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« Legge sull'omofobia e i...D.d.l. Scalfarotto - app... »

D.d.l. Scalfarotto - appunti da una conversazione tenuta da Alfredo Mantovano - Prima parte

Post n°22 pubblicato il 24 Aprile 2014 da Veritatis1973

D.d.l. Scalfarotto - appunti da una conversazione tenuta da Alfredo Mantovano nella Parrocchia romana di S. Maria della Mercede il 1° aprile 2014 - Prima parte

Sarebbe un errore ridurre la portata dell’attacco alla famiglia solo ai pochi commi che compongono la proposta di legge sull’omofobia “Scalfarotto”, dal nome del suo primo firmatario, che alla Camera ne è stato anche il relatore. Quei commi pesano, ma si coglie il senso della posta in gioco se quei commi vengono inseriti in un quadro di insieme, che non può sfuggire e che deve portare a identificare più attori sulla scena: lobby mediatiche e culturali, direttive e risoluzioni Ue, legislazione nazionale, azione di governo, decisioni da parte di regioni e di enti locali.

Partiamo da ciò che è già operativo, cioè dall’azione di governo. Nell’aprile 2013 l’allora ministro del Welfare prof.ssa Elsa Fornero, la cui delega includeva le Pari opportunità, vara la Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015): un insieme di misure di carattere amministrativo indirizzate a varie articolazioni istituzionali. La scuola è uno dei principali terreni operativi di questa Strategia e si avvale dell’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali; all’esito di una consultazione alla quale partecipano esclusivamente associazioni LGBT, l’UNAR, che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimenti Integrazione e Pari Opportunità, in attuazione della Strategia, commissiona una trilogia di manuali dal titolo Educare alla diversità a scuola all’Istituto A. T. Beck: i testi, redatti da tale Istituto, sono rivolti uno per le scuole elementari, uno per la scuola media inferiore, uno per la scuola media superiore. Col pretesto di combattere presunte discriminazioni, di fatto si indottrinano i bambini e gli adolescenti destinatari della Strategia all’ideologia del gender; non è una campagna futura che va ancora discussa e approvata: è una campagna già avviata a partire dall’anno scolastico in corso, in tante scuole milanesi, romane, pugliesi, toscane…

È ciò che ha fatto parlare una persona equilibrata e aliena da toni esagerati come il cardinale Bagnasco, in apertura dei lavori dell’ultimo Consiglio permanente della Cei, il 24 marzo scorso, di “lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni.” Nella circostanza il cardinale ha aggiunto: “Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati?

Che questo giudizio sia adeguato alla realtà si ricava dalla lettura di alcuni passaggi dei tre volumi. Al loro interno, a proposito del matrimonio si afferma in modo apodittico: “Diversi studi condotti negli ultimi 30 anni hanno mostrato che i bambini cresciuti da genitori gay e lesbiche sono felici esattamente come i bambini cresciuti da famiglie eterosessuali”. L’unico danno che possono ricevere i bambini, secondo questi manuali, deriva dal fatto che i “genitori” non possono (ancora) “sposarsi”. I “nemici” vengono indicati espressamente in Dio, nella patria e nella famiglia; così nel testo: “Che tipo di educazione abbiamo ricevuto sull’omosessualità dalla famiglia, dalla Chiesa, dallo Stato, dai mass-media, dalla scuola? Non c’è mai stato un approccio neutrale all’omosessualità, che, al contrario, veniva considerata un ‘male’”. Il danno viene soprattutto dalla religione:vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato”.

Si trovano delle indicazioni specifiche. Mi fermo a qualche es. che riguarda le scuole elementari, e riporto senza commento dal testo: “Molti bambini trascorrono gli anni della scuola elementare senza accenni positivi alle persone LGBT. Gli anni delle elementari offrono, invece, una meravigliosa e importante opportunità di instillare [sic nel testo] (…) atteggiamenti positivi e rispettosi delle differenze (…), comprese quelle relative all’orientamento sessuale, all’identità e all’espressione di genere”. Ai maestri sono rivolti moniti per rifuggire da condotte che vengono definite “stereotipi basati sul genere”: per i “maschi ad esempio, guardare la Formula 1 o giocare ai videogiochi”, per le “femmine ad esempio, essere interessate alla cucina o allo shopping” (su quest’ultimo punto c’è da immaginare che sarà dura!). Ci sono pure i compiti per casa. Ecco una traccia per un problema di aritmetica: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”; al di là della difficoltà del calcolo, interessa il messaggio neanche tanto implicito: è tanto normale avere due papà, che li si ritrova anche in un problemino semplice semplice.

Immagino le obiezioni: basta con questi pre-giudizi religiosi, basta col dato confessionale, è una questione di laicità. E poi, come la mettiamo con l’Ue? Queste obiezioni meritano una replica: non stiamo parlando di un fatto di carattere religioso, è un problema di libertà; e con l’Europa su questi temi vogliamo discutere: abbiamo gli argomenti per farlo!

È certamente un problema di libertà: se facciamo un gita in Spagna, e ci spostiamo a Malaga, scopriamo che il 6 febbraio scorso, nella bella città della costa iberica meridionale, un vescovo – che Papa Francesco ha appena nominato cardinale (ne è amico personale) – viene iscritto nel registro degli indagati per “omofobia”: si tratta di mons. Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, 84 anni, un teologo di cui il Papa si dichiara «alunno». Che cosa ha fatto di così grave il neo cardinale? Ha rilasciato un'intervista al quotidiano di Malaga Diario Sur lo scorso 20 gennaio: richiesto di commentare le dichiarazioni di Papa Francesco che invitano a non giudicare gli omosessuali, egli ha spiegato testualmente: «Il Papa accentua i gesti di rispetto e di stima a tutte le persone, ma non tradisce né modifica il Magistero tradizionale della Chiesa.” E ha aggiunto: “Una cosa è manifestare accoglienza e affetto a una persona omosessuale, un’altra è giustificare moralmente l’esercizio dell’omosessualità. A una persona posso dire che ha una deficienza, ma ciò non giustifica che io rinunci a stimarla e aiutarla».

Scatta l’allarme! il giornalista gli domanda: lei usa il termine “deficienza” dal punto di vista morale? «Sì. (…) – è la risposta del card. Sebastian – con tutto il rispetto dico che l’omosessualità è una maniera deficiente di manifestare la sessualità, perché questa (la sessualità) ha una struttura e un fine, che è quello della procreazione. L'omosessualità, in quanto non può raggiungere questo fine, sbaglia. Questo non è per niente un oltraggio. Nel nostro corpo abbiamo molte deficienze. Io ho l’ipertensione. Mi devo arrabbiare perché me lo dicono? È una deficienza che cerco di correggere come posso.». Apriti cielo! Gli attivivisti LGBT si scatenano contro il cardinale, lo accusano di aver detto che l'omosessualità è «una malattia», espressione che la giurisprudenza spagnola punisce in base alle leggi sull'omofobia. L'arcivescovo, però, sarà pure anziano ma non è sprovveduto, è stato bene attento a non usare la parola «malattia», come non ha usato la parola «guarigione» bensì «recupero». Adesso rischia la prigione per violazione della legge spagnola contro l'omofobia.

Replica alla seconda obiezione: come la mettiamo con l’Ue? Con l’Ue su questi temi pretendiamo di discutere! È vero: vi è una tendenza ormai consolidata in larga parte dell’Occidente, tesa a sanzionare penalmente i crimini c.d. di odio, e a identificare una sorta di piano inclinato secondo cui al primo livello vi sarebbe l’intolleranza – che richiama un dato culturale –, al secondo la discriminazione – che richiama un dato giuridico –, al terzo i crimini di odio. È evidente che la linea di confine rispetto ai crimini comuni non è la materialità della condotta – per es., colpire una persona con un pugno –, ma è la motivazione della condotta. Per essere ancora più chiaro, provo a fare un esempio: immaginiamo che una donna di colore, di fede cristiana e obesa vada al ristorante e non paghi il conto. Il proprietario del ristorante ha uno scatto d’ira e la riempie di botte: se lo fa perché non ha pagato il conto, non è un crimine di odio; saranno percosse, o lesioni, motivate dall’ira per un fatto ingiusto, certamente sanzionabili, ma che non chiamano in causa la circostanza che quella donna abbia la pelle nera, creda in Dio e le piaccia molto mangiare. Se però il conto lo ha pagato e viene caricata di botte o perché nera, o perché di colore, o perché obesa, o per tutte e tre tali qualità, allora c’è una motivazione maggiormente riprovevole, che – in base all’orientamento consolidato in Occidente – merita di essere sanzionata in modo più grave. Lo stesso discorso vale quando la vittima è una persona omosessuale.



Il problema da porsi a questo punto è il seguente: è proprio necessaria una legge antiomofobia per punire le offese recate a persone omosessuali in quanto omosessuali? per rispondere, va ricordato che non solo che nessuno ha mai abolito le disposizioni penali che sanzionano le diffamazioni, le percosse, le violenze – sì che tali disposizioni si applicano qualunque sia l’orientamento sessuale della vittima –, ma che, di più, le pene previste dal codice penale possono essere aggravate applicando norme che nel nostro ordinamento esistono da decenni. Non è una mia affermazione! Lo ricorda con chiarezza il parere reso dalla Commissione affari costituzionali della Camera all’inizio di agosto 2013 alla p.d.l. Scalfarotto, allorché richiama – come sufficiente rispetto all’esigenza di maggior tutela per questa particolare versione dei “crimini di odio” – l’articolo 61 n. 1 c.p.; tale disposizione stabilisce che “aggrava il reato (…) l’aver agito per motivi abietti o futili”: nella categoria della “abiezione” o della “futilità” rientra l’avere recato offesa a una persona omosessuale in quanto omosessuale. Il n. 5 dello stesso articolo 61 del codice penale aggiunge: “Aggrava il reato (…) l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona (…) tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa”; è la c.d. “minorata difesa”. L’applicazione dell’una o l’altra aggravante ha l’effetto di incrementare fino a un terzo per ciascuna l’entità della pena; le lettere n. 1 e n. 5 dell’art. 61 cod. pen. comprendono più situazioni di debolezza e più tipologie di motivazioni abiette, dalla persona anziana al bambino, dalla donna incinta al disabile. Ma ciò non rappresenta un limite di quelle norma, la cui caratteristica è di essere generali e astratti: ciò che importa è che finora nessuno ha mai posti discussione che in quelle previsioni rientrino anche le ipotesi in cui la vittima è una persona omosessuale. La conclusione è che la previsione legislativa di maggior tutela, allorché l’odio si indirizza verso persone omosessuali, esiste e non necessita di integrazioni.


In che modo si inserisce in questa materia la “p.d.l. Scalfarotto”? una proposta – va ricordato – che è la sintesi di varie proposte presentate, che è stata approvata dall’aula della Camera il 19 settembre 2013, e che è attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato. La p.d.l. è composta soltanto da due articoli, il primo dei quali contiene disposizioni penali: esse incidono sull’art. 3 della legge 13 ottobre 1975 n. 654, di ratifica della Convenzione di New York del 7 marzo 1966, contro le discriminazioni razziali; a sua volta, l’art. 3 di tale legge era stato sostituito dall’art. 1 del decreto legge 26 aprile 1993 n. 122, convertito nella legge n. 205/1993, quella che è nota come “legge Mancino”, dal nome del ministro dell’Interno dell’epoca. Nella sua attuale versione, l’art. 3 punisce con la reclusione fino a 18 mesi e con la multa “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi”, e con la reclusione fino a 4 anni “chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi”. Il nocciolo della “p.d.l. Scalfarotto” è l’inserimento, al termine di ciascuno dei due periodi riportati, delle parole “o fondati sull’omofobia o sulla transfobia”; in tal modo, l’art. 3 punirebbe con la reclusione fino a 18 mesi e con la multa “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi, o fondati sull’omofobia o sulla transfobia”, e con la reclusione fino a 4 anni “chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia”.

 
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