Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Settembre 2017

La cultura della crudeltà

Post n°2354 pubblicato il 30 Settembre 2017 da namy0000
 

“La cultura della crudeltà sta dilagando nel mondo attraverso frontiere e confini ideologici… Tutto è permesso. Oggi è possibile giustificare ogni cosa, come conferma l’esplosione del “benaltrismo” globale, che rappresenta l’apoteosi della ragione e della logica a scapito della morale. Una democrazia più solida o un’economia di mercato più aperta non basterebbero a liberarci da questo caos morale. Ci siamo affidati troppo alla presunta razionalità del mercato e della democrazia, nonostante le conseguenze negative che portano, come la disuguaglianza e la dittatura della maggioranza. Ora, di fronte all’ascesa del fanatismo globale, dobbiamo ricostruire le fondamenta della società umana. Da tempo alle nostre idee politiche ed economiche manca un elemento vitale: la compassione. La perdita è ancora più devastante se pensiamo che questo sentimento, e non certo la razionalità, è al centro del pensiero di Jean-Jacques Rousseau. Egli pensò a lungo al modo in cui gli individui, liberi dall’autorità tradizionale e dalla gerarchia, avrebbero potuto vivere da uguali. Secondo il pensiero francese, un’umanità condivisa non si manifesta nella nostra capacità di ragionare ma nell’orrore che nasce di fronte alla sofferenza. Rousseau affermava che il contratto sociale deve basarsi sulla solidarietà tra gli individui e l’empatia per i più deboli. Oggi il contratto sociale si sta sfaldando e lascia spazio a una cultura globale della crudeltà, perché abbiamo perso di vista le regole della coesistenza umana. Le soluzioni politiche ed economiche che non prevedono un ritorno della compassione ci spingeranno ancora più a fondo verso la barbarie morale” (Pankaj Mishra, Internazionale n. 1223 del 22 sett. 2017).

 
 
 

L'incredibile storia di Derya

Post n°2353 pubblicato il 30 Settembre 2017 da namy0000
 

Musulmana, atea, protestante e infine cattolica. L’incredibile storia di Derya

Nata in Turchia, dopo il divorzio dei genitori scopri che «l’islam non reggeva davanti a uno sguardo critico». Cercando di portare all’ateismo una protestante si convertì e poi capì che «solo la Chiesa concilia scienza e fede».

È il travagliato cammino di fede percorso da Derya L., turca, oggi residente negli Stati Uniti, racconta la sua storia. A partire da quando, giovane studente nella scuola pubblica turca della città di Konya, prendeva il massimo dei voti nella recitazione delle sure del Corano, poi però tornava al banco e ad alta voce diceva ai suoi compagni: «Tanto lo sapete che Dio non esiste».

DIVORZIO DEI GENITORI. Little ha sempre avuto una visione idilliaca dell’islam e del profeta Maometto come di «un uomo perfetto». Poi però il divorzio dei genitori, nei primi anni Novanta quando lei aveva 11 anni, la spinse a mettere tutto in discussione: «Il divorzio ha stravolto il mio mondo. Nessuno divorziava a quel tempo. Io sono stata assalita dai dubbi e mi sono chiesta: se i miei genitori mi hanno mentito riguardo al loro amore, non potrebbero avermi mentito anche riguardo alla fede?», dichiara in un’intervista al Christian Post.

ESAMINARE L’ISLAM. I dubbi la spinsero a pregare Allah con ancora più fervore «ma avevo l’impressione che nessuno mi ascoltasse». Così cominciò a rileggere la storia dell’islam, i libri sacri e la vita di Maometto «con occhio critico» e scoprì che «quello non era un tipo di uomo che volevo seguire nella vita». In particolare, fu «il trattamento che riservava alle donne che mi scandalizzò», ma non solo: il matrimonio consumato quando sua moglie aveva solo nove anni, l’uccisione di chi lo criticava, l’enorme ricchezza accumulata dopo le guerre, il trattamento riservato a chi professava un’altra religione e il fatto che «ogni volta che ne aveva bisogno, arrivava un nuovo verso coranico a dare a Maometto tutto ciò che desiderava. Ero giovane, ma avevo ancora gli occhi per vedere che l’islam non reggeva davanti a un esame minuzioso».

CRISTIANI SCREDITATI A SCUOLA. Derya fu anche colpita dalla faziosità di quello che le veniva insegnato a scuola: «I manuali ci parlavano delle conquiste di Maometto come di un modo per portare la vera religione a tutti i popoli. E ci facevano credere che tutti i nuovi territori avessero esultato all’arrivo di Maometto, desiderosi di sottomettersi. Solo dopo ho scoperto che si è trattato di conquiste sanguinose, costellate da conversioni forzate. Anche la storia delle Crociate veniva distorta: nessuno mi aveva mai detto che erano cominciate per riconquistare territori finiti sotto il controllo islamico. Era una guerra di difesa ma ogni cosa in Turchia viene distorta per screditare i cristiani».

MISSIONARIA ATEA. Diventata atea, si convinse che l’unica religione possibile era «la scienza» e si concesse a una vita dissoluta, fatta di relazioni occasionali e alcol. Quando a 19 anni incontrò una missionaria protestante arrivata in Turchia dagli Stati Uniti, alla quale insegnava il turco per racimolare qualche soldo per l’università, decise di convertirla all’ateismo «per illuminarla e liberarla dalle catene della sua falsa fede». Nei tre anni che passò a litigare con la sua nuova amica, scoprì un Dio diverso da Allah e si convinse che la scienza non poteva spiegare tutto. Dio poteva esistere ma c’erano ancora troppe cose che non tornavano. Come l’esistenza del male, ad esempio: «Non avevo mai compreso la nozione di peccato o di libero arbitrio prima di leggere Dostoevsky. Solo dopo aver letto i suoi libri ho compreso che per essere davvero libero, e non uno schiavo, l’uomo deve avere il libero arbitrio, che però implica il male. Per la prima volta ho avuto l’intuizione di un Dio desideroso di essere amato, non solo temuto». A 22 Derya si convertì al protestantesimo.

IL «TRADIMENTO» PROVVIDENZIALE. Ma il suo cammino,  non era ancora terminato, «ero ancora alla ricerca di casa mia». Derya non capiva, ad esempio, come fosse possibile che «l’unica autorità risiedesse nella Bibbia e come si potesse essere certi di essere salvati. Forse che Dio aveva deciso di riprendersi il libero arbitrio dopo il battesimo? E perché Gesù non ci aveva lasciato nessuno per guidarci?». Queste domande ronzarono nella sua testa per anni, fino a quando un suo carissimo amico non si convertì al cattolicesimo. Derya, furente per il «tradimento» dell’amico, decise con spirito missionario di provare a salvarlo da quella falsa fede per riportarlo al protestantesimo, così come aveva cercato di salvare la missionaria protestante per trascinarla nell’ateismo. Anche questa volta, si rivelò una “pessima missionaria” perché più approfondiva la dottrina cattolica per contestarla, più ne rimaneva affascinata. La cosa che la stupì di più fu che, al contrario del protestantesimo, «la Chiesa cattolica era in grado di conciliare perfettamente fede e scienza». «ORA SONO A CASA». «Roma mi stava chiamando perché tornassi a casa e io ho risposto», scrive in conclusione. «Il mio viaggio dall’islam al cattolicesimo non è una strada molto battuta nel mio paese. Eppure Cristo, con grande misericordia e amore, ha aperto il mio cuore e ha inviato i suoi araldi a incrociare la mia strada per guidarmi all’unica vera Chiesa. Finalmente mi sento a casa». (Settembre 29, 2017 Leone Grotti, TEMPI).

 
 
 

Il calcio può essere

Post n°2352 pubblicato il 30 Settembre 2017 da namy0000
 

Il calcio può essere una grande occasione di crescita personale poiché ci si deve mettere al servizio di una squadra – le parole di Ancelotti -. In questo modo le diversità di idee, di opinioni, di credo o di cultura, devono confrontarsi con il rispetto reciproco, con la fiducia nel voler raggiungere insieme un obiettivo. E la vittoria per i bambini di Gerusalemme sarà poter crescere in una città in pace. Perciò sarò felice di essere con loro a portare i valori dello sport con un messaggio di speranza".

 
 
 

Frutto della terra

Post n°2351 pubblicato il 30 Settembre 2017 da namy0000
 

“Frutto della Terra e del Lavoro dell’uomo”.

“Frutto”, quale risultato di una scelta, un processo produttivo, una cura, una voglia, un piacere e, non ultimo, un benessere;

“Terra”, nel suo significato di Terra fertile, supporto di colture, Terra Madre, Territorio che ci ospita e ci appartiene, paesaggio-ambiente, globo;

“Lavoro”, quale impegno, professione, realizzazione, partecipazione, condivisione, compagno (cum panis), reddito, creatività, impronta;

“Uomo”, individuo, società, intelligenza, stupidità, malvagità, dialogo, partecipazione, voglia di libertà e di pace, come pure del bello e del buono, amore, sogno, emozione

“Mondo rurale”, il mondo espresso dalla “rus”, la campagna, e che vive la campagna, ha la possibilità di avere nelle mani la terra, sentire il suo calore, la vita che esprime, o, anche una pianta, piccola come quella di un prato o di un orto, o, grande come quella di un viale, di un campo. Un filo d’erba, un fiore, un olivo, una sequoia;

“Cambia”, cioè muta, si trasforma, ed ha significato positivo se è per dare di più e meglio, altrimenti il cambiamento è offesa, distruzione, ritorno a un passato che non ha più significato, nel momento in cui non alimenta il presente, ma se lo divora.

Ecco il “presente”, l’eredità che il passato mette nelle nostre mani, pone alla nostra attenzione, riflessione, pensiero, idea, progetto, voglia di un “domani” che, quando diventerà presente, è un presente che raccoglie, presenta, consegna una buona eredità.

Dal 2005 ad oggi ci sono stati - sulla spinta della crisi strutturale (2004) che cade pesantemente sul mondo rurale e anticipa di quattro anni la crisi economica, e non solo, che colpisce il mondo e, in modo particolare i Paesi più fragili - cambiamenti profondi.

Non si è mai parlato così tanto di energia come in questi ultimi anni. Di tutte le energie, le più disparate, meno, però, che di quella vitale, il Cibo, che è diventato spettacolo con tutti i principali canali televisivi impegnati e le stesse pagine dei giornali. Tante televisioni per far vedere come si cucina, ma poche o niente per spiegare come si coltiva, si produce.

La cultura non è mai casuale, rispecchia i tempi e rispetta il pensiero, la volontà, i progetti del sistema che da qualche tempo governa il mondo.

Un sistema, il neoliberismo, che ha dato vita ed anima il mercato globale. Un processo, quello della globalizzazione, che non si è mai fermato, ma solo rallentato (la grande crisi) e che vuole a tutti i costi affermare la sua realizzazione con la piena affermazione della liberalizzazione e privatizzazione, l’idea di un governo globale e la fine delle sovranità nazionali con gli Stati solo sulla carta.

Sta qui – ho provato a spiegarlo qualche mese fa con un articolo su queste stesse pagine di Teatro Naturale - il significato del Ceta, il trattato Europa –Canada, che va oltre le finalità di abbattimento delle barriere commerciali, nel momento in cui va a toccare e intaccare le barriere “non commerciali”, cioè quelle riguardanti diritti, valori, principi che le genti di questi due mondi si sono dati con le loro Costituzioni in primo luogo.

Le conseguenze più evidenti e drammatiche di questo processo che trova una sua accelerazione con

l’approvazione dei trattati tra aree che rappresentano fette importanti del mercato globale sono:

1. L’attacco al globo ed alle sue fondamentali risorse, l’agricoltura in primo luogo con la sua meccanizzazione esasperata, che azzera l’uomo coltivatore e rende deserta la campagna, cioè l’espressione della ruralità. Sia là dove queste macchine hanno la possibilità di operare per produrre quantità; sia là dove queste macchine e le stesse innovazioni producono più danni che rimedi per una visione unilaterale del territorio, come se fosse tutto e solo una immensa pianura. Omologazione che non contempla la diversità e, non solo, la qualità

2. La forbice delle disuguaglianze che accentua e apre a nuove povertà, nuovi conflitti, nuove guerre, nuovi disastri, milioni e milioni di uomini, molti dei quali erranti, privati come sono della identità con i loro territori di origine e di appartenenza.

3. La ricerca dei rimedi, quasi sempre peggiori dei mali, nel momento in cui hanno come obiettivo la salvaguardia del sistema, cioè la ricerca del profitto per il profitto

Cosa fare?

Fare i sarti che non si accontentano più di mettere le pezze a un vestito disastrato, consunto, ma che utilizzano le pezze, non importa se di diversa fattura e di diverso colore, per un nuovo vestito che ha i colori dell’arcobaleno, quelli della pace.

Si tratta di cucire, trovando ed utilizzando un filo diverso, che non è quello del profitto per il profitto, ma della cultura che serve alla politica per affermare un vero cambiamento.

La cultura del territorio, il grande tesoro che abbiamo e che ci appartiene con tutte le sue risorse e i suoi valori, in primo luogo la Terra, la terra fertile; l’agricoltura, con i suoi grandi protagonisti; la ruralità, cioè la campagna per un nuovo rapporto con la città. Un nuovo rapporto che è tale solo se tessuto e mantenuto vivo dal dialogo, da un senso vero, non solo di solidarietà ma di reciprocità, il grande valore proprio del mondo contadino

La cultura della sobrietà e della sovranità alimentare per cogliere e mantenere vivo l’obiettivo della sicurezza alimentare in un mondo animato da oltre 7 miliardi di donne e uomini che diventeranno oltre nove miliardi fra poco più di trent’anni

E’ a questo mondo che verrà che bisogna pensare oggi e non domani.

 

di Pasquale Di Lena
pubblicato il 29 settembre 2017 in Pensieri e Parole > Editoriali

 
 
 

Ne hanno creati di nuovi

Post n°2350 pubblicato il 29 Settembre 2017 da namy0000
 

“Le armi non hanno mai risolto i problemi che avevano causato il conflitto, anzi ne hanno creati di nuovi ogni volta. I pochi combattenti dei villaggi e dei kibbutz che si scontravano cent’anni fa, con il tempo, sono diventati centinaia di migliaia di soldati armati, missili e razzi, aerei da combattimento, ma anche armi nucleari o armi illegali e droni. Ci sono stati episodi di guerra elettronica e milioni di persone impazzite, di entrambi gli schieramenti, si sono combattute fino alla morte. Dovremmo convincere tutte le parti coinvolte nel conflitto arabo-israeliano (e quelle che si sono aggiunte in seguito, come l’Iran e gli Stati Uniti) a tornare al punto di partenza e farsi una serie di semplici domande da manuale: quali sono le problematiche territoriali e politiche di questa disputa? Sappiamo cosa pensano le popolazioni coinvolte? I cittadini a cosa rinuncerebbero per ottenere la pace? Questi  elementi sono sul tavolo dei leader che stanno discutendo tra loro per trovare un accordo? I leader arabi, israeliani, iraniani e statunitensi sono stati sorprendentemente incompetenti, per motivi che non riesco a capire. I pochi decisivi passi in avanti dello scorso secolo – gli accordi per il disarmo siglati a metà degli anni settanta, la conferenza di pace di Madrid degli anni novanta, gli accordi tra Giordania, Egitto e Israele, gli accordi di Oslo tra palestinesi e israeliani – non sono riusciti a ottenere una pace duratura. Per questo le grandi e piccole guerre si susseguono, insieme alle uccisioni, al lancio di missili e ad altre azioni militari minori. La natura umana trasforma l’istinto di sopravvivenza in voglia di aumentare le capacità di combattimento, in situazioni in cui la diplomazia e il compromesso non riescono a salvaguardare i diritti nazionali. Nessuno è pronto ad arrendersi. E allora perché questi leader, così determinati e capaci, non s’impegnano a risolvere in modo giusto le questioni che fanno combattere e soffrire i loro popoli?” (Rami Khouri, Internazionale n. 1222 del 15 sett. 2017).

 
 
 

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