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Francesco Guccini

Cirano



Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perchè con questa spada vi uccido quando voglio.

Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria, ma non avete scorza;
godetevi il successo, godete finchè dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l' ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L'arrivismo? All' amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti,
venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatto del qualunquismo un arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese.
Non me ne frega niente se anch' io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato;
coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Ma quando sono solo con questo naso al piede
che almeno di mezz' ora da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore;
non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d' essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo, ma sono triste
perchè Rossana è bella, siamo così diversi,
a parlarle non riesco: le parlerò coi versi, le parlerò coi versi...

Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l' avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo,
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:
dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un' ombra e tu, Rossana, il sole,
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo...Cirano

 

 

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Il Deficiente

Post n°189 pubblicato il 03 Marzo 2008 da MagOscuro

(Tanto a me della musica non mi frega più niente. Seguo un’altra politica sono dirigente. "Il Rubacuori" dei Tiromancino.)

C’era una volta il paese delle banane e aveva per capo un buffone. Il suo nome era Enea. Quest’uomo o, per meglio dire: questo cretino, aveva nel suo simbolo, oltre alla banana lunga e turgida che rappresentava il suo paese, un oggetto che una volta aveva un senso e ora non più. Una croce rossa su sfondo bianco. Negli anni di comando, quando non aveva ancora ottant’anni, cioè fino a qualche giorno prima di farli, Enea era sempre stato impeccabile nel suo vestito blu. Ovviamente era stato un buffone da sempre. I capelli e la pelle sempre lisci erano frutto del lavoro dei suoi dottori, ormai felici dei milioni d’euro da lui versati, che avevano fatto di tutto per non farlo invecchiare mai.  Nelle notti di luna piena di quei giorni però, spesso quand’era ubriaco cantava: “A me della politica non me ne frega più niente perché io solo un deficiente.” Tutto questo era causa di grande scalpore nella gente che lo seguiva. Enea, o il Buono, era marito di moglie divorziata tre volte, a sua volta divorziato anche lui per almeno una, era ormai paladino dei conservatori e dei qualunquisti e dei credenti, ma in realtà s’era sempre fatto i fatti suoi. Enea era un uomo capace, fino ad un certo punto, di ridere di sé e dei suoi difetti ma abile ad affogare i suoi nemici. Quando la notizia si sparse, tra i suoi seguaci si parlò di scandalo. Se gli chiedevano cosa avesse, lui rispondeva: ”Sono sano, sono il Buono, sono turgido e anche bello. Sono tutto, anche un libero uccello.” Queste erano le parole della campagna elettorale che l’aveva portato al potere circa 16 anni prima. Però qualcosa stava cambiando. Lo capì la sua pupilla; Adele. Era la donna con la quale andava a letto da ormai tre anni, quando lei ne aveva trentacinque. Questa donna aveva capelli rosso fiamma e, nei momenti liberi, presiedeva una multinazionale che governava la televisione, il cinema e l’editoria del paese delle banane. Adele era il suo successore prescelto ma, in pratica, comandava di già, incontrastata. Cosa lei facesse tre anni prima non lo sapeva nessuno. Si sapeva solo che nelle ultime elezioni era riuscita a conquistarlo. Quindi, da sconosciuta, era subentrata al figlio di Enea e ai suoi tanti parenti nel comando del suo impero. Tralasciamo questi misteri e riprendiamo il discorso. Lei capì, dicevamo, che qualcosa non andava. La donna si chiese se fosse la mancanza delle beghe con gli alleati ad angustiarlo. Quegli alleati grazie ai quali aveva stravinto tredici anni prima e ancora tre anni prima. Gli mancava forse fingere di litigare con loro? Era forse la mancanza del suo avversario, vecchio come lui, che aveva fatto internare in un gulag albanese quando era stato rieletto tre anni prima? O tutto questo insieme?

Sicuramente in quei giorni il cemento regnava ovunque e i suoi amici erano sistemati per la pensione. In Europa e nel mondo tutti fingevano di rispettarlo e se non era così la propaganda correggeva le dichiarazioni straniere dove necessario. I suoi nemici erano ridotti al silenzio. E allora cos’era? Pazzia? Crisi della mezza età? O semplicemente era rinsavito? Cioè rischiava di diventare davvero buono? Adele, allarmata da queste conclusioni, convocò lo scendiletto di Enea. Il lungo, allampanato e occhialuto Filiberto. Quest’uomo aveva superato da poco la cinquantina, una volta era a capo del maggior partito conservatore e ora s’occupava dei servizi segreti. Per lungo tempo aveva  bramato il potere dietro le quinte e ora lo gestiva con questa donna, con la quale, qualcuno malignava, avesse una storia. Filiberto voleva governare sottobanco fino alla morte? Freghiamocene anche di questo mistero e torniamo alla storia. Appena fu convocato, Filiberto ebbe l’ardire di sostenere che probabilmente Enea avrebbe dovuto essere sostituito. E lei approvò, baciandolo sulle labbra con passione. Intanto al Festival del paese si sentiva la canzone che aveva per titolo e ritornello: ”A me della musica non me ne frega più niente, perché sono un gran deficiente.” Quando Enea, il Clemente, seppe dei congiurati o forse fu avvertito da una delle tante spie che aveva ovunque, fece un sorriso con tutti i suoi denti. Bianchi e sani. Un sorriso per il quale era famoso ovunque. Ovviamente era famoso anche per i motteggi e gli scherzetti stupidi per i quali gli rideva dietro mezza Europa e per quale abbiam già detto che era un cretino. Enea unì quindi le mani dietro la schiena e, convocati Adele e Filiberto, disse loro che andava a farsi un viaggio sulla sua barca chiamata “Icaro.” “Icaro” era stata ottenuta con un esproprio proletario tre anni prima. Enea era proletario e tutti i nomi comuni esistenti anche stranieri, ovviamente. I due congiurati si strofinarono le mani l’un l’altra e vennero loro delle rughe sulle loro guance sinistre per la soddisfazione. Adele e Filiberto avrebbero potuto organizzare il “ritiro” di Enea mentre lui era via.

Quindi andarono a trombare.

Due settimane dopo, ormai pronti, la pupilla e lo scendiletto andarono ad accogliere Enea nel porto privato della Capitale. Il Sacerdote del suo grande regno avrebbe dovuto consegnargli un’onorificenza: Padre della Màtria. Poi i due congiurati avrebbero annunciato la morte del Capo Supremo del Paese. Così poi avrebbero potuto dirlo “Divino.”Ma successe l’imprevisto. Emiliano detto il Russo, che avrebbe dovuto essere morto in un gulag albanese, trasmise un ultimatum dal Palazzo dove Enea viveva nella Capitale. Da ormai una settimana, il Russo ( per i suoi trascorsi comunisti) era partito con i suoi luogotenenti da una regione sottomessa e sommersa dai rifiuti che ormai era usata semplicemente come bidone della spazzatura. Si favoleggiava che fosse governata da un ex nemico di Enea che lui aveva comprato per vincere le elezioni ormai sedici anni prima. L’ex nemico ed ibrido umano alieno chiamato Antonio. Ma questo rimarrà un altro mistero. Di certo in questa regione vivevano solo organismi geneticamente modificati ed “Antonio”li comandava. Grazie a questi organismi guidati dal lui ( Degli abitanti di questa regione la gente “normale”, compresi gli sbirri, aveva paura) Emiliano aveva occupato velocemente i centri di potere, comprese le televisioni una volta di stato, e adesso chiedeva la resa incondizionata a Enea. In conclusione all’ultimatum, il Rosso chiedeva al Buono, Clemente e Divino Padre della Matrìa di lasciare il potere.  Altrimenti avrebbe semplicemente sterminato la popolazione che Enea tanto amava e avrebbe preso il potere con la forza dei suoi organismi geneticamente modificati. A questo punto Enea soprese tutti,o forse no, e si mise a cantare: “A me della gente non me ne frega più niente, io sono solo un gran deficiente.” Spinse sulla sua barca l’amata Adele, terrorizzata, e lasciò il paese in mano al suo povero scendiletto.

Non sappiamo cosa accadde loro o al paese delle banane. Confesso, molto pragmaticamente, che non me ne frega niente, perché sono un deficente.

Daréios. 

 

 

 
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