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Messaggi di Febbraio 2014

 

Against Me! - Transgender Dysphoria Blues

Post n°337 pubblicato il 28 Febbraio 2014 da syd_curtis
 

 


Pollice su:
Potresti scrivere interi saggi sull'importanza di Laura Jane Grace e della sua scelta di farsi completamente donna, su quanto ciò significhi per i transessuali all'interno della società e cultura moderne, su cosa potrebbe significare per la scena punk rock tradizionalmente patriarcale (e sorprendentemente intollerante), e su quanto la sua dichiarazione pubblica conti per tante persone in giro per il mondo. T.D.B. arriva un po' tardi per essere considerato una festa per il coming out di Laura, e ha tematicamente così tanti punti in comune con il suo predecessore White Crosses che considerarlo una nuova presa di coscienza per gli Against Me! è un'esagerazione; è un timbro splendido e importante per la musica rock, che convalida tutte le attenzioni e le previsioni che ha ottenuto. (da SputnikMusic)

Pollice giù: La splendida voce della Grace e la sua performance viscerale e trascinante, ben sostenuta in particolare dal lavoro ritmico di un batterista esperto e discretamente tecnico come Atom Willard (ex-Rocket From The Crypt e Social Distortion), non sempre riesce riscattare il canovaccio di brani troppo spesso adagiati sulle convenzioni del classico hardcore melodico. (da Ondarock)

Opinioni di cui si può far senza: Non riesco a comprendere le ragioni del plebiscito che s'è levato in Rete (Metacritic, AOTY) a favore di questo (sesto) disco degli Against Me!, band statunitense attiva da una ventina d'anni, non riesco a comprendere, dicevo, se non rifacendomi all'extratesto costituito dalla dichiarazione pubblica del leader e cantante del gruppo - già Tom Gabel, ora Laura Jane Grace - di voler cambiare genere sessuale, scelta (rispettabilissima) di cui quest'album è diventato manifesto sonoro. In questo senso, mi pare che l'incipit della recensione di Sputnikmusic, tradotto qui sopra, la dica piuttosto lunga. Per quanto i testi possano essere onesti e duri, è la parte musicale a lasciarmi del tutto indifferente e ad inficiare la bontà del lavoro: un punk-rock dei più bolsi, ripetitivo, noiosamente muscolare, scontato, privo di fantasia, pedissequamente aderente al canone, che rende tutto quanto didascalico.

 

 
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Altro - Sparso

Post n°336 pubblicato il 21 Febbraio 2014 da syd_curtis
 

 

 

Pollice su: Canzoni brevi, che si susseguono rapidamente e si incastrano alla perfezione l’una con l’altra. Il tutto con una forte carica che coinvolge l’ascoltatore in un vortice elettrizzante. I ritmi frenetici si placano, come detto, appena in un paio di tracce, giusto il tempo di riprendere fiato per poi rilanciarsi a tutta furia. Il termine migliore per descrivere la musica degli Altro è essenziale. Diciamo e facciamo tutto in poco tempo. Riff chiari e azzeccati. (da ImpattoSonoro)

Pollice giù: Insomma, questo Sparso non è piaciuto. Da un gruppo “maggiorenne” ci si aspettava sicuramente un lavoro diverso, più curato anche in fase realizzativa. Sono molte le scelte da rivedere, a partire dall’impronta stessa del gruppo, che risulta in piena involuzione rispetto a quanto espresso nei dischi precedenti come, ad esempio, Aspetto del 2007, decisamente più sanguigno e genuino. Speriamo, per il futuro, in qualcos’Altro. (da Controsuoni).

Opinioni di cui si può senza-pensarci-un-minuto far senza: Pollici e alluci su per gli Altro di Alessandro Baronciani e compagni. Al sottoscritto l'approccio svagato, naif, da dopo lavoro, di chi non si prende sul serio, piace parecchio. Mi ricorda gente come Gazebo Penguins o FBYC, brava gente che suona per passione (grande!), ma non se la tira nemmeno di un centimetro. Con i gruppi sopra citati gli Altro condividono senz'altro l'influenza hardcore, ma spingono anche in altre direzioni, dal punk tradizionale di Lucia e Gattini, al pop sgangherato di Nome, al folk'n'punk di Calcoli e Paolo. Baronciani oltre alla voce e chitarra ci mette, come suo solito, l'art-work e il gioco è fattto.

 

 
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Pontiak - Innocence

Post n°335 pubblicato il 13 Febbraio 2014 da syd_curtis
 

 

Pollice su: Non avremmo probabilmente mai supposto di trovare le parole Pontiak e Ballata nella stessa frase, ma l'insistenza della band sul proprio lato più morbido, anche se solo per alcune canzoni, è una prospettiva eccitante, che fa di Innocence un diamante grezzo. (da Paste Magazine).

Pollice giù: Senza questa palla al piede, Innocence sarebbe un album di riff da muro contro muro. Ma queste canzoni più lente non sono solo più morbide, sono banali, e la loro inclusione lascia a Innocence una sensazione di sbilanciamento, come si fosse di fronte a un album di rock killer con un abito di scadenti ballate. (da Pitchfork, ossia tutto e il suo contrario!).

Opinioni di cui si può far senza: Parrebbe un disco come tanti altri, da ascoltarsi nel mucchio, senza troppe distinzioni, un buon disco di rock potente e psichedelico, ma nulla più. I Pontiak sono tre fratelli dalla Virginia, Stati Uniti, già noti per altri dischi di genere psico-stoner. Tutto bene.
Però bisogna prestare attenzione, perché al terzo ascolto Innocence già intossica, viene voglia di rimetterlo daccapo, le orecchie di nuove sature di chitarroni distorti. Il cuore del disco è in tre pezzi: Ghosts, Surrounded by diamonds e Beings Of The Rarest, pezzi in cui l'amore dichiarato per gli Stooges viene a galla prepotente. Sono pezzi che dal vivo devono essere delle grandi ficate. C'è poi un lato più cool, con ballate stracciacuore come WildFires, The Greatest e soprattutto (mia favorita) Darkness is coming, ballate attraversate da altre distorsioni. Canzoni che a ventanni m'avrebbero fatto a pezzi atrii e ventricoli, e che ora tornano a far sanguinare vecchie ferite.
E così, un album che pareva di ascolto distratto si trasforma in un disco da tenere stretto, da far suonare di notte, mentre si guida sotto la pioggia.

 

 

 
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Kevin Morby - Harlem River

Post n°334 pubblicato il 10 Febbraio 2014 da syd_curtis
 


Pollice su: Per scrivere canzoni come 'If you leave and if you marry' o come l'eccellente 'Slow Train', in duetto con Cate Le Bon, non sono necessarie manipolazioni di nastri o effetti pseudo-psichedelici. Anche nei nove minuti della title-track si passeggia senza meta, ma organicamente, una sorta di viaggio meditativo e non un pigro sperimentalismo. Harlem River è un'esperienza che vale la pena intraprendere e l'eccellente debutto di un songwriter emergente. (da All Music)

Pollice giù? C'è nessuno col pollice giù?

Opinioni di cui si può far senza: Ci sono dischi pop che si distinguono se non per originalità, quantomeno per freschezza. Harlem River è uno di questi.
L'album rimanda ovviamente al fiume che separa Manhattan dal Bronx e più in generale a NYC, città in cui Morby, venticinquenne nativo di Kansas City, Missouri, ha vissuto per cinque anni prima di spostarsi sulla costa ovest, a Los Angeles.
Uscito verso la fine del 2013, è un buon album, debutto da solista, a cavallo tra americana, pop e folk-rock. Evidenti e conclamati echi dei soliti padri putativi, Dylan, Reed (una curiosa Wild Side, all'interno), i Velvet; una lunga e sinuosa title track, un blues di circa nove minuti e un gioiellino ferroviario, Slow Train, in duetto con Cate Le Bon, forse l'apice del disco. Si aggiunga anche una produzione/missaggio volutamente retrò, e il gioco è fatto. Retromania? Che importa, quando la qualità delle canzoni è alta?

 
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Fabio Zuffanti - La quarta vittima

Post n°333 pubblicato il 06 Febbraio 2014 da syd_curtis
 



Pollice su:
La bravura mostrata in ogni traccia di questo album è tale che è quasi impossibile muovere delle critiche a quest'ultima opera di Zuffanti. Venti anni di carriera nel campo della musica hanno portato a questo risultato che oggi è davanti agli occhi di tutti. I singoli strumenti, i singoli stili musicali si fondono perfettamente in queste sette tracce e sebbene le influenze musicali che hanno ispirato molti di questi brani siano lampanti, non si può certo parlare di un lavoro di semplice copia dei capolavori dei maestri, bensì di una rielaborazione ed integrazione all'interno di uno stile ben preciso, il punto di arrivo di venti anni di storia. (da SpazioRock)

Pollice a metà: “La quarta vittima” è sicuramente un disco gradevole, ma non ancora completamente a fuoco, o almeno così mi sembra. Più che un punto di arrivo, un momento di passaggio. Il che non toglie che questo album conti diversi episodi interessanti, più o meno in ogni brano. (da Rockit)

Opinioni di cui si può (largamente) far senza:
L'etichetta appiccicata al disco, prog, mi aveva pur messo sull'avviso, ma ho voluto dare una possibilità, cercato di saltare lo steccato dello stereotipo. E' andata male, lo confesso: per il sottoscritto, il prodotto resta indigeribile, salvo i casi -rari, in verità- in cui sconfina nel jazz. Cedo quindi volentieri la mano ai cultori e mi limito a segnalare (modestamente) un problema: la voce di Zuffanti. Non capisco che bisogno ci fosse di infilarcela, così priva di appeal, retorica, fastidiosa. Ma qui forse si ricade nella personale idiosincrasia, indi per cui mi taccio. Gli appassionati troveranno certamente pane per i propri denti.

 
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