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Messaggi del 03/10/2017

Ragazzo come tanti altri

Post n°2357 pubblicato il 03 Ottobre 2017 da namy0000
 

«È Mustapha, 15 anni, ha preso la parola durante il corso sui diritti umani e ha arringato tutta la classe dicendo che le donne sono inferiori agli uomini, che le adultere vanno lapidate e che la mano di chi ruba va mozzata. Io ho provato a controbattere, citandogli la legge francese, ma lui mi ha risposto che chi segue un’altra legge rispetto a quella di Allah è un infedele». Mustapha era un ragazzo come tanti e non si inventava nulla. Era tutto scritto nero su bianco in un piccolo libretto sulla sharia che gli avevano regalato in moschea, una delle tante presenti nei quartieri nord della seconda città più grande della Francia, colonizzati da magrebini, algerini, ceceni e comoriani (provenienti dallo Stato insulare africano che ha guadagnato l’indipendenza dalla Francia nel 1975). La moschea in questione era quella frequentata da Abdel, il factotum della scuola, «il nostro miglior inserviente», efficiente, sempre gentile, vestito all’occidentale, «perfettamente integrato». Dopo alcuni colloqui con le forze dell’ordine, il preside Ravet scoprirà che Abdel era sotto sorveglianza dei servizi segreti da sei mesi. Mancava ancora qualche anno agli attentati di Charlie Hebdo e del Bataclan, ma Abdel era «quello che oggi chiameremmo un “fiche S”, un potenziale terrorista». La presenza degli agenti scoraggia nuovi assalti ma dopo pochi giorni quattro uomini barbuti si presentano a scuola e chiedono di parlare con Ravet. Sono gli spacciatori del quartiere, venuti a lamentarsi delle pattuglie che rovinano il business. Il preside è costretto a scendere a patti: voi non infastidite più le donne e noi non chiameremo la polizia. L’accordo è raggiunto in fretta ma Ravet non si trattiene dal domandare: «Voi siete islamici, religiosi, e vendete questa merda che uccide?». La risposta è semplice: «Noi non la vendiamo ai tuoi studenti, perché i musulmani non si drogano. La diamo agli altri. La droga uccide, ma uccide solo gli infedeli. E questo non è contrario alla nostra religione». Ravet rimase di sasso: non aveva mai sentito parlare dello «spaccio come una forma di jihad». Da quel giorno nessuno molestò più le sue insegnanti, ma loro non si azzardarono mai più a indossare una gonna. L’islam ha bussato alla porta delle scuole statali e si è intrufolato con una velocità sorprendente. Se nel 2000 solo pochi alunni chiedevano a Ravet pasti halal in mensa, nel 2013 erano ormai diventati il 95 per cento. Quella ventina di studenti che non digiunavano durante il Ramadan venivano attaccati e insultati dagli altri. Godendo della grande autonomia riservata ai dirigenti di istituti situati in zone problematiche (Zep), Ravet ha permesso ai musulmani di uscire da scuola durante il pranzo, restituendo loro i soldi della mezza pensione, per permettere agli altri di mangiare in pace. Ma non tutti i problemi potevano essere risolti così facilmente: le ragazze si rifiutavano di andare in piscina con i maschi e si facevano esonerare da educazione fisica, i ragazzi non stringevano la mano alle insegnanti e rispondevano male perché «lei in fondo è solo una donna».  Anche l’insegnamento delle materie classiche ne risentiva: per motivi religiosi gli studenti si rifiutavano di studiare Darwin, l’evoluzionismo, Rousseau, Molière, Voltaire, il Cyrano de Bergerac. In matematica si astenevano dall’utilizzare il simbolo “+” perché troppo somigliante a una croce cristiana (come a Mosul sotto l’Isis) o attaccavano i docenti perché «se non siete musulmani, non potete insegnare la storia del mondo arabo». Anche l’antisemitismo era all’ordine del giorno: commenti come «gli ebrei si sono meritati la Shoah» o «Hitler ha fatto bene» erano ricorrenti. Ravet si è addirittura trovato costretto a rifiutare l’iscrizione di un bambino di religione ebraica per timore che non uscisse vivo dalla scuola.  Il dirigente scolastico, in sintesi, è stato testimone negli anni «di un tentativo insidioso di presa del potere da parte dell’islam all’interno del collegio». E questo in un clima di «indifferenza assoluta da parte delle autorità». Ravet informava costantemente il ministero, ma i suoi fax e le sue lettere venivano ordinatamente riposte in un archivio e dimenticate. Le autorità, spiega a Tempi, «sapevano benissimo quello che stava accadendo, ma non volevano vedere. In Francia infatti abbiamo un grande problema: gli insegnanti sono soprattutto di sinistra e la sinistra, per timore di essere chiamata razzista e islamofoba, ha permesso la crescita dell’islam, ignorando il problema. Nelle scuole che ho diretto, così come nei quartieri dove si trovavano, vigeva un vero e proprio apartheid e il vuoto lasciato dalla République è stato riempito dal Corano».

«Rimanevo di stucco mentre guardavo i politici socialisti di Marsiglia inaugurare nuove moschee estremiste con l’ambasciatore del Qatar. Com’è possibile, ad esempio, inaugurare un liceo islamico e convenzionarlo con lo Stato sapendo benissimo che non rispetta la legge, permettendo alle ragazze di indossare il velo in classe? Se ho scritto questo libro è anche per non essere complice di questo sistema. Io sono un uomo di sinistra, rivendico questa appartenenza, e accuso la mia parte politica di essere arrivata a tollerare l’intollerabile e persino l’intolleranza».  Se il preside infatti ha affrontato di tutto, trasformandosi a seconda del bisogno in «direttore di una ong pedagogica, commissario di polizia, perfino imam della Repubblica», è per amore degli studenti e della scuola. «Se non possiamo avere speranza nella scuola, allora la Repubblica è davvero in pericolo. Io nutro una grande speranza perché l’istruzione può salvare giovani in grave difficoltà e trasformarli in pepite d’oro».  E se gli attentati contro Charlie Hebdo hanno segnato così profondamente Ravet, è anche perché molti dei terroristi avrebbero potuto essere suoi alunni: «Ricordo quando una madre venne da me e mi disse: “Mio figlio Sabri sarebbe potuto diventare un Mohammed Merah” (l’uomo che nel 2007 uccise tre militari e tre bambini di religione ebraica a Tolosa, ndr)». Ragazzo come tanti altri, Sabri dopo il collegio aveva imboccato una brutta strada, fatta di droga e piccola delinquenza. Poi alcuni religiosi lo presero sotto la loro ala di protezione e lui divenne sempre più intransigente e rigorista in fatto di religione. La madre in principio era contenta perché aveva abbandonato «la cattiva strada», poi si accorse che era «caduto in una dipendenza ancora peggiore. E lo capii quando mi fece una scenata perché non portavo il velo». La madre separò subito il figlio dagli estremisti e lo spedì a Parigi dalle sorelle. Sabri si salvò, ma la mamma corse a raccontare tutto a Ravet perché «ora so che nel quartiere ce ne sono tanti di Mohammed Merah in potenza. Io ce l’avevo sotto gli occhi e non mi sono accorta di niente. E questo fa paura».

Ma perché così tanti giovani, immigrati di terza generazione, francesi in tutto e per tutto, sono affascinati dai jihadisti? «Siamo davanti a una crisi di identità», ragiona Ravet. «Le difficoltà economiche rendono tutto più difficile ma i giovani non rivendicano più di essere francesi, algerini o magrebini. Il fattore chiave dell’identità è diventata la religione, questi ragazzi dicono: “Non sono marsigliese, sono musulmano”». Inoltre, continua l’ex preside, «i ragazzi riconoscono nel jihadista le caratteristiche dell’eroe, del Superman. E i giovani hanno bisogno di eroismo: è questo aspetto che li seduce. La radicalizzazione religiosa, dunque, risponde da una parte al vuoto di identità e dall’altra al bisogno di eroismo». Lo Stato, purtroppo, «oggi fatica a offrire un modello repubblicano altrettanto attraente. I nostri eroi sono gli sportivi, i pompieri, i soldati. Difficilmente può bastare».

Proprio per questo secondo Ravet la scuola giocherà un ruolo sempre più importante in futuro: «Gli insegnanti vanno formati e aiutati a contrastare il verbo estremista. Gli istituti hanno bisogno di maggiore autonomia, ma questa non può trasformarsi nell’abbandono da parte delle istituzioni che io ho vissuto. Sono certo che trasmettendo il sapere la scuola può donare alla società quei mezzi per impedire che la Repubblica venga distrutta dalla radicalizzazione, può offrire gli anticorpi per tutto questo. Può aiutare un giovane cresciuto in un ghetto a crescere dal punto di vista umano e culturale. Io ho speso la mia vita per questo e sono andato avanti nonostante tutto: ho anche subìto un tentativo di assassinio ma non mi sono fermato». Allo stesso modo, «credo che l’islam non sia condannato a scadere nell’estremismo. Ho conosciuto molti musulmani credenti e moderati. Avremmo bisogno di più Averroè, perché la sua visione della religione era perfettamente compatibile con la Repubblica». (TEMPI, 2 ott. 2017).

 
 
 

La pace non è la semplice assenza di guerra

Post n°2356 pubblicato il 03 Ottobre 2017 da namy0000
 

“La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere, sulla terra, senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza. La pace è frutto della giustizia – come ricorda il profeta Isaia - ed effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio. Dio ha riconciliato a sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri; in lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore.

Ma la pace non è solo dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla com-passione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità. (...) ‘Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’ (Mt 5,9). La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno (...). Invito, in particolare, i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andar controcorrente” (Papa Benedetto XVI, gennaio 2012). 

 
 
 

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