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Messaggi del 20/05/2017

L'antropocene

Post n°2199 pubblicato il 20 Maggio 2017 da namy0000
 

2017, Internazionale n. 1204 del 12 maggio. Il paradosso dell’occidente. “Come fa notare il filosofo tedesco Frank Ruda, oggi abbiamo una nuova versione di antisemitismo sionista: il rispetto islamofobo dell’islam. Gli stessi politici che lanciano l’allarme sui pericoli dell’islamizzazione dell’occidente cristiano, da Trump a Putin, si sono rispettosamente congratulati con Erdoğan per la sua vittoria: l’autoritarismo islamico va bene per la Turchia, ma non per noi. Possiamo benissimo immaginare una nuova versione della vignetta dei due nazisti austriaci, uno dei quali tiene in mano il giornale e commenta: “Ancora una volta una giustificata islamofobia viene usata per criticare ingiustamente la Turchia!”. Come possiamo dare un senso a questa strana logica? È una reazione, una falsa cura per la grande malattia sociale del nostro tempo, la malattia di Huntington. In medicina, questa malattia si manifesta inizialmente con una serie di incontrollabili movimento a scatto, un fenomeno noto come corea. All’inizio la corea assume la forma di un’irrequietezza generale, con piccoli movimenti involontari, e mancanza di coordinazione. L’esplosione del brutale populismo non è molto simile? Comincia con quelli che sembrano casuali atti di violenza contro gli immigrati, atti non coordinati tra loro, che esprimono semplicemente un disagio generale e un’insofferenza verso gli intrusi. Poi, gradualmente, si trasforma in un movimento ben coordinato con una base ideologica, quello che un altro Huntington, Samuel, ha chiamato “scontro di civiltà”. Questa strana coincidenza è significativa: quello che di solito viene definito lo scontro di civiltà è una sorta di morbo di Huntington dell’odierno capitalismo globale. Secondo Samuel Huntington, dopo la fine della guerra fredda “la cortina di ferro dell’ideologia” è stata sostituita dalla “cortina di velluto della cultura”. La sua cupa visione dello scontro di civiltà può sembrare l’esatto contrario della più ottimistica visione di Francis Fukuyama, per il quale la fine della storia coincide con il trionfo della democrazia liberale in tutto il mondo. Da un lato c’è l’idea pseudohegeliana secondo cui il miglior ordine sociale possibile è la democrazia liberale capitalista, dall’altro lo scontro di civiltà come principale battaglia politica del ventunesimo secolo. Due visioni agli antipodi: come si conciliano? Considerata l’esperienza di oggi, la risposta è chiara: lo scontro di civiltà è la politica alla fine della storia… Il nuovo ordine mondiale che sta emergendo, quindi, non è quello della democrazia liberale di Fukuyama, ma un nuovo ordine di pacifica coesistenza tra diversi stili di vita politico-teologici. Una coesistenza che, naturalmente, rimane sullo sfondo del fluido funzionamento del capitalismo globale. L’oscenità di questa visione è che può sembrare un passo avanti nella lotta contro il colonialismo: l’occidente liberale non potrà più imporre i suoi standard agli altri paesi, tutti gli stili di vita saranno trattati alla pari… Per capire come è regolamentata oggi la nostra vita, e perché sentiamo questa regolamentazione come una libertà, dobbiamo concentrarci sull’ambiguo rapporto tra le aziende private che controllano il dibattito pubblico e i servizi segreti. Il capitalismo globale di oggi non può più permettersi la visione positiva di un’umanità emancipata, neanche come sogno ideologico. L’universalismo liberal democratico di Fukuyama non si è realizzato a causa dei suoi limiti e delle sue incoerenze, e il populismo è il sintomo di questo fallimento, la sua malattia di Huntington. Ma la soluzione non è il populismo nazionalista, di destra o di sinistra che sia. L’unica soluzione è un nuovo universalismo. Lo richiedono i problemi che l’umanità sta affrontando oggi, dal riscaldamento globale alla crisi dei rifugiati. Nel suo libro Che cos’è successo nel ventesimo secolo? Peter Sloterdijk esprime la sua opinione su quello che si deve fare nel ventunesimo, meglio riassunta nel titolo dei primi due saggi del libro, L’antropocene e Dalla domesticazione dell’uomo alla creazione di culture civilizzate. L’antropocene è una nuova epoca della vita del nostro pianeta, in cui noi esseri umani non possiamo più fare affidamento sulla Terra come serbatoio pronto ad assorbire le conseguenze della nostra attività produttiva: non possiamo più permetterci d’ignorare gli effetti collaterali della nostra produttività e relegarli sullo sfondo della vita dell’umanità. Dobbiamo accettare l’idea che viviamo su una Terra che è come una nave spaziale e che noi siamo responsabili delle sue condizioni. La Terra non è più l’impenetrabile orizzonte della nostra attività produttiva, è un oggetto finito distinto da noi che possiamo inavvertitamente distruggere o trasformare al punto da renderlo invivibile. Questo significa che nel momento stesso in cui siamo abbastanza potenti da influire sulle condizioni più basilari della nostra vita, dobbiamo anche accettare il fatto che siamo solo una delle tante specie animali  su un piccolo pianeta. Una volta capito questo, dobbiamo trovare un nuovo modo per entrare in rapporto con il nostro ambiente: non saremo più solo eroici lavoratori che esprimono le proprie potenzialità creative e attingono alle inesauribili risorse del loro ambiente, ma più modestamente agenti che collaborano con quell’ambiente, negoziando continuamente un livello tollerabile di sicurezza e stabilità… È per questo che vale la pena di lottare per l’idea di un’Unione europea, nonostante l’infelicità del suo stato attuale: nel mondo del capitalismo globale di oggi, è l’unico esempio di organizzazione transnazionale che ha l’autorità di limitare la sovranità nazionale e il compito di garantire un minimo di standard ambientali e di benessere sociale. Nell’Unione europea sopravvive qualcosa che discende direttamente dall’illuminismo. Il dovere di noi europei non è di umiliarci e considerarci solo colpevoli dello sfruttamento coloniale, ma di combattere per questo aspetto del nostro retaggio che è importante per la sopravvivenza dell’umanità… Solo l’Europa ci può salvare” (Slavoj Žižek, filosofo sloveno studioso di psicanalisi).

 
 
 

Gioventù grande

Post n°2198 pubblicato il 20 Maggio 2017 da namy0000
 

‹‹I giovani hanno la memoria corta, e hanno gli occhi per guardare soltanto a levante; e a ponente non ci guardano che i vecchi, quelli che hanno visto tramontare il sole tante volte››. È il Giovanni Verga dei Malavoglia che studiavamo a scuola a rappresentare vivacemente i due sguardi dei giovani e degli anziani.

“‹‹Gioventù, grande, gagliarda, innamorata. Gioventù, piena di grazia, forza, fascino, lo sai che la vecchiaia può venire dopo di te con eguale grazia, forza e fascino?››. Così il grande poeta americano Walt Whitman cantava nel suo capolavoro Foglie d’erba le due stagioni estreme della vita. 

 
 
 

Quando i giovani fanno

Post n°2197 pubblicato il 20 Maggio 2017 da namy0000
 

“Quando i giovani fanno cose intelligenti, sono il primo a partecipare. Ma quando gli stessi giovani fanno stupidate enormi, bisogna avere il coraggio di non esibirci come falsi giovanilisti, ma fermarsi e farli riflettere. Perché molte volte noi adulti siamo più cretini dei nostri figli. L’ultimo gioco al massacro arriva dall’Australia. In rete, in italiano, si chiama “Birra alla goccia”. Consiste nel bere alcol tutto d’un fiato, dopo essere stati sfidati dagli amici su Facebook. Il prescelto viene nominato in un video e costretto a raccogliere la sfida. La penitenza per il rifiuto: offrire da bere per una sera intera a chi ha coinvolto gli amici nel gioco. Già sono arrivati i morti. Un ragazzo di Agrigento, sedicenne, è finito in coma etilico. Perché i nostri giovani cadano stupidamente in esperienze così pericolose è il mio cruccio. Tra l’altro, in questi nuovi trabocchetti non inciampano i borderline, gli scapestrati, i depressi, ma giovani pieni di vita, di intelligenza. Il fenomeno dilaga: su Youtube conta già 16.500 video. E l’età sconvolge ancora di più: lo sfidato più giovane aveva 10 anni! Per fortuna esistono i bravi ragazzi, dei quali non si parla mai. Un universitario di Torino si è rifiutato. Ha bevuto un’aranciata e si è messo a cantare una canzone di Nek, giocando sul titolo originale della macabra invenzione “Neknominate” (con riferimento al collo della bottiglia, in inglese). Rifiutare significherebbe mostrarsi deboli, sarebbe un attacco al narcisismo. E ciò non è contemplato né nella nostra epoca né tantomeno nella natura dei social network. Rovesciamo l’equazione: solo chi dice no è forte. Tanti altri hanno seguito l’idea dello studente torinese, dal Nek vero a Biagio Antonacci, al Trio Medusa. Hanno chiesto anche a me e sarò felice di accodarmi. Offriamo azioni intelligenti e puntuali contro sbornie bestiali e selvagge” (don Antonio Mazzi, marzo 2014).

 
 
 

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