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L'ottimismo della volontà eccetera

Post n°9 pubblicato il 25 Marzo 2010 da propilei0

La cosa buffa è che ho un sacco di tempo che la gente normalmente riterrebbe libero. A guardare bene, ho libere tipo 24 ore su 24. A guardare meglio, le riempio di cose. Per la maggior parte belle, necessarie, piacevoli. Le cose che ho sempre voluto e non ho potuto fare. Poi mi rendo conto che il tempo lo perdo anche. L'ho sempre perso, perché sono una disorganizzata e una che viaggia con la testa in compartimenti stagni: quando mi ci rinchiudo smetto di esistere. E i miei pensieri divorano i giorni senza che me ne accorga. E amici che mi dicono "Ma dove sei finita?" e io scopro che sono le 11 di sera quando mi sembrava fossero le 7, che siamo a giovedì quando credevo fossimo a martedì, che è il 25 del mese quando pensavo fosse il 15.
Così. Il tempo mi è immateriale. Lo vedo quando ancora mi trovo a pranzare o cenare da sola. Capace di non accorgermi che ho fame, capace di pranzare alle 4 di pomeriggio e cenare alle 2 di notte, o di saltare direttamente, perché non gli dò importanza, perché lo stimolo della fame non è mai fame. Come diceva mio nonno che aveva passato le due guerre, "Voi non sapete cos'è la fame". Quando avevo delle scadenze sociali, impegni di lavoro, riunioni e appuntamenti, ero in perenne rincorsa dietro il tempo condiviso. Lo soffrivo, ma lo vedevo, cercavo di afferrarlo. Da quando non ce le ho più, faccio fatica, arranco. Perdo la presa sulla realtà. Non è piacevole. E' inconcludente. Io mi sento inconcludente. Anche se faccio un sacco di cose,facciocosevedogente, ho perfino cominciato, mioddio, capoeira: uno sport da culo così (che mi faccio e che dovrebbe venire o meglio e scusate l'immodestia tornare) ma l'ideale per rifarsi gli occhi, c'è una quantità imbarazzante di fighi astronomici. E intanto passo molto tempo con mia figlia, ed è così bello. Che sola con lei ci sto bene: il problema è stare con lei quando c'è altra gente. UH!

Insomma, nella testarda ricerca di sicurezza lavoro per rappacificare tra loro corpo e mente. Per ora si sono incontrati, si sono salutati imbarazzati e stanno cercando argomenti di conversazione mentre cercando di capire le ragioni per cui si sono allontanati tanto negli anni, se riescono anche a coinvolgere l'autostima, quella là che se ne sta sempre per i fatti suoi e non si capisce se è per sua scelta o se sono loro che l'hanno sempre schifata

Poi ci sono le cadute, e quelle sono quotidiane come sempre, e come sempre rovinose. C'è una certa dose di disfattismo e rivendicazione, disillusione e pessimismo, piagnistei e autocommiserazione, scazzo congenito ed eteroindotto. Odio un po', e non è mai una cosa bella. Mica per gli oggetti del mio risentimento, chissenefrega di loro: ma per me. Questa dose è veleno e lo so. E avvelena me, mica gli altri.
Per questo parlo così poco: la sequela di lamentazioni che mi passa per la testa quando mi viene voglia di srivere mi ha francamente rotto i coglioni, ma anche se non riesco del tutto ad evitarmela, almeno evito di annoiare voi.

Comunque ora si prova con una nuova tattica. Quella di Will in "About a Boy". Dividere la giornata in segmenti di 30 minuti. Vediamo se recupero il tempo, la testa, il ritmo, una disciplina. Che anche essere felici è frutto di uno sforzo. E io sono notoriamente pigra.

Perché, come dice il mio libro vaginocentrico preferito (pieno di cliché, ma che comunque mi è servito quando mi serviva):
"People universally tend to think that happiness is a stroke of luck, something that will descend upon you like fine weather if you're fortunate enough. But that's not how happiness works. Happiness is the consequence of personal effort. You fight for it, strive for it, insist upon it, and sometimes travel the around the world looking for it....Once you have achieved a state of happiness, you must never become lax about maintaining it, you must make a mighty effort to keep swimming upward into that happiness forever, to stay afloat on top of it."
(All'incirca: "La gente universalmente tende a pensare che la felicità sia un colpo di fortuna, qualcosa che ti accade come il bel tempo, se sei abbastanza fortunato. Ma non è così che funziona. La felicità è la conseguenza di uno sforzo personale. Combatti, ti sforzi, insisti per ottenerla, e qualche volta viaggi per il mondo cercandola... una volta che hai raggiunto uno stato di gioia, per mantenerlo non devi mai diventare lassista, devi fare l'enorme sforzo di continuare a nuotare verso di essa, di stare a galla sopra di lei.")
[Elisabeth Gilbert, Eat Pray, Love]

 
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