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Ragazzi

Post n°1130 pubblicato il 20 Ottobre 2014 da namy0000
 

 

«Ragazzi,siate affamati. Siate folli». Perché davveropochi adulti (siano essi genitori, preti o insegnanti illuminati), ormai,dicono ai ragazzi di essere «affamati e folli».Affamati di sogni, di vita e di speranza. E folli al punto di osare il tutto eper tutto per seguire il proprio cuore e cercare la vera felicità.Eppure a dirlo ai neolaureati dell’Università di Stanford, il 12 giugno 2005, fu Jobs in persona. Lui cheera uno degli uomini di successo più importanti del mondo ma non era laureato.E, peggio ancora, aveva lasciato il college dopo soli 18 mesi di frequenza.Tanti ricordano quello slogan. Ma pochi ricordano cosa Jobs aveva detto aquegli studenti pochi minuti prima di pronunciare quella frase. Steve non aveva parlato loro di soldi o disuccesso, ma aveva fatto un’altra di quelle cose che gli adulti amano moltopoco: aveva parlato loro della morte. Della sua (Jobs sapeva di avere untumore al pancreas da un anno circa) e della loro. E l’aveva fatto senzafronzoli. «Nessuno vuole morire ma nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così chedeve essere perché la morte è con tutta probabilità la più grande invenzionedella vita. È l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per farposto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, maun giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e saretespazzati via». Poi, vedendo forse qualche volto spaventato, aveva dettocome un buon fratello maggiore: «Ve lo dicoperché capiate che il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendola vita di qualcun altro. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e lavostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmentediventare». E parlando di sé, aveva aggiunto: «Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che ioabbia mai incontrato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché quasitutte le cose – tutte le aspettative, tutto l’orgoglio, tutti gli imbarazzi e itimori di fallire – semplicemente scompaiono di fronte all’idea della morte,lasciando solo quello che è realmente importante. Ricordarsi di dover morire èil modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chipensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è quindi ragione pernon seguire il vostro cuore». Durante il suo discorso di 14 minuti e 35secondi, Jobs non aveva elencato le sue invenzioni o le cifre del suo conto inbanca. Aveva parlato loro dei suoi tanti"fallimenti". Della madre che l’aveva abbandonato, del collegelasciato dopo soli 18 mesi e di quando l’Apple, che lui aveva cofondato,l’aveva licenziato. «Ero devastato. Per mesinon sapevo cosa fare. Pensai di scappare via dalla Silicon Valley. Ma amavo ilmio lavoro. Allora non lo capii, ma il fatto di essere stato licenziato fu lamigliore cosa che potesse succedermi. La pesantezza del successo fu prestorimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante senza piùcertezze. Mi liberò dagli impedimenti facendomi entrare in una fase moltocreativa». Anche in questo punto aveva scelto di essere molto diretto: «Qualche volta la vita colpisce duro. Non perdete la fede, però. Continuate a cercare –negli affetti come nel lavoro – qualcosa che valga davvero la pena di amare.L’unico modo per fare un buon lavoro, infatti, è amare quello che si fa».Adesso che Jobs è morto, con una fine così drammatica e prematura, questo suo«testamento spirituale» appare ancora più forte di sei anni fa, quando lopronunciò. Il suo «Siate affamati. Siate folli», da ieri rimbalza in centinaiadi siti Internet. Peccato che tanti dimentichino, come invece disse aglistudenti quel giorno Steve, che quelle parolenon sono sue: «Erano scritte sull’ultima pagina di una rivista, cheleggevo da ragazzo. L’aveva creata Stewart Brand e ci aveva messo dentro tuttoil suo tocco poetico. Nell’ultima pagina, dell’ultimo numero, il suo messaggiod’addio fu quella scritta: "Siate affamati. Siate folli"». I pc nonesistevano ancora. Il mito di Jobs nemmeno. Ma quelle parole legate a unfallimento (la chiusura di una rivista che era una sorta di Google, 35 anniprima che venisse inventato il motore di ricerca più famoso del web) hannofatto entrare nella storia un 17enne«affamato», il quale, dopo averle lette, ha provato a metterle in pratica.Nella sua vita è caduto, ha sbagliato, ha sofferto, fatto la fame e si èritrovato 50enne a lottare contro un tumore. «Ma ho sempre guardato al futurocon un occhio al passato e sapendo che sarei dovuto morire. Perché solo guardandosi indietro con laconsapevolezza di dovere un giorno perdere tutto si possono unire i puntinidella propria vita» (Avvenire, 2014).

 

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