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E' tipico del pensiero ideologico

Post n°2490 pubblicato il 14 Gennaio 2018 da namy0000
 

“È tipico del pensiero ideologico – di ogni ideologia ma soprattutto di quelle di natura religiosa – dar vita a una rappresentazione del mondo di tipo dicotomico o gnostico. Si esaltano la felicità, la bellezza, la verità, la luce speciale di chi è dentro quell’esperienza, e si svalutano le felicità e le bellezze ordinarie di quelli che sono fuori. L’amicizia, il lavoro, il gioco, l’arte, la vita di tutti non bastano più. C’è bisogno di caricare queste realtà di significati aggiuntivi straordinari e diversi. E presto si finisce per non riuscire più a gioire di rivedere un "amico e basta", del "lavorare e basta", di "pregare e basta", di "dipingere e basta". Si comincia a credere che la semplice vita non basti per vivere. E mentre ci si convince di vivere più degli altri, si rischia di smettere di vivere veramente.Questo processo di riduzione del valore delle cose ordinarie della vita è particolarmente importante e rilevante quando si ha a che fare con persone portatrici di talenti di creatività: artisti, intellettuali, poeti, filosofi, teologi… Questi sono gli innovatori, capaci di creatività primaria e originale, che consente al carisma di restare generativo. Sono il carisma del carisma. Le comunità ideali e "carismatiche", soprattutto nella fase fondativa, attraggono persone con talenti speciali e artistici. C’è una profonda affinità tra carismi spirituali e carismi artistici, perché entrambi sono voce che chiama, parla e guida dentro. Al tempo stesso, è altrettanto comune che dopo le stagioni della fondazione, molte delle persone con i maggiori talenti se ne vanno o si spengono – e a volte con la perdita della vocazione ideale si smarrisce o si spegne anche quella artistica, perché le due voci nel tempo erano diventate (quasi) una sola.

Questi tristi esiti dipendono profondamente dalla capacità che ha la comunità (e i suoi fondatori/responsabili) di accudire e rispettare i talenti originali della sua gente, di non immolarli sull’altare delle esigenze della crescita dell’istituzione. Dal riuscire a vincere la naturale avarizia di usare quei talenti e quelle persone affascinanti principalmente per i fini ideali della comunità. Chi ha ricevuto un dono di creatività e insieme una vocazione spirituale, nelle comunità ha il compito, preziosissimo, di impedire la trasformazione dell’ideale in ideologia. Perché il contatto primario e diretto con la vita, tipico (anche se non esclusivo) degli artisti e degli intellettuali, consente quella pluralità e quella biodiversità che è la salvezza delle comunità dalla deriva ideologica. Sono persone che riescono a dire cose diverse in modi diversi, e questa diversità originale e originaria consente agli ideali di restare genuini e vivi. La vocazione artistica, come quella spirituale-carismatica, è infatti una vocazione originaria, primitiva, non derivata. Ma non è semplice, sebbene sia decisivo, comprendere che le persone possono avere più vocazioni originarie e primarie, senza che l’una debba necessariamente morire per far vivere l’altra. L’identità cresce bene se una dimensione della vita non diventa monopolista. Ma tutto ciò è molto rischioso, e così si finisce per preferire persone "ridotte" ma certe a persone "intere" ma incerte.

Le comunità, in particolare quelle spirituali e carismatiche, di solito non vogliono "artisti e basta", vogliono e formano artisti e intellettuali tutti spesi a servizio del messaggio. Non credono che è dall’"arte e basta" che potrà, forse, fiorire quell’arte speciale carismatica di cui sentono il bisogno. E così pensano di ottenere un’arte diversa orientando la prima vocazione naturale alla seconda ideale. Lo fanno in vari modi. A volte semplicemente impedendo loro di coltivare il violino, la letteratura, la danza, gli studi, per poter dedicare tutte le loro energie vitali e spirituali alla nuova "vocazione". Altre volte, e sono i casi più interessanti da analizzare, chiedono loro di subordinare talenti e creatività agli scopi della comunità e al suo messaggio. Prima scolpivano fiori e bassi rilievi; ora solo crocifissi e angeli.

Li tolgono quindi dagli ambienti normali e di tutti, meticci e promiscui, dove cresce la vita vera, li mettono su un piedistallo sottovuoto per dar gloria con le opere alla comunità e al suo carisma, magari a Dio. L’arte e la cultura diventano così produzione ideologica, dove il messaggio si "mangia" l’arte e il pensiero (e Dio), per assenza di gratuità e di libertà – la storia ce ne dà abbondante evidenza. La vocazione artistico-intellettuale da primaria diventa secondaria e ancillare.

Gli artisti servono le loro comunità se riescono a restare connessi direttamente a falde della terra profonde e diverse da quelle alle quale attinge il carisma della comunità. È questo tipo diverso di acqua che arricchisce l’acqua di tutti (e la sua). Se invece un giorno la comunità decide di occludere l’accesso diretto alla vena sotterranea diversa, e con un tubo di raccordo connette l’artista all’unica sorgente di tutti, l’intero campo comune perde nutrimento e fecondità. Le vocazioni artistiche e originariamente creative sono un bene comune se riescono a portare acque diverse da quella che sgorga abbondante dalla fonte dei fondatori. E invece quando il virus ideologico prende piede tutte le fontane della comunità vengono collegate all’unico acquedotto principale.

 

- l.bruni@lumsa.it – Avvenire, 13 genn. 2018. 

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Commenti al Post:
Lutero_Pagano
Lutero_Pagano il 14/01/18 alle 07:35 via WEB
Molto interessante la tua lucida analisi che mi trova fondamentalmente d'accordo.
Questa soppressione/svalutazione degli elementi squisitamente "umani" a favore della presunta eccellenza se non superiorità del proprio mulino ideologico, talvolta ha avuto anche uno svolgimento postumo che non si é fatto scrupolo di operare, all'occorrenza, persino un marcato revisionismo storico.
 
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