Creato da uomosenzaqualita il 04/11/2012

L'uomo senza qualità

Un comune caso di personalità multipla

 

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1974

Post n°19 pubblicato il 05 Luglio 2013 da uomosenzaqualita

 

 

Da qualche tempo ho ripreso il vano tentativo di mettero rodine alle mie cose.

Migliaia di negativi e diapositive da digitalizzare. Un numero imprecisato, ma comunque enorme, di scatti digitali.

E scritti. Lettere. Racconti. Versioni poi non pubblicate e incipit di lavori mai finiti. Una montagna di cartelle dattiloscritte o scritte a mano, rovine dei tempi pre-informatici.

Non so dire se questa rinnovata .... urgenza sia un effetto "recherche" da età che avanza o da semplice stanchezza.

In ogni caso, resta che di moltissima parte di tutto ciò non avevo neppure memoria.

Ricordo invece perfettamente il contenuto di una specifica cartelletta, che pur avendo tolto dal fondo del cassetto in cui stava, non ho ancora aperto, e dal tavolo su cui è posata sembra incombere su tutto ciò che faccio.

Contiene alcuni ritagli di giornali del 1974, articoli di cronaca che riportano un episodio accaduto nella mia città.

Quel episodio riguarda la storia di Patrizia e Paolo, iniziata ai sedici anni di lei e ai diciassette di lui.

Si conobbero a scuola, e come è naturale che potesse accadere, si presero, con tutta l’inconsapevolezza necessaria per farlo.

Altrettanto naturalmente, la cosa si andò esaurendo nei due anni successivi. Probabilmente fu perchè lui non capì di non bastarle. Insomma, Paolo fu lasciato, o meglio, abbandonato. Avrebbe potuto, a quella età, non soffrirne come raramente gli sarebbe capitato in vita sua?

Le notizie che Paolo riuscì ad avere della vita di Patrizia nei mesi successivi, divennero sempre più frammentarie e cupe. Patrizia era diventata eroiname, come frequentemente accadeva a quei tempi a chi non si bastava. Viveva a Roma, dove faceva di tutto, compreso occasionalmente prostituirsi, per potersi fare.

Passarono altri due anni. Incolori.

Inaspettatamente, un venerdì sera, Paolo incontrò Patrizia in un locale della sua città. Gliela indicò un amico, ma faticò non poco a riconoscerla. E davvero Patrizia era qualcos’altro dalla persona che Paolo pensava di aver amato. Si avvicinò per salutarla, per parlare. Ubriaca e fatta fradicia, ci mise un tempo infinito a riconoscerlo. Lui la salutò frettolosamente e fuggì, incerto se lei lo avesse davvero riconosciuto.

Nelle settimane successive Paolo si sforzò di rimuovere il ricordo di quell'incontro. Ma i suoi sforzi furono vanificati quando, una domenica pomeriggio, rispondendo al telefono, sentì la sua Patrizia singhiozzare dall’altra parte della linea.

Si fece dare il suo indirizzò e la raggiunse. Quelli che seguirono furono mesi terribili. Lei si devastava in continue crisi di astinenza e quasi sempre finiva per cedere. Esattamente come in una mediocre sceneggiatura da film, arrivò a rubare danaro dal suo portafoglio, oggetti di casa rivendendoli per procurarsi roba.

Lui arrivava a casa e la trovava invariabilmente sconvolta. Il sesso tra loro era incomprensibile, ed era sempre lei a volerlo. O almeno a lui così sembrava. Era qualcosa di liquido, inconsistente. Lui sapeva perfettamente che nulla d’altro era se non la disperata ricerca di Patrizia di una via d’uscita, la simulazione di una normalità irrimediabilmente persa.

Poco prima dell’estate di quel anno lei scomparve di nuovo. Paolo non la cercò.

Faceva ancora buio la mattina dell'ultimo dell'anno del 1974, quando ancora una volta Paolo fu svegliato di soprassalto dal telefono.

Una voce maschile gli chiese se fosse lui l’uomo di Patrizia. Senza aspettare risposta la voce continuò e gli diede un indirizzo, dicendogli che lei si trovava là e che stava male per della roba sporca con cui si era bucata. Che se la venisse a prendere.

Non fu una decisione, ma solo una reazione automatica. Meccanicamente, si vestì in fretta e furia e volò all’indirizzo ricevuto. 

Arrivò e la trovo per strada, seduta appoggiata alla parete di una casa accanto ad un portone. Indossava solo un maglione, pantaloni, un giaccone da uomo, scarpe senza calze. Sudata e fredda. Il respiro corto. Grigia.

Lo investì un’ondata di panico mai provata prima. La chiamò urlando, la scosse, la schiaffeggiò. Lei sembrò riaversi. Lo fissò negli occhi, forse lo vide e accennò un sorriso sbieco.

Paolo guardò il deserto intorno in cerca di aiuto. Si avventò sul citofono della casa e si attaccò al primo pulsante. Dopo un tempo infinito una voce gracchiò chiedendo chi fosse. Lui cercò di spiegare e pregò di chiamare un’ambulanza. La voce non rispose e il citofono tacque di nuovo.

Lui suonò di nuovo a lungo. Una finestra si illuminò e qualcuno si sporse per guardare. Una voce urlò di piantarla, che avevano già chiamato.

Arrivò l’ambulanza che inizia a rischiarare. Due o tre persone scesero velocemente e le si affollarono intorno.

Lui chiese dove la portavano e se potesse salire sull’ambulanza. Gli dissero di no.

Saltò sull’auto e seguì l’ambulanza. Al pronto soccorso stava per seguire la barella quando fu bloccato da un poliziotto. La vide sparire dietro la porta bianca.

Di quelle ore successive, Paolo ricorda solo la stupida ostilità del poliziotto che cercava in tutti modi di fargli dire che l'eroina gliela aveva fornita lui.

Patrizia morì di overdose alle dieci e venti del 31 dicembre 1974. I titoli dei giornali, due giorni dopo, avrebbero riportato: “Emergenza droga: tre altre vittime in una sola notte.”

Lui capì immediatamente che quella notte appena trascorsa sarebbe stata una parte per sempre ineludibile della sua vita futura.

Incrociò i genitori di Patrizia in corridoio mentre se ne andava. E’ possibile che il rancore che vide nel loro sguardo fosse solo una sua impressione.

Chissà chi erano gli altri due morti di quella notte.

Non riesco a trovare un posto adatto dove riporre la cartella.

E nessuna immagine che non sia ipocrita.


Milano, data imprecisabile

 

 

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