per essere sopravvissuto alla sua sorellina), il film narra le vicende di due bambini rimasti orfani durante i bombardamenti incendiari degli americani sul Giappone, durante la Seconda Guerra Mondiale. (Piccola nota a margine: se non lo sapete, le bombe atomiche di Nagasaki e Hiroshima non sono state i peggiori bombardamenti fatti dagli americani sul Giappone. Fatevi un’idea.) Il film narra le peripezie dei due orfani, senza risparmiarvi dettagli anche crudi delle conseguenze della guerra, soprattutto nell’animo delle persone che la soffrono. I due bambini vanno avanti grazie alle arguzie e alla forza di volontà del fratello maggiore, dandoci uno spaccato della meraviglia che i bambini possono vedere anche in un mondo devastato dall’orrore. Non fatevi illusioni. Imparerete ad amare i protagonisti e la loro infantile forza giusto in tempo per vedere la bimba più piccola morire di malattia e stenti, venire cremata dal fratello stesso per poi vederlo morire di inedia nella miseria dell’androne di una stazione dei treni, mentre i loro fantasmi si allontanano tra le lucciole nel prato, consapevoli della pena che hanno dovuto vivere su questa terra. Spegnerete la tv pensando che i cartoni animati dovrebbero far ridere i bambini, non far piangere dei cinici come voi.

Hachiko (Di Lasse Hamstrom, 2008): Se avete mai avuto un cane, avrete esperimentato quel senso di fiducia assoluta e incondizionata che un cane vi può donare, insieme alla gioia, al calore e alla certezza di una fedeltà e amicizia che chissà fin dove può arrivare. Ecco, questo film vi fa ammirare che cosa è in grado di fare il vostro cane anche quando voi avrete smesso di soffrire su questa terra. Anche questo film è l’adattamento di una storia vera, e anche in questo caso la storia viene dal Giappone. Che il protagonista sia Richard Gere e il film sia ambientato in America, beh: misteri di Hollywood. (Un americano mi ha grossolanamente spiegato una volta che un film senza protagonisti americani “non si capisce”. Cioè non concepiscono che una storia possa accadere senza che accada a un americano. Ed è questo il motivo per cui esistono diversi remake di pellicole estere, girate letteralmente fotogramma per fotogramma, soltanto sostituendo gli attori stranieri con attori americani. ) Si tratta di un melodramma quasi fiabesco, cosa non insolita per questo regista. I personaggi sono semplici, buoni, manichei. Ma chissenefrega, perché il protagonista è il cane, che recita da cane: cioè nel modo più sincero e tenero possibile, tanto che alla fine diventa palpabile il legame di amicizia che nemmeno la morte del padrone spezza, nemmeno col passare del tempo che infine, una sera d’inverno, si porterà via anche Hachiko. Insieme alla vostra voglia di rivedere un bel film dover però alla fine il cane muore.

Un ponte per Therabithia ( di Gaspor Csupo, 2007) Un bambino sensibile e dotato per il disegno, figlio di una famiglia distratta a dir poco, conosce una bambina estroversa ed espansiva, praticamente il suo contrario. E infatti diventano amici. Il film è un racconto sull’amicizia più limpida e disneyana che riuscite a concepire: un inno alla capacità di immaginazione e di fedeltà che un’amicizia vera può donare, fino ad immaginare un mondo fantastico da condividere con quella persona speciale che il destino ti ha fatto trovare lungo la strada. Finché un giorno il protagonista si fa tentare da una visita al museo con la sua maestra di musica, forse l’archetipo della prima cotta preadolescenziale di ogni maschio occidentale, mentre la sua amica lo attende sulla riva del torrente che devono attraversare per andare nel lato del bosco in cui si trovano a sognare il loro mondo fantastico. Lei, probabilmente stanca di aspettarlo e magari delusa di non vederlo arrivare, tenta di attraversare il fiume da sola: scivola nel torrente e muore. Lui imparerà , nel dolore di aver perso la sua prima amica vera, che la meraviglia di quel mondo la si può regalare anche ad altri, e accompagna dunque la sua sorellina, che fino ad allora aveva voluto tenere fuori, nel mondo meraviglioso (e immaginario) che aveva costruito con la sua amica. Alla fine del film vi resterà una domanda: Da quando la Disney uccide i bambini?

Schindler’s List (di Steven Spielberg, 1993): Suvvia, che questo lo conoscete. E comunque: il prequel lo si trovava nelle edicole qualche mese fa, allegato a “Il Giornale”, se vi interessa. Comunque, torniamo al film. La premessa la sapete: il mondo è impazzito, si rinchiudono quelli che non sono come noi nei ghetti, si mette in piedi un meccanismo di smaltimento del problema, e insieme a burocrati, gente che esegue ordini e vittime, ci sono imprenditori che approfittano del momento per fare un po’ di grano. Più o meno come oggi, insomma, solo che in bianco e nero, che fa più chic. Tra questi imprenditori, il nostro protagonista: Schindler è un intrallazzatore, opportunista, donnaiolo e viveur. Un tizio simpatico e guascone, cinico abbastanza da fregarsene della follia che lo circonda, finché un giorno un difetto nella pellicola gli fa vedere un barlume di colore rosso in mezzo a tanto bianco e nero. E’ la nascita del Technicolor nella sua coscienza: si fa prendere da scrupoli e continua a fare quello che ha sempre fatto, ma con uno scopo diverso. Diventa amico di uno dei cattivi più terrificanti della storia del cinema (Ralph Fiennes riesce a sottrare così tanta anima dal suo personaggio da dare l’impressione di poter vedere l’ingresso alle Malebolge nei suoi occhi) Senza rendersene conto diventa una pecora travestito da lupo, ma un bel giorno in cui il male sembra in procinto di finire, lui si accorge di essersi dimenticato di disdire la sua iscrizione al club dei cattivi. Gli tocca scappare, ma coloro che ha aiutato lo trattengono per la manica della giacca, e gli mettono in mano un anello con una scritta sopra. Se come me siete fan della saga di Tolkien, mi verrete a dire che in un anello non si può scrivere niente di più potente di “Un anello per domarli, un anello per trovarli, un anello per ghermirli, e nel buio incatenarli.” Ora ve lo dico: cazzate. Perché questi poveracci cavano l’oro dal dente di un loro compagno di disgrazie, ci fanno un anello, e scrivono forse l’unica frase che in tutta la storia delle religioni di noi poveri uomini abbia un senso: “Chiunque salva una vita, salva il mondo intero”. Finito il film vi resterà nello stomaco il dubbio di aver vissuto una vita senza aver fatto niente che faccia davvero la differenza.

La Vita è bella (di Roberto Benigni, 1997): La vita è bella un corno. Benigni vuole insegnarci che si può ridere anche nei momenti meno opportuni. L’effetto che fa però, più che comico, è ridicolo. Almeno fino a un certo punto del film in cui vi assale il sospetto che lo scemo del villaggio non sia tanto scemo. Perché più che ridicole, le trovate comiche diventano grottesche. La storia è questa: Un padre ingenuo e ottimista trova l’amore e la felicità nel posto e nel momento sbagliato. Che poi sarebbe Arezzo nel 1939. Gli va male: gli portano via quello che è riuscito a racimolare e anche la famiglia, incluso il bimbo troppo piccolo per affrontare un tale orrore. Lui, da buon padre qual è, fa quello che farebbe qualunque padre. Gli racconta balle. Ma le racconta talmente bene che il bimbo ci crede e attraverso quelle riesce a vivere, e a sopravvivere, in quello che per altri è l’inferno. E infatti è l’inferno, perché neanche qui c’è il finale felice. La guerra finisce, lui si salva, la sua innocenza si salva, gli altri si salvano, il mondo diventa luminoso, la vita più bella. Solo, si porta via, senza che quasi se ne renda conto, il suo papà. Che gli ha regalato una delle cose più belle che un figlio possa ricevere: la voglia di vivere, nonostante il mondo faccia schifo.

Poi ripenserete a quella volta in cui vostro padre vi ha regalato un paio di scarpe del numero sbagliato, e vi chiederete chi fra quel bimbo e voi sia stato più fortunato.

 

Questi sono alcuni dei miei film “Da guardare una volta, e mai più”. Quali sono i vostri?

 

NdA bis: Ah, dimenticavo. SPOILER ALERT.

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Commenti al Post:
arw3n63
arw3n63 il 21/11/16 alle 14:54 via WEB
Li ho visti tutti tranne il primo, "la tomba delle lucciole".Anch'io ho una discreta raccolta di dvd ma in realtà sono li a prender polvere non perchè non mi piaccia rivedere film già visti ma perchè in tv se hai sky,per fare un esempio, capita li ritrasmettano e ci sono film che meritano visti e rivisti più volte, ma il fatto di avere la possibilità di rivederli in tv rende inutile comprarli.Comunque all'epoca di blockbuster noleggiano anch'io piuttosto che comprare.
 
 
lab79
lab79 il 24/11/16 alle 05:33 via WEB
Ho una discreta collezione di dvd. Il motivo è prettamente pratico: non sono mai stato abbastanza a casa per poter giustificare abbonamenti satellitari, o altri servizi di streaming (come netflix). Il risultato è stato che i dvd si sono accumulati, e attualmente cerco di controllare molto gli acquisti. Poi con un bimbo in casa sono comodi: puoi rivedere la stessa scena più volte, il telecomando è abbastanza semplici perché lui stesso (tre anni) sappia usarlo. E poi vederlo scegliere il film da guardare, alla stessa maniera in cui sceglie un libro da farsi leggere, è una visione che mi voglio godere il più a lungo possibile.
 
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