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Messaggi del 04/10/2016

Mens sana...

Post n°453 pubblicato il 04 Ottobre 2016 da lab79

In una delle peggiori mattinate delle ultime settimane (già di per sé pessime), decido di evitare di fare danni a chi mi circonda, e scelgo invece di fare male a me stesso.

Vado a correre.

Ci sono 12C° al sole, là fuori, quindi mi vesto di conseguenza. 

-Vecchia felpa nera di cotone con cappuccio. (Per vecchia intendo: vecchia di circa 18 anni.)

-Vecchie scarpe tennis. (Per vecchie intendo: vecchie di non meno di 7 anni. Come potete notare, in questo blog gli aggettivi non si usano tanto per usarli. )

-Pantaloncini corti con interno felpato. Comprati da Decathlon l'inverno di due anni fa. Mai usati.

A questo punto realizzo due cose. Il mio armadio è vecchio da far pena, e quando compro qualcosa, quella non solo non mi serve (pantaloncini mai usati), ma in più è un ossimoro: a che accidenti servono dei calzoncini felpati CORTI? Se fa freddo mi copro, se fa caldo mi scopro. Vestirsi pesante ma corto è di un'idiozia senza pari. Infatti eccomi qua. Fatta questa considerazione che mi rivitalizza il morale, afferro le chiavi di casa, e il mio vecchio (sigh) lettore mp3, che prontamente accendo. Scaldo i muscoli camminando a passo veloce, ed inizio a corricchiare cercando di tenere il passo della musica. Che è "So what", primo brano di jazz modale scritto da Miles Davis per il mitico Kind of Blue. Album bellissimo, ma correre cercando di tenere il tempo di jazz è come rientrare a casa la domenica mattina con una sbronza fina. Insomma, perfetto per il passo sghembo che non ricordavo di avere quando corro. Da questo momento, seguono una sequenza di eventi e pensieri che saprei descrivere soltanto in modo di elenco, eccolo qua:

-Per prima cosa incrocio il camion della pulizia delle strade, nell'unico tratto di strada che consente il passaggio contemporaneo di un camion della pulizia delle strade e nient'altro. Chapeau. Mi arrampico al muro di pietra della villa che confina con la strada, nel cui giardino dimora un coso il cui padrone si ostina a chiamare cane, e che a me sembra la discendenza di uno Xenomorpho. L'alieno in questione fa un verso che sembra un grugnito, intanto che sbava acido dalla bocca sulle mie dita, con cui mi artiglio al muro in attesa che il camion passi. 

-Superato brillantemente il primo ostacolo, si presenta subito il secondo: Io.  Le mie gambe scoprono di portarsi dietro una zavorra fastidiosa ed inutile, che risponde al nome di me. Zavorra che non solo non contribuisce alla corsa, ma di tanto in tanto pare si dimentichi di respirare, facendo così diminuire l'apporto di ossigeno così necessario a questa tortura. 

-Dopo qualche minuto, le gambe girano. Il prezzo è ovviamente quello di prendersi tutto il sangue ossigenato che ho in corpo. Protestano in sequenza la milza, i polmoni, il cervello. Il cuore fa la parte del krumiro e invece di fermarsi in sciopero, da stakanovista qual'è continua a faticare per tutti gli altri. Io lo ringrazio sentitamente.

-Le prime avvisaglie di cedimento fisico si fanno evidenti: il fiato è corto, i battiti veloci, la sudorazione fredda e copiosa, la pelle fredda, le pupille probabilmente non rispondono più agli stimoli luminosi. Devo aver percorso si e no 200 metri.

-A questo punto il cervello decide di staccarsi dal resto e fare qualcosa per conto proprio. Lo sento distintamente sedersi sul divano e accendere la tv, intanto che mi suggerisce di chiamare il mio avvocato. -"Perché devo chiamare l'avvocato?" -"Per fare testamento."

-La strada è in discesa, ora. I miei piedi poggiano agili sul pavimento, le mie gambe spingono. Le braccia hanno trovato il ritmo, i polmoni sembra si siano allargati, tanta l'aria che entra nel mio corpo. Il mio respiro è forte e pieno.

-Mi viene il sospetto che in realtà i polmoni siano bucati.

-L'evidente carenza di ossigeno spinge la mia mente ai confini dell'esistenza: trovo per un momento la quadratura del cerchio, riesco a visualizzare il senso del moto di un iperottaedro, nonché le procedure della sua costruzione geometrica e con questa intuisco la possibilità di utilizzarlo per un viaggio nello spazio-tempo in assenza di navicelle spaziali. Intanto che Miles Davis soffia il suo assolo cosmico la mia mente spiega le ali: intuisco e sfioro per un istante la rivelazione del senso della vita, l'inestricabile sentiero che ha condotto l'uomo fino a qui, l'inesplicabile significato dell'amore, l'inenarrabile patto che ci lega tutti insieme e al nostro destino, la stringa che dovrebbe stringere la scarpa al piede, e che ora svolazza ad ogni passo.

-Paf!

-Mi rialzo cercando di mantenere una certa dignità, intanto che mi tolgo i ciuffi d'erba dalle ginocchia. Tiro su dal naso e cerco i fazzoletti. Non li trovo.

-Ding! Ricevo un sms dal mio cervello: "Non solo hai dimenticato i fazzoletti. Anche il telefono è rimasto sulla credenza all'ingresso. Fossi in te controllerei se hai le chiavi di casa."

-A parte il fatto che non sapevo che il mio cervello avesse un numero tutto suo, controllo le tasche e confermo che le chiavi sono nella tasca destra della felpa. Tié.

-Invece per il telefono ha ragione. L'ho dimenticato a casa.

-Decido quindi di ritornare a casa. Miles Davis non ha ancora finito il suo primo brano, ed io mi sono già arreso. Ma ho iniziato, e come dico sempre: "Una mezza vittoria è pur sempre una vittoria"

-Riprendo il cammino verso casa, e ad esclusione dell'episodio del cane, ripeto tutti gli eventi che fin qui ho riportato. Incluso quello del camion della pulizia delle strade, che sta facendo il percorso a ritroso. 

-Al mio rientro a casa ho la malaugurata idea di darmi un'occhiata allo specchio: sembro Frodo al suo arrivo a Mordor, consumato dalla stanchezza e dal potere dell'Unico Anello. Solo più vecchio e con la barba inspiegabilmente lunga, dato che l'ho fatta ieri sera prima di dormire.

Insomma, sono giunto alla conclusione che la prossima volta che vorrò fare una cosa del genere, probabilmente opterò per l'automutilazione, che come metodo di suicidio mi pare meno doloroso.

 

 
 
 

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