Creato da Massimiliano_UdD il 30/03/2012

L'uomo dei difetti

Le riflessioni di un Viandante fuori dai giochi...

ORMAI SIETE QUI E SIETE VENUTI SPONTANEAMENTE!

Credo ci sia un'effettiva possibilità voi siate approdati al mio umile desco per errore. Magari proprio mentre facevate click sul blog della procace biondona di turno. Un'emozione di troppo, la mano che trema, e il click che va a finire sul collegamento di fianco. Questo. Il mio ovvero de "L'uomo dei difetti". 
Il convivio ha già avuto inizio, quindi, vi avverto.
L'ospite è sacro, ma il padrone di casa va onorato. Allacciate le cinture, mettetevi comodi.
Il viaggio ha inizio...

 

QUESTA, è LA MIA

 

Questa è la mia.

 

 Difficoltà mi colse
quando spaiato volli,
col verbo,
plasmare il siffatto legame,
tra l'uomo normale
e la (D)onna sua regale.


Inebriante è il profumo,
ansante è il respiro,
di tanti momenti
è il mio taccuino.


Funesta la sete
mai paga la fonte
.
Tra i fuscelli,
rovente,  la via mi confonde.
Allorché  dotto in pazzia,
borioso sentenzio:
Questa,  è la mia.


M.
(L'uomo dei difetti...)

 

QUANTA STORIA DIETRO UN VECCHIO...

Ad ogni nuovo respiro...
Si fa la storia.

Immaginandomi al "capolinea", vorrei potermi voltare e abbandonarmi ad un'ultima illusione:  Aver fatto della buona storia.

Quella che state per leggere,  in particolare,  è una riflessione alla quale sono intimamente legato.
La scrissi qualche anno fa, a matita...  E la scrissi per me.
Davanti, avevo il camino.
Alle spalle,  i trentacinque anni che m'avevano veduto bambino, ragazzo, uomo.
Intorno, solo l'abbraccio dei ricordi.
Lo sguardo, solo in parvenza perduto a discernere tra le fiamme il punto angoloso dalla cuspide. Avrei voluto, forse dovuto, esser nudo per godere appieno della proiezione che, "al di qua" dei miei occhi, s'andava saggiando...

Ho provato ad immaginare "il Vecchio" che potrei diventare...

IL VECCHIO


Non conquisto nuove terre per recintarle.
Le conquisto per conoscerle.
A me non importa se l'Amore impazzisce ancora per il mio odore,
se ho gettato la spugna o se ho deposto le armi.
Quello che conta è averlo conosciuto.
Attraverserò la Primavera,
poi quella dopo, e un'altra ancora...
Avrò gli occhi zuppi d'acqua,
saprò tante cose più di oggi,
  altrettante le avrò dimenticate
e allora mi chiameranno "vecchio".
Non il saggio...
Il vecchio.
Quanta storia dietro un Vecchio...


M.
(L'uomo dei difetti...)

 

QUESTA NOTTE è GIà DOMANI

Chi davvero ti vuole Bene sceglie le parole quando ti parla...
Chi ti ritiene importante non ti offende...
Chi preferisce perdere il suo tempo piuttosto che trascorrerlo con te, potrà anche essere una brava persona, ma, certamente, non è quella giusta per te...
Se in cuor tuo credi di meritare qualcosa in più della pura elemosina, abbandona il carro vizioso e affinchè in te rimanga ancora traccia di uomo, dileguati nella notte, quando tutti dormono, senza far rumore... e l'unica ombra che ti porterai dietro sarà alla stregua di un brutto sogno.
Questa notte è già domani...

M.
(L'uomo dei difetti...)

 

AREA PERSONALE

 
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Messaggi di Giugno 2014

L'arrivo a Milano dell'uomo alto vestito di nero. (tratto da "Delitto in giacca e cravatta" de L'uomo dei difetti)

Post n°161 pubblicato il 30 Giugno 2014 da Massimiliano_UdD
 

 

Uomo alto vestito di nero

 

Milano, Stazione Centrale.

   Nei pressi del binario 18, una donna sulla quarantina era intenta a rovistare nella borsa che teneva sottobraccio. Nervosamente, si sarebbe detto.
Un bambino le si aggrappa alla gonna. Uno dei tre bottoni dorati, il più vicino al ginocchio, salta. La calza che le cela la carne rivela lo stesso colore della pelle che indossa.
   Un anziano che procedeva a passo lento era ora immobile a poche mosse dalla donna. I polsini della camicia s’alternavano sulla fronte madida con la frequenza di due tergicristalli in pieno acquazzone. E l’affanno che della fantasia n'era il testimone, narrava ben oltre quanto veduto da quegli occhi zuppi e malandati.
   Il bambino piange. Ha fame, forse. O forse, no. Magari è solo stanco, vuole solo andar via. Magari.
   Un ragazzo in jeans e giubbotto di pelle trascinava un trolley verde avanti e indietro tra il binario 18 e il negozio di souvenir alle sue spalle.
Aprì il mezzo litro d’acqua che portava a passeggio nella mano libera e ne bevve un sorso. Come morso da una tarantola, scosse la testa, incrociò lo sguardo della signora col bambino aggrappato alla gonna, sputò a terra, imprecò:
   << Che schifo!  Pare piscio, cazzo! >> e strofinandosi la bocca alla bandana che gli velava il collo, concluse alto il suo pensiero:
   << Fanculo… >>
   La donna visibilmente contrariata smise di armeggiare nella borsa, e sollevato tra le braccia il piccolo s’allontanò facendo dono al ragazzo di un’ultima occhiata, non meno schifata di quelle che l’avevano preceduta.
   Una modesta delegazione di suore ospedaliere assistette anch’essa alla scena.
La sorella più giovane si sciolse dalla compagine e improvvisò una conversazione inesistente al telefonino. La più anziana fissò il ragazzo con sguardo compassionevole e unendo le mani in preghiera gli indirizzò una frase che all’insaputa di entrambi, presto, avrebbe avuto un senso:
   “Questo è il frutto della pianta che cresce senza Dio...”.
   Un uomo robusto vestito di nero, di poco sotto i due metri, usciva dalla cappella ubicata oltre il binario 21. I Calvin Klein inforcati sulla testa ne domavano i capelli, lunghi e biondi. Le labbra sottili sembravano mimare qualcosa. Una mano prese a fluttuare nell'aria come quella di un karateca, poi venne il turno del segno della croce.
Un pugno al petto e lo sguardo a scendere. Ora sulle volte di ferro e vetro che imperavano maestose sopra binari, treni e teste, ora sulle facce stanche dei tre filippini accovacciati al suolo dietro l’edicola, e gli zaini pesanti ancora a tracolla.
   Adesso il suo sguardo è piazzato sul ragazzo col trolley verde.
Inesorabile, come la canna del cacciatore che nel mucchio ha scelto la preda.
   Un movimento da prestigiatore, e gli occhiali calarono sul viso. Una Marlboro già fumante spuntava tra le labbra. Tirò una lunga boccata e con la bionda appesa a un angolo della bocca s’avviò lento verso l’uscita della stazione sfilando alle spalle del giovane col trolley.
   Il ragazzo non lo notò. Inquieto e stanco, osservava nervosamente l’orologio. E imprecò.
Il suo cellulare incominciò a riprodurre il rumore di uno sciacquone e vibrava, allo stesso tempo. Frettoloso accettò la chiamata, ma non era la telefonata che s’aspettava. Era solo qualcuno che gli ricordava del torneo al quale avrebbe dovuto partecipare la prossima domenica, e della quota di partecipazione che ancora non aveva saldato.
   Il turpiloquio del ragazzo terminò con la rassicurazione all’interlocutore. Avrebbe pagato quanto dovuto entro l’alba di domenica. Prima dell’inizio dei giochi.
   Pigiò con tutta la forza sprigionata dal nervosismo del momento sul tasto con la cornetta rossa, e ancora, imprecò.
   La stessa suora di prima, stavolta più ferma,  tornò a fiatare:
   << Oggi pregherò per te, ragazzo. Perché conoscendo Dio tu possa diventare uomo. >>
Lo sguardo interrogativo del giovane palesava smarrimento. Apparve chiaro quanto egli non avesse afferrato né il senso della frase, né il motivo scatenante che avesse portato la religiosa ad interessarsi a lui.
   Si dimostrò capace solo di scuotere la testa, la bocca s’arrangiò in una specie di ghigno e rispose:
<< Va bene, suora. Grazie. >>
Ebbene, si. Quel ragazzo senza Dio sapeva anche ringraziare. Ma gli sarebbe bastato ?   
  
   L’uomo alto vestito di nero sapeva che quel ragazzo, presto, sarebbe diventato uomo. 
Avrebbe conosciuto Dio.
E sarebbe stato Domenica.

   L’uomo alto vestito di nero distese completamente la mano in un gesto rapido. La sigaretta planò a terra come in una scena al rallenty, poi gridò nell’aria un nome.
   Il ragazzo si voltò di scatto e il trolley finì a terra. Un rumore sordo. Gli occhi arrancavano tra la gente, irrequieti. Il vociare pareva d’improvviso essersi raddoppiato di volume.
I bambini in fila indiana dietro la maestra, la rossa con gli stivaletti e la minigonna, il prete coi libri in mano, e trenta anonimi tutti diversi, tutti uguali. 
   Chinatosi riacciuffò il trolley, e col respiro appena ansante riprese il suo girovagare esagitato.
   Un'ombra caliginosa penetrava lesta la Galleria delle Carrozze.
L’uomo alto vestito di nero, era già fuori.

 

M.
(L'uomo dei difetti...)

 
 
 

Pensare troppo fa male. Non c'è dubbio.

Post n°160 pubblicato il 24 Giugno 2014 da Massimiliano_UdD
 

Pensare troppo fa male.
Non c'è dubbio.
Se poi sei uno come me, scatta pure l'aggravante. Perché io non solo penso troppo, ma lo faccio pure in diversa guisa. Il sospetto c'è sempre stato, lo ammetto. Ma oggi è oltremodo tangibile. Leggere è formativo. Girare da queste parti può essere addirittura illuminante, come mi faceva notare poche ore fa la mia attentissima amica psicologa. Perché certe volte ti rendi conto di quanto, in certi ambiti, impegno e dedizione, siano considerati alla stregua del tempo perso. Forse perché è arrivata l'Estate.
  
Forse perché certa pizza e certi fichi siano più facili da leggere sotto l'ombrellone rispetto all'indigesto uomo dei difetti.
Ma questo, interessa me.
   Giunge così, trepidante come una intramuscolo, quel momento tanto decantato dal sig. Marzullo. Ti fai una domanda e ti dai una risposta.
E ti auguri, stavolta, sia quella sbagliata.
   Convivo con il mal di testa da anni. Lo fronteggio a suon di barattoli da 300 compresse di aspirine americane. E con un pacco ci vado avanti un anno, grossomodo. Funzionano.
Domani, non è adesso. Ma ma ciò che penso adesso, è che, per alleggerire testa e agenda, un po' di sano egoismo, talvolta, aiuti.
   Ti ringrazio amica cara per il sincero consiglio, ma sono costretto a risponderti che non saprei proprio come fare per non pensare e ripensare fino allo sfinimento, tuttavia, ti prometto una cosa:
   Da oggi e per tutta l'Estate mi dedicherò a teglie di pizza,
secchi di fichi,
meno aspirine e tanti sorrisi.
Perché del doman non v'è certezza...




Ai Viandanti, invece, che la vedono spesso in maniera diversa da tutti, talvolta incompresi o messi da parte... Dedico questa mia riflessione: 
L'uomo che non c'era.

 

Un uomo che pensa è spesso solo.

 

Trova tre persone che la vedano come te.
   Se ti sarà riuscito di farlo in fretta, allora, esse, a loro volta, ne troveranno altre tre ciascuna che saranno d'accordo con te.
Prima del tramonto sarete già in tredici.
   E così, un ramo avanti l'altro, allorché del pollastro ne udirai il salmodiare.
Prima che l'alba t'intimorisca gli occhi, una folla, tutt'intorno, 
t'avrà già accerchiato.
E tutti la vedranno come te. 

Allorquando il granello divenne mucchio,
il mucchio, di te fece granello,
e delle tue idee un fascio.

Non più l'uno sarà difforme dall'altro.
Quel giorno, tu sarai un uomo comune. 

   Ma se ti sarà riuscito difficile trovar anche un sol uno d'accordo con te... 
Della tua veste scevro, discosto da quel mucchio, più nudo dell'amplesso che t'offusca, all'attività che è fendente, avrai dato vita.

Quel giorno, tu avrai cominciato a (P)ensare...
Quel giorno, avrai scelto il mito.

 

M.
(L'uomo dei difetti...)



[Post Scriptum]

Il Blog che state leggendo ovvero il Blog de L'uomo dei difetti ha da poco compiuto i suoi primi due anni di vita. Lo scorso 30 Marzo, per dover di precisione. E allora, trovo giusto condividere brevemente con chi mi legge davvero le mie impressioni su questa che comunque trattasi di pur sempre un'esperienza di vita in quanto interagiamo con persone vere, con cuori che pulsano e intelligenze con le quali ci rapportiamo a fini costruttivi.
Nei rapporti umani che intratteniamo abbiamo a che fare con persone diverse, anche qui, troviamo i caratteri più disparati.
   C'è chi ti domanda l'amicizia solo perché ne ha già 200 e attirato dall'adagio "Lungo fa bello... ", pensa che accaparrando il 201esimo sia "più bello più bello".
   C'è stato anche chi si è avvicinato a me sotto mentite spoglie,  ma per questi ultimi non vale la pena spedere più di una mia riga. Anche perché, grazie a Dio, non sono amici miei.
   Ma soprattutto... Ho conosciuto persone bellissime.
E taluni sono diventati veri (A)mici.
Pochissime anime che hanno scelto di volermi leggere attentamente e interagire con me perché hanno saputo cogliere ciò che spesso lascio celato o annegato tra le maglie del mio stile arcaico. Persone affidabili. Perché volerti leggere attentamente è indice di vero interesse. E' una sorta di "garanzia". Desiderio di andare oltre la superficie. Di scalfire per far proprio. Perché forse, ne può anche valere la pena.
   Persone che quando hanno tempo provano gioia nel donartelo e quando, invece, non lo hanno. Non lo hanno per nessuno. Perché la teoria "dei figli e dei figliastri" è davvero lontana dal mio desco...
   Persone che, se ti reputano "importante", lo sei. E si vede.

 
 
 

L'incontro - Flashback tratto da "Delitto in giacca e cravatta" de L'uomo dei difetti.

Post n°159 pubblicato il 18 Giugno 2014 da Massimiliano_UdD
 

 

 

L'incontro tra Francesca e il Commissario da ragazzo

 

 

Era solo una ragazza, non aveva neanche vent'anni quando accompagnata dalla madre entrò nella bottega de L'ultimo ebanista.
   Era un vero fuoriclasse dell'inventiva, Gigi Torre. Un mago del restauro. Eccentrico, come tutti gli artisti. Era uno di quelli che andava a simpatia. Se non scattava nulla a livello empatico, non c'era verso di affidargli un lavoro. Approcciava una scusa, neanche ben imbastita, e tanti saluti.
Tempo cinque minuti, ed eri già alla porta.
   Ma quella ragazza gli piaceva. Gli piacevano quegli occhioni vispi, che con voluttà manifesta, irrequieti, usavano posarsi ovunque. Ora su un'angoliera francese dell'ottocento, ora su una più abbordabile libreria in stile Liberty.
   Ma fu quando urtò per errore un paravento in legno e carta di riso che fungeva da separé tra la zona pubblica e privata, che la bionda fanciulla fu definitivamente rapita.
L'idea che avesse infranto una zona off-limits non le aleggiò neppure per un solo istante in quella testolina di giovane donna. Ingenua, a tratti. Un sorriso contagioso, pulito. Un corpo tutt'altro che spigoloso benché magra, alta. Così giovane e dalle movenze già così eleganti, ma era classe innata la sua. Nulla di ostentato dimorava in lei.
E poi, curiosa. Tanto, curiosa.
   Aveva già messo i polpastrelli all'interno dei cassetti ormai non più celati dalla ribalta. Quello scrittoio a dorso d'asino le aveva fatto completamente dimenticare il reale motivo che l'aveva spinta in quel laboratorio. La libreria.
La scelta di una libreria di pregio per la sua camera. Era quello il regalo che aveva domandato ai genitori per aver passato la maturità a pieni voti. Non il motorino nuovo o i soldi per la patente, e neanche la festa in piscina come aveva fatto Laura, l'amica del cuore.
Ma di quella libreria non le importava già più un fico secco.
   L'oggetto del desiderio di Francesca era uno scrittoio della fine del settecento francese. Due ampi cassetti intarsiati nella parte frontale e sei cassettini sagomanti localizzati all'interno della ribalta.
La facciata e i lati erano foggiati in bois de violette.
Un pezzo di pregio. Di certo non per tutte le tasche.

   << Dio, che meraviglia! >>, esclamò la fanciulla mentre faceva scorrere, radente, il palmo della mano sulla superficie piana adibita alla scrittura.
E già si immaginava nella sua camera. Seduta a quella sorta di scrivania per soli eletti. A compilare i suoi diari. A scrivere le sue poesie.
   I polpastrelli delle dita benché pregni di polvere non si davano pace. E dalla ribalta, scaltri, s'erano già insinuati sull'ottone dei pomelli, e dentro i cassetti.
   << Un sogno! Sei cassettini per le mie cose. Mamma, ti prego. Non ti chiederò più nulla fino alla laurea. Comincerò l'università più contenta con uno scrittorio così. Sai che bello al centro della camera! E un giorno, quando mi sposerò, lo porterò con me... Non te lo lascio di certo... Mamma! >>
, disse ancora la ragazza, eccitatissima.
   Ancor prima che la madre potesse proferir parola, l'artigiano, armeggiando con la maestria di un giocoliere all'interno del mobile, si intromise:
   << Sette. I cassettini interni, sono sette. Non sei. Ce n'è uno segreto. Eccolo.>>, e anticipando la reazione presumibilmente gongolante di Francesca, con un velo di desolazione sul viso, continuò:
   << Mi dispiace signorina. Mi creda, mi dispiace veramente perché la vedo così raggiante. Purtroppo... Questo pezzo non è in vendita.>>
   Francesca si incupì all'istante. Anche le iridi parevano diverse. Un minuto prima, due fari abbaglianti illuminavano la penombra di quella bottega. Un minuto dopo, due flebili luci che se fossero state di posizione, a stento, avrebbero passato la revisione.
E così figurava il cremisi delle labbra che come il turchino degli occhi, s'era andato spegnendosi.
Possono rubarti tutto. Tranne i sogni. Malgrado ciò, la tristezza che affondava il suo manto sul capo della ragazza sembrava raccontare tutt'altra storia.
Ora era accanto alla madre, di lato, appena un passo più indietro, come se tutto d'un tratto la timidezza avesse preso il sopravvento, come se fosse tornata di colpo piccina, e timorosa, cercasse protezione.
   << Non c'è alcun modo per averlo ? Forse... Le è già stata data una caparra ? Se il prezzo non fosse proibitivo potrei pagare io le spese che dovrebbe sostenere per annullare l'ordine del suo cliente... >>, disse la madre rivolgendosi al signor Torre. Anche lei in qualche modo atterrita per quella sorta di dispiacere, tangibile, provato da quella figlia che solo soddisfazioni aveva saputo darle.
   << Non è una questione di soldi, signora. Come detto a sua figlia, il mobile non è in vendita. Lo sto restaurando nei ritagli di tempo. E' un regalo per mio figlio.>>
   Le espressioni dei visi delle due donne s'erano uniformate all'istante. La delusione, blanda, aveva già passato il testimone alla rassegnazione, disarmante.
<< Mamma... Andiamo a casa, non mi sento tanto bene. Torniamo un'altra volta per la libreria. >>, sussurrò la ragazza alla madre con un volume di voce appena sufficiente affinché anche l'uomo la potesse udire.
Erano già passati ai convenevoli quando dalla vecchia porta in legno d'abete, cigolante, apparve un giovane, alto, capelli cortissimi, e chiaro di carnagione.
   << Vieni, vieni... Se ti fischiavano le orecchie, adesso ti do un motivo. Ho appena finito di parlare di te.>>, esordì l'uomo rivolgendosi al nuovo entrato.
Il giovane sorrise. Poi ribatté:
   << Mi auguro tu abbia parlato dei soli difetti, papà! >>
   << La signorina Francesca si è letteralmente innamorata del tuo scrittoio. Mi è dispiaciuto tantissimo doverle dire non fosse in vendita. Stavano giusto andando via...>>, replicò al figlio.
   Il giovane si avvicinò alle due donne. Strinse la mano della signora, poi si affiancò a Francesca e alzandosi i Rayban sulla testa, la fissò annegando nell'umido dei suoi occhi. L'avrebbe contemplata così fino a sera, ma un fremito scelse per lui. Abbassò lo sguardo e con delicatezza le prese la mano sinistra e la condusse di nuovo a quel mobile.
   << L'hai visto il cassetto segreto? >>, disse il ragazzo mentre con cura, le liberava la mano dalla sua.
   << Eh, già... Si. L'ho visto. >>, rispose la fanciulla. Gli occhioni ancor più madidi, ancor più lucidi.
   << Occhi come i tuoi non dovrebbero mai vedere le lacrime. E non sarò di certo io a prendermi questa responsabilità...>>, le sussurrò, certo che solo lei l'avesse udito.
   A questo punto il ragazzo sorrise. A turno, ruotando il capo, incrociò lo sguardo dei presenti. Tamburellò col palmo della mano sulla ribalta, poi con voce autorevole, esclamò:
   << Chissà cosa ci metterai in quel cassetto! >>
   Quella frase altisonante richiamò fulminea l'attenzione delle due donne benché dalle espressioni dei loro volti, pareva chiaro non l'avessero compresa del tutto.
   Il giovane prese da parte il padre.
   << Papà, voglio tu lo dia a lei. Ci tengo. Però, senza fretta, il restauro richiede tempo... E non prenderti anticipi... Stasera a casa ti spiego tutto. >>, disse il ragazzo facendo l'occhiolino al padre.
   << Sei sicuro ? Non è che poi te ne penti ? >>, ribatté il padre.
   << Mai stato così certo. E poi mi conosci, papà. >>, concluse il figlio.
   Il giovane tornò ad accostarsi a Francesca.
Puntando i pollici verso l'altro, fiero in volto, le disse:
<< E' tuo! >>, poi continuò: << Sono davvero felice che l'abbia tu. Se eri così triste per non poterlo avere, non poteva finire in mani migliori. Avrà di certo tutte le tue attenzioni... Beato lui! >>, sorrisero entrambi, e frapponendosi tra le due donne, dando le spalle alla madre della ragazza, guardando la fanciulla negli occhi, le sussurrò:
<< Ora... Devo andare. Per forza, e purtroppo. Ma... Vorrei tanto poterti rivedere. Tanto. >>
Francesca non disse nulla, ma i suoi occhi erano tornati luminosi, e il sorriso sembrava non volerla abbandonare.
Il figlio dell'artigiano salutò tutti, e con premura, uscì.
   << Signorina! Deve proprio aver stregato il mio Massimo... Non l'avevo mai veduto così rapito. Che dire ? Lo scrittoio è suo! Ma non mi metta fretta... Le cose belle, sanno farsi desiderare...>>, disse rivolgendosi a Francesca pur senza precludere alla madre talune occhiate benevoli, anch'essa visibilmente soddisfatta dalla piega che inaspettatamente, quella giornata, aveva preso.
   << Ringrazi ancora suo figlio da parte nostra! >>, disse la signora.
   << Non si preoccupi, signora. Lo vedrete ancora... >>, rispose l'uomo facendo l'occhiolino alla ragazza che lasciò intendere di aver ben compreso quel segno, lasciando che fosse il rossore delle sue gote a firmarne, in calce, la risposta.
   << Studia, suo figlio? >>, esordì la signora per stemperare l'imbarazzo evidente della figlia.
   << Si è laureato da poco in giurisprudenza. >>
   << Ah, un avvocato in famiglia fa sempre comodo!>>, riprese la signora, adesso più sciolta e serena in volto.
   << No, no... Non ci pensa proprio a voler fare l'avvocato. La settimana scorsa ha vinto il concorso per commissario della polizia di stato. Vuole giocare a fare l'investigatore...>>, concluse l'uomo, sogghignando.

   Quello scrittoio a dorso d'asino fu il primo regalo che Massimo fece a Francesca, la donna che sei anni più tardi, sarebbe divenuta sua moglie.



M.
(L'uomo dei difetti...)

 
 
 

"La delusione" (secondo L'uomo dei difetti)

Post n°158 pubblicato il 12 Giugno 2014 da Massimiliano_UdD
 

LA DELUSIONE



Il sospetto d'aver sopravvalutato qualcosa o qualcuno, è una delusione.
La delusione più grande, è averne certezza.


M.
(L'uomo dei difetti...)


[Post Scriptum]

Oggi torno agli aforismi.
   Tanto per spezzare un po' la monotonia dovuta al caldo e in attesa di pubblicare qualcosa di più impegnativo e che tra l'altro ho già scritto, mi fa piacere condividere con voi l'aforisma di cui sopra che, a mio avviso, ben sintetizza il concetto di delusione.

In fin dei conti: Cos'è la delusione ?
Ce ne rendiamo conto quando ci si paventa davanti agli occhi, repentina e ferale come fendente. Perché ci mostra quanto la realtà possa esser diversa dal sogno o più semplicemente da quanto auspicato, presagito, creduto.
Talvolta, il tutto prende la via del solo sospetto, e il tarlo spavaldo s'affaccia.
   Poi, capita che il signor "tarlo" s'abbisogna d'una "tarla" perché la solitudine è spesso non un buon affare... E in soccorso l'un l'altro avviticchiati ne pervengono di nuovi e sopraffini.  E che in coro, s'annidano.
   Allorquando un dì, certezza gridò virtù...

 
 
 

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LA MIA PICCOLA LUCE: L'ULTIMO VIAGGIO.

 La mia piccola Luce, 25 Agosto 2014


 Ciao piccola Luce,


ti scrivo queste poche righe perché… Ne ho bisogno.
Perché piangere davanti a questo schermo fa meno male che fissando il soffitto. Perché se sto qui mi tengo lontano dai balconi e dalle finestre che danno sul grande campo incolto sottocasa.
   E ti vedo scodinzolare lì in mezzo, felice, perché sapevi che non appena a casa ti avrebbe aspettato lo stecchino al salmone che adoravi. Come ogni mattima, come ogni sera. Come ieri mattina. Come mai più.
   In ufficio dormivi sempre. Tuttavia, bastava il minimo rumore perché tu abbaiassi a chiunque e non solo agli sconosciuti, come a voler per dire:
    << Anche questa è casa mia! >>, poi tornavi a ronfare sul tuo cuscinone, e sembravi una regina. Anzi: Eri la regina. E lo sarai sempre perché il vuoto che oggi m’appartiene non l’avevo messo in conto. 
  
Pensavo che dopo aver provato la più terribile delle perdite, il dolore per aver perduto un animale fosse qualcosa di gran lunga meno intenso, di blando addirittura.
E invece…
   Sono i ricordi a rendere lancinante un fendente o a far sì che certi lucciconi narrino gioia anziché dolore.
   Sei stata la prova che l’(A)more incondizionato, esiste. E che prima di averti io ero uno stolto e non capivo l’amore degli altri per gli animali e non capivo neanche perché talvolta piangessero, si disperassero, vedendoli star male. Tante cose non capivo.
Io ero cieco. Ma oggi vedo.

 

 
So che ti ritroverò un giorno.

Massimiliano 

 

AL VENTUR LERCIUME...


T
alvolta
 getti l'ancora e ti soffermi a riflettere sulle vicissitudini della vita, anche le meno tangibili...
Talvolta ti fai un'idea di una persona già il primo giorno, e dentro di te vorresti fosse sbagliata...
Tenterà di convincerti di essere diversa da come tu la vedi... E provi a crederle...
E' anche giusto farlo.

Tuttavia, a ogni piè, capita, fosse anche dall'imposta più tetra,  che la nuda verità s'affacci spavalda ad illuminar ragione... 

E ti rendi effettivamente conto di chi hai avuto davanti.
Però, stavolta, ironia della sorte, la delusione sarà tutt'altro che longeva, non ne rimarrai stupito...
In fin dei conti, lo sapevi già.
 

M.
(L'uomo dei difetti...)
 

[Post Scriptum]
Per i graditi ospiti al mio umile desco, ho sintetizzato, in un aforisma a mo' di promemoria, crudo e non meno illuminante, la digressione di cui sopra.
"Al ventur lerciume l'uomo fu forgiato da quel senno,  che poi,  fu il (P)rimo."

 

DALL'ALTO VEDI IL MONDO, DAL BASSO VEDI IL TUO.

Dal basso vedi il tuo, di mondo.

Ho sempre sceso le scale di corsa.
Le ho sempre viste come l'ostacolo ultimo tra me, i miei affetti, e la strada.
Un ostacolo blando. Un  connettivo pervio, da lasciarsi alla spalle il prima possibile.   E con la frenesia di chi,  alla stazione,  è sempre in ritardo.

Ma... Stamane no.
Ho percorso i gradini con la velocità dell'uomo, che dalla strada, non s'aspetta nulla di buono. 
E per questo la rimanda.
E per la prima volta ho ricavato del tempo da dedicare alla riflessione anche nell'unico luogo che da sempre avevo destinato al transito, alla zona franca, al canticchiar senza pretese.
Dall'alto vedi tante cose, ed io non lo nego.
Tuttavia, ciò che realmente vedi, è il mucchio.
Non riesci ad apprezzarne le differenze, a coglierne i dettagli.
E' dal basso che vedi ciò che accade intorno e ti rendi davvero conto della piccola grande verità.
Quando tu stai fermo, qualsiasi sia il tuo stato d'animo, il mondo intorno a te, si muove.
C'è chi non ti pensa proprio... E va veloce.
C'è chi apparentemente ti vuole bene... Eppur si muove.
In fin dei conti, quello che ha scelto di star fermo, sei tu.
Quando ti senti solo, sei solo.
Quando hai il minimo dubbio,  allora, non ci sono più dubbi.


M.
(L'uomo dei difetti...)

 
 
 

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