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Messaggi del 19/11/2017

I politici dei pasti gratis

Post n°2416 pubblicato il 19 Novembre 2017 da namy0000
 

2017, Angelo Panebianco, Corriere della Sera, 18 nov. -

politici dei pasti gratis e i vincoli finanziariRidurre fortemente le tasse sulle imprese aumentando il deficit, senza ridurre il debito,
è una ricetta che non potrebbe funzionare

 

Dallo Zimbabwe al Venezuela a tanti altri luoghi di sventura (ma accade che anche terre prospere e libere finiscano nel tritacarne) la politica è stata spesso capace di dare il peggio di sé, generando macerie economiche e oppressione politica. La regola, nel corso della storia umana, è rappresentata da governi che hanno oppresso le persone e le hanno condannate alla povertà a vita. Il «governo decente» è l’eccezione. La formula magica, e niente affatto segreta, che consente alla politica di rovinare un Paese è la seguente: occorre che una parte sufficientemente ampia della popolazione creda a quei governanti i quali sostengono che sia possibile avere pasti gratis, che sia possibile campare bene a scrocco di qualcun altro. La discesa all’inferno avviene, solitamente, in due tappe. Nella prima, i nuovi governanti si dedicano a una generalizzata distribuzione di brioches, di risorse varie, che va molto al di là delle capacità economico-finanziarie del Paese. È la fase del consenso. I governanti si industriano a spiegare che si vive già, o si vivrà presto, nel Paese di Bengodi. Questa prima fase dura poco. Il risveglio è brutale. Il meccanismo economico si inceppa, l’inflazione comincia a galoppare, le imprese annaspano e falliscono, i capitali scappano, i creditori, nazionali e internazionali, rumoreggiano dietro la porta, si affaccia lo spettro della bancarotta. Si entra nella seconda fase. Contrariamente a quanto pensano gli ingenui, i governanti che hanno così clamorosamente fallito non vengono cacciati a furor di popolo. Si salvano dando il via a una caccia alle streghe: attribuiscono il loro fallimento a una congiura di nemici esterni (la «finanza internazionale» e gli Stati Uniti, sono capri espiatori perfetti) e di nemici interni. La ridistribuzione del reddito continua trasferendo ai descamisados(base di sostegno dei suddetti governanti) le poche risorse di cui ancora dispongono i ceti produttivi. Ne deriva un disastro economico e sociale (che in breve tempo colpisce anche i descamisados togliendo loro le illusioni di una vita migliore). Inoltre, la concomitante distruzione delle classi medie rende impossibile mantenere in vita, dove c’era, un regime democratico. La formula magica, una volta che sia stata pronunciata e abbia stregato un numero sufficiente di persone, consente non solo di malgovernare ma anche di farlo impunemente per anni, talvolta per decenni. Nello Zimbabwe, ex Rhodesia, Robert Mugabe è rimasto al potere per trentasette anni, ha ridotto alla fame il suo popolo ed è stato cacciato solo da una congiura di palazzo. Eletto democraticamente nel 1980, per un decennio si è barcamenato in mezzo a faide etniche feroci. Fattosi poi dittatore, ha distrutto, nel corso degli anni Novanta, l’economia dello Zimbabwe inaugurando la «caccia al bianco», espropriando latifondi e ricchezze, obbligando alla fuga dal Paese gli unici che possedessero capitali ma anche istruzione e competenze . Mugabe, segando il ramo a cui erano appese le possibilità di crescita economica dello Zimbabwe, diede così un grande impulso all’economia del pasto gratis. Il Paese venne condannato alla fame e non si risollevò più. Ciò non ha impedito al suo governo di rapina di resistere fino ad oggi. In Venezuela, Ugo Chávez vince le elezioni nel 1999 e si dedica alla «rivoluzione»: utilizza i proventi del petrolio e i trasferimenti di ricchezza dalle classi medie agli indios (la sua base elettorale) per consolidare un potere personale che puntella anche con una riforma costituzionale iper presidenzialista. Colpendo i ceti produttivi Chávez manda rapidamente in rovina l’economia. Ma continua a governare nonostante un fallito golpe e l’opposizione delle classi medie e medio alte. Come farà anche il suo successore, Nicolas Maduro, attribuisce agli Stati Uniti e ai nemici interni la responsabilità dei fallimenti economici del regime (oggi, anche formalmente, autoritario). D’altra parte, Chávez e Maduro hanno avuto dei maestri. Fu l’America Latina a dare i natali al padre riconosciuto di tutti i distributori moderni di pasti gratis: l’argentino Juan Domingo Peron. Non si creda che i Paesi più ricchi e liberi siano immuni. La politica può fare disastri anche lì. Se gli estremisti che capeggiano il movimento indipendentista della Catalogna la spuntassero, gli operatori economici scapperebbero come lepri e la parte più prospera della Spagna cesserebbe di esserlo. Anche l’Italia è a rischio. Si ricordi che qui ci sono aree (territoriali e professionali) nelle quali la fede nell’esistenza di pasti gratis è la regola. Ci sono zone del Paese che campano di trasferimenti ma che li hanno sempre usati per creare rendite, non per favorire sviluppo. E ci sono sacche di parassitismo annidate nella Pubblica amministrazione. La politica può fare cose buone ma anche cattive. Poiché è ora un candidato premier, Luigi Di Maio dei 5 Stelle non dovrebbe proporre soluzioni economiche che ci porterebbero verosimilmente alla bancarotta. Ridurre fortemente le tasse sulle imprese aumentando il deficit, senza ridurre il debito e senza preoccuparsi dei vincoli europei, significa proporre pasti gratis. Dimenticando che l’Italia non è l’America di Trump e non può fare leva su una posizione internazionale di preminenza. È sacrosanto ridurre le tasse ma non prescindendo dai vincoli, finanziari e non. La ricetta non funzionerebbe. Né, in seguito, la ricerca del capro espiatorio sarebbe di aiuto per un Paese afflitto da guai economici crescenti.

 
 
 

Costruttori

Post n°2415 pubblicato il 19 Novembre 2017 da namy0000
 

Dal 16 novembre 2017, Milano è la sede di GariwoNetwork, la rete che collega i 79 Giardini dei Giusti esistenti in Italia e nel mondo, 75 dei quali sono sorti per impulso di Gariwo, la Onlus milanese nata per onorare e mantenere viva la memoria di quanti hanno rischiato o perduto la vita per impedire genocidi e altri crimini contro l’umanità, fondata da due milanesi discendenti di sopravvissuti di olocausti: l’ebreo Gabriele Nissim, saggista e giornalista, e l’armeno Pietro Kuciukian, medico e console onorario della repubblica di Armenia. Gariwo è l’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide. Dunque l’idea che anima l’iniziativa è quella di estendere a tutto il mondo il modello del Giardino dei Giusti concepito per la prima volta in Israele presso il museo dell’Olocausto dello Yad Vashem a Gerusalemme per onorare i non ebrei che hanno agito per mettere in salvo degli ebrei al tempo della Shoah. Nel 2003 Gariwo ha inaugurato al Monte Stella di Milano il primo Giardino dei Giusti d’Italia. Le prime tre personalità furono Moshe Bejski, l’uomo che creò il Giardino dei Giusti dello Yad Vashem, Svetlana Broz, dottoressa che ha fatto conoscere storie di solidarietà interetnica dei tempi della guerra nella ex Jugoslavia, e lo stesso Pietro Kuciukian che da anni fa conoscere al mondo i Giusti (ottomani) del genocidio armeno. Nel dicembre dello stesso anno entrò a far parte del Giardino anche Andrej Sacharov. Per ognuno di essi è stato piantato un ciliegio selvatico. Oggi i nominativi sono diventati 53, e nel marzo prossimo diventeranno 57, quando saranno aggiunti quelli di Ho Feng Shan, console cinese a Vienna che fornì visti di espatrio agli ebrei quando tutte le altre ambasciate li rifiutavano; Shero Hammo, yazida, capo del territorio del Sinjar che accolse e protesse migliaia di fuggiaschi armeni che cercavano rifugio per scampare al genocidio nel 1915; Costantino Baratta, muratore e pescatore di Lampedusa che ha salvato una decina di profughi durante la strage per il naufragio del 3 ottobre 2013 e Daphne Troumpounis, albergatrice di Lesbo impegnata nell’accoglienza dei migranti sull’isola greca. L’idea di Gariwo ha avuto successo, e in questi ultimi 14 anni 69 Giardini dei Giusti sono nati per iniziativa di enti locali, scuole o semplici cittadini in tutta Italia: da Agrigento a Torino, da Catania a Busto Arsizio, da Albagiara (Sardegna) a Riva del Garda, in 62 diverse località italiane (in alcune, come Milano, sono presenti più di un giardino) si sono visti nascere piccoli boschi che ricordano testimoni coraggiosi dell’umanità. L’iniziativa ha trovato cuori sensibili e disponibili anche all’estero: Giardini dei Giusti sono sorti a Sarajevo, a Varsavia, a Neve Shalom in Israele, a Gyumri in Armenia, presso il Memoriale di Levashovo (San Pietroburgo) dedicato alle vittime delle purghe staliniane in Russia, dentro a un parco ecologico nella Giordania settentrionale e a Tunisi. In questi anni Gariwo non si è limitata a promuovere i Giardini dei Giusti. Ha creato una rete della didattica, per diffondere la conoscenza dei Giusti tra i giovani, che ha coinvolto 500 insegnanti. Le iniziative vanno dai progetti didattici alle visite guidate ai Giardini delle varie località (soprattutto quello del Monte Stella a Milano), dagli spettacoli teatrali alla creazione di nuovi Giardini, alla promozione del concorso per le scuole “Adotta un Giusto” che vede in gara testi letterari, videoclip, foto, ecc., sul tema “C’è un albero per ogni uomo che ha scelto il bene”. Infine Gariwo si è battuta vittoriosamente per l’istituzione della Giornata europea dei Giusti e per la Giornata in memoria dei Giusti dell’Umanità in Italia. La prima è stata approvata dal Parlamento Europeo nel 2012 (nella data del 6 marzo), la seconda sta per essere definitivamente approvata dal Senato dopo il voto favorevole in commissione alla Camera dei Deputati. Al convegno di giovedì due politici italiani hanno raccontato come questo progetto si sia concretizzato. Gabriele Albertini ha raccontato l’azione da lui condotta al Parlamento Europeo per l’approvazione della proposta, e Milena Santerini quella condotta nel Parlamento italiano. Nel suo intervento Gabriele Nissim ha spiegato che oggi, oltre a conservare la memoria dei Giusti del passato, è necessario assumersi la responsabilità di indicare i Giusti del presente: «Anche noi oggi vogliamo dare un nome a quelli che possiamo definire come i Giusti del nostro tempo, che si battono con azioni esemplari contro il terrorismo, l’antisemitismo, il fondamentalismo, per il dialogo, l’accoglienza e la libertà nei regimi dittatoriali. Noi tutti siamo chiamati a sostenerli perché vogliamo creare un grande movimento di emulazione. Anche queste persone rischiano come i Giusti di ieri, e siamo chiamati a sostenerli». A questo fine è stata redatta una Carta della responsabilità 2017, che riassume i valori di Gariwo. (@RodolfoCasadei)

 
 
 

Un piccolo paese

Post n°2414 pubblicato il 19 Novembre 2017 da namy0000
 

2017, Il Post 18 nov. - La Moldavia è sempre un posto interessante

Soldi che spariscono dalle banche, spionaggi, complotti per uccidere i politici: sono solo alcune delle storie che arrivano dalla piccola repubblica divisa tra Russia ed Europa

 

Questa settimana l’Economist ha messo in fila un po’ di storie sulla Moldavia, un piccolo paese di tre milioni e mezzo di abitanti stretto tra Romania e Ucraina. Per esempio: per dieci mesi consecutivi l’attuale presidente della Repubblica, il filo-russo Igor Dodon, si è rifiutato di firmare la nomina del nuovo ministro della Difesa, che invece ha posizioni pro-NATO. La nomina è finalmente arrivata il 24 ottobre, dopo che la Corte Costituzionale ha sospeso Dodon dalle sue funzioni giusto il tempo di ratificare la firma dei documenti ufficiali. Il giorno successivo sette persone sono state accusate di cospirare per uccidere Vlad Plahotniuc, leader del Partito Democratico, considerato il vero padrone del paese. Il capo della cospirazione sarebbe un criminale noto semplicemente come “il Bulgaro”, attualmente residente in Russia. Anche Plahotniuc, però, ha i suoi guai. Lo scorso 2 novembre un criminale che sta scontando la sua pena in prigione ha detto di essere stato pagato da Plahotniuc per assassinare un banchiere russo residente a Londra. Un portavoce del Partito Democratico ha detto che Plahotniuc non commenta “notizie false”. Ma questo commento non è bastato a una delle televisioni di sua proprietà, che ha rigirato le accuse: sarebbe in realtà un altro politico moldavo, rivale di Plahotniuc e attualmente fuggito in Russia, ad aver pagato per l’omicidio su commissione (che, in ogni caso, non è accaduto). Alle storie raccontate dall’Economist se ne potrebbero anche aggiungere altre. Quest’estate è scoppiato uno scandalo di spionaggio e un parlamentare è stato arrestato per aver passato informazioni segrete alla Russia. Poco dopo i diplomatici russi accusati di aver trafugato i documenti rubati sono stati espulsi e il governo russo ha minacciato “terribili” rappresaglie. E questo è soltanto quello che è accaduto negli ultimi mesi. Basta allargare lo sguardo agli ultimi anni per trovare storie altrettanto bizzarre. Nel 2014 venne fuori che le banche della Moldavia avevano riciclato negli anni precedenti qualcosa come 20 miliardi di dollari di denaro sporco proveniente dalla Russia. Nel 2015 si scoprì che qualcuno aveva rubato da tre banche un miliardo di dollari, cioè una cifra pari a un ottavo del PIL del paese (se questi soldi non verranno trovati a pagare il conto dovranno essere i contribuenti moldavi). Infine, nel 2016 il principale rivale di Plahotniuc è stato arrestato con l’accusa di abuso di potere e questo, come ha detto un diplomatico intervistato dall’Economist, ha reso il leader del Partito Democratico «l’ultimo politico rimasto in campo». In realtà, tutti questi episodi apparentemente assurdi sono il prodotto di una situazione nota da tempo. La Moldavia è uno Stato piccolo e povero al confine tra l’area d’influenza della Russia e quella dell’Unione Europea. La classe politica che ha dominato il paese nel corso dell’ultimo decennio, rappresentata da Plahotniuc, si è sempre schierata a favore dell’integrazione europea e della NATO (anche perché associandosi all’Unione Europea i paesi poveri ricevono in genere centinaia di milioni di euro di contributi). Questo gruppo dirigente, però, ha oramai perso completamente la fiducia dei moldavi. Secondo un sondaggio recente, soltanto il 2 per cento di loro si fida ancora di Plahotniuc. Circa il 4 per cento degli elettori oggi voterebbe per il suo partito. Alle ultime elezioni, nel 2014, il Partito Democratico raccolse il 15,8 per cento dei voti. Nonostante questo Plahotniuc controlla direttamente o indirettamente la maggior parte dei parlamentari, scrive l’Economist, e quindi controlla anche il governo. Oltre a essere un politico, Plahotniuc è anche l’uomo più ricco del paese: un potente oligarca che, come ha detto un diplomatico all’Economist, ha praticamente instaurato una dittatura personale. Il New York Times lo ha definito “l’uomo più temuto della Moldavia”. Il suo principale problema sembra essere che l’Unione Europea si è da tempo stufata di questa situazione e non sembra più disposta ad appoggiarlo o a sostenerlo. Gli oligarchi moldavi e le loro spregiudicate pratiche di governo, infatti, non sono molto amati a Bruxelles: lo scorso ottobre, per esempio, la Commissione Europea ha sospeso un pacchetto di 28 milioni di euro di aiuti economici dopo che l’ennesima richiesta di riformare il corrotto sistema giudiziario del paese è caduta nel vuoto. La sfiducia nei confronti delle élite tradizionali del paese che, a parole, si sono sempre definite filo-europee ha aperto la strada all’ascesa dei partiti filo-russi, come il Partito Socialista di Igor Dodon, l’attuale presidente della Repubblica. Dodon ha vinto le elezioni presidenziali lo scorso novembre. Il suo ruolo è soprattutto cerimoniale, ma il suo consenso tra la popolazione è molto alto. Il 41 per cento dei moldavi si fida di lui e il 36 per cento di loro è pronto a votare per il suo partito. Lo scorso novembre Dodon ha vinto le elezioni presidenziali con il 52,1 per cento contro il 47,9 ottenuto da Maia Sandu, una popolare ex ministra dell’Istruzione, che oggi accusa il governo di perseguitare gli attivisti del suo partito. Secondo Sandu, Europa e Stati Uniti hanno oramai abbandonato la Moldavia: la sua attuale classe dirigente è troppo corrotta e anche se dice di essere filo-occidentale, non offre sufficienti garanzie e, cosa ancora peggiore, sembra aver oramai perso completamente la fiducia dei moldavi. Secondo l’Economist, se il presidente russo Vladimir Putin vorrà estendere la sua influenza sulla piccola Moldavia non dovrà far altro che aspettare che i suoi abitanti tornino alle urne per dare a Dodon e ai suoi filo-russi il compito di cercare di cambiare le cose nel paese.

 
 
 

Ho trovato in libreria

Post n°2413 pubblicato il 19 Novembre 2017 da namy0000
 

“Ho trovato in libreria un romanzo dal titolo accattivante: “Il Signor Parroco ha dato di matto” (autore Jean Mercier, San Paolo edizioni). Devo dire che ero molto curioso di leggerlo proprio per il titolo e che l’ho letto tutto di un fiato. Questo parroco, Beniamino, decide di andarsene dalla sua parrocchia di notte, letteralmente murandosi vivo come i mistici del Medioevo in una zona sconosciuta della parrocchia. Si era accorto che il suo modo di essere parroco centrato sull’importanza della preghiera, dei Sacramenti e della Confessione in particolare, andava contro lo stile di vita e le esigenze dei suoi parrocchiani. Alcuni dei quali lo volevano mandare via. E proprio rimanendo in questo luogo singolare, comunicando con una piccola feritoia all’esterno, il sacerdote ritrova il gusto di incontrare la gente, che fa la fila per poter parlare e confessarsi da lui. E la stessa gente riscopre la bellezza dell’umanità di Beniamino tornando a confessarsi dal suo pastore. A volte dare di matto produce i suoi benefici effetti! Non aggiungo il resto con un bel finale a sorpresa, ma faccio alcune considerazioni. Questo testo entra nel cuore di tanti problemi dei preti. Subissati da riunioni, incontri, problemi per chi deve mettere i fiori, fatiche con i superiori per gelosie o invidie, il parroco dimentica lo scopo della sua missione. Diventa un tuttofare e non un uomo di Dio. Si ferma alla stregua di mille altri che cercano solo di soddisfare i bisogni delle persone, senza di fatto vivere una vera missione. Vorrebbe testimoniare Gesù, ma rimane imbrigliato da tutto ciò che distoglie da questo cammino. È costretto a puntare al ribasso. Beniamino vorrebbe che tutti i genitori dei ragazzi che vivono la prima Comunione celebrassero prima la Riconciliazione, ma questa proposta suscita una reazione negativa nei suoi confronti. La stessa gente, dopo che il parroco è “impazzito”, ri- scopre la sua vera figura, capace di mettere al centro le relazioni e il rapporto con Dio. Mi piacerebbe che questo libro umoristico, ma realistico, fosse oggetto di incontri tra preti. Susciterebbe ilarità, ma servirebbe a noi parroci per fare una seria riflessione, con un pizzico di umorismo, sul vero scopo della nostra missione” - don Luigi Trapelli, Parroco di San Benedetto di Lugana (Verona)”, Avvenire, 18 nov. 2017

 
 
 

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