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Sindrome di Edwards

Post n°3134 pubblicato il 25 Settembre 2019 da namy0000
 

Il 2 luglio 2016 nasceva a Roma un bambino con una grave malattia, la sindrome di Edwards, tanto grave da renderlo incompatibile con la vita. La madre lo aveva lasciato in ospedale, e i servizi sociali avevano provveduto perché gli fosse dato un nome e fosse adottato. Ma la grave malattia rendeva questo bambino, che finalmente aveva un nome, Valentino, difficilmente adottabile. I primi giorni di agosto mia sorella, infermiera presso l’ospedale dove Valentino era stato ricoverato, mi disse che l’assistente sociale e la psicologa si stavano attivando per cercare volontari che si prendessero cura di lui qualche ora a settimana; ‹‹qualcuno che lo prenda almeno in braccio››… Iniziai il mio “pellegrinaggio” in ospedale. Il lunedì pomeriggio divenne il giorno di Valentino, ricordo l’emozione di vederlo, il timore di non essere in grado di prendermene cura ma l’intuizione profonda del cuore che ero entrata in un progetto straordinario d’amore. E questo progetto aveva un nome buffo e tenero: Valentino. Il 24 ottobre lo vidi per la prima volta, occhi blu, magrolino, con diversi tubicini attaccati al corpo e gli elettrodi con disegnate sopra delle paperelle. Era in una stanza con altri bimbi e ricordo gli occhi dei loro genitori finalmente sollevati nel vedere che qualcuno si prendeva cura di lui. Oltre a me sarebbero venuti altri volontari perché è proprio vero che quando la vita ti toglie qualcosa, Dio te la dona centuplicata. Del secondo giorno che andai a trovarlo ricordo, vivida, la frase di un’infermiera. Le chiesi se andava bene come stessi tenendo in braccio Valentino e lei rispose: ‹‹L’importante è che non ti senti inadeguata››. È vero, non saremo mai inadeguati se staremo amando. Andai a trovare Valentino altre quattro volte, altri quattro lunedì, dopodiché tornò alla casa del Padre, la sua missione di bellezza e semplicità era terminata. Era il 28 novembre 2016 e Dio mi concesse di essere presente la sera della morte. Valentino aveva la febbre molto alta, tanto che le infermiere gli avevano messo del ghiaccio sulla schiena; ricordo i calzini di lana con l’immagine di un cagnolino, troppo grandi per i suoi piedini, e una tutina chiara. Lo tenevo in braccio, canticchiavo e lo accarezzavo. Poi non so cosa accadde ma la dottoressa si allarmò nel vedere i parametri sul monitor. Erano alterati, qualcosa non andava bene. Intervennero, velocemente, ma non vedendo miglioramenti mi dissero che probabilmente non avrebbe superato la notte. Chiamarono il cappellano che arrivò insieme alle infermiere delle altre stanze e questa piccola chiesa pregò insieme. Fu letta la Parola della figlia di Giairo, il cappellano la commentò e ricordo che disse che la Vergine Maria era presente, che avrebbe accompagnato Valentino, che non era solo e non lo era mai stato. Poi rimanemmo soli, io, Valentino, due infermiere e la dottoressa. L’ho tenuto tra le braccia a lungo, dopodiché la dottoressa decise di sedarlo per fargli sentire meno dolore. Lo accarezzavo sulla guancia sussurrandogli che poteva abbandonarsi tra le braccia della Vergine Maria perché la sua piccola marcia era finita, davanti a sé solo il traguardo: il Paradiso. Lo salutai verso le 22 e venni a sapere che dopo dieci minuti circa Valentino era salito in Cielo. Provai dolore e tenerezza, ma anche tanta gratitudine verso Dio per aver potuto accompagnare Valentino in questo breve tratto di vita; ero stata la prima a vederlo e l’ultima a salutarlo. Penso alla frase di san Paolo: ‹‹Quando sono debole è allora che sono forte››. Valentino nella sua infinita debolezza ha attratto a sé tante persone che, liberamente, hanno accettato di donare il loro tempo. Valentino, nella sua infinita debolezza ha messo in circolo l’Amore, un Amore arrivato fino alla signora Angela, madre di una bimba salita in Cielo a pochi anni di vita e seppellita non lontano da Valentino. Era il 2 luglio 2017, Valentino avrebbe compiuto un anno, e io avevo deciso di fargli visita al cimitero per festeggiare il Paradiso, per contemplare che la vita non finisce, che siamo fatti per il Cielo. Incontrai una mamma, Angela, che sei anni prima aveva perso la figlia Anna Maria. Mi si fece vicina e iniziammo a parlare. Mi disse che aveva perso la fede e sentiva dentro di me una speranza grande. Mi chiese chi fosse il bambino nella tomba e le raccontai la storia di Valentino, della malattia, dei volontari, del centuplo che aveva ricevuto in madri che si erano prese cura di lui. Lei ascoltava meravigliata, assetata di speranza, di vita. Allora le dissi che sua figlia stava in Paradiso, che tutti i bambini seppelliti in quel campo stavano in Paradiso. Mi disse che avrebbe voluto avere la mia stessa fede e le dissi che avrei avuto fede io per lei e per lei avrei pregato. Quel giorno Valentino aveva seminato la speranza nel cuore di questa donna, ‹‹tua figlia non è morta, ma dorme›› (Mt 9,18-26), e io ero stata testimone  di come l’Amore scelga strade misteriose per manifestarsi, che la vita donata, spesa nella vigna del Signore, fiorisca in modo straordinario. Il Vangelo di quel giorno era questo: ‹‹Chi avrà tenuto per sé la propria vita la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà… chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa›› - Elisa O. (FC del 22 settembre 2019).

 
 
 
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