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L'origine del potere dei papi

Post n°44 pubblicato il 03 Luglio 2014 da Veritatis1973

Il brano che segue si basa essenzialmente su Jean-Baptiste Guiraud, Histoire partiale, Histoire vraie, I, Des Origines à Jeanne d’Arc, Beauchesne, Paris 1914, 42° edizione, pp. 104-114 (L’origine du pouvoir des papes).

S. Finucci


L’origine del potere dei papi

San Pietro apostolo

Alla fine del V secolo si trova un testo di una nitidezza perfetta, che afferma che il primato universale della Chiesa di Roma è di istituzione divina e risale a san Pietro. Un concilio di 70 vescovi, tenuto a Roma sotto la presidenza di papa Gelasio, dichiara: «Anche se tutte le chiese del mondo traggono la loro origine da Cristo, tuttavia la santa Chiesa romana non deve la sua supremazia su tutte le altre ad alcun decreto conciliare, ma alla parola del Signore nostro Salvatore, che gli ha dato il primato dicendo: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli”»[1].

Mezzo secolo prima (a metà del V), san Leone affermò la stessa dottrina nel sermone che pronunciò all’anniversario della sua consacrazione, dichiarando di avere la sua autorità da san Pietro, fondatore della Chiesa romana, che aveva ricevuto da Dio stesso, con la cura delle proprie pecore, la direzione di tutti i pastori[2]. E’, dice, la sua autorità che continua a dirigere la Chiesa romana e la Chiesa universale per mezzo dei suoi successori.

Papa Bonifacio, parlando della Chiesa romana nel 422, spiega: «E’ per l’autorità conferita a Pietro che la Chiesa romana nascente trae il suo potere universale; per tutte le chiese diffuse nel mondo intero, quella è la testa e queste sono le membra: chiunque si separa da lei, si esclude dalla religione cristiana perché non trova più in lei la linea dell’unità»[3].

Sulle labbra di papa Innocenzo I (404-417) raccogliamo questa testimonianza formale: «Il suo potere supera i limiti della sua città e di qualsiasi provincia; non dipende dalla grandezza della città dove è stabilito, ma dal fatto che il primo degli apostoli vi ha stabilito la sua sede»[4].

Innocenzo I scrive nel 404 a Victricio, vescovo di Rouen, che per le cause importanti si poteva, dopo il giudizio del vescovo, chiedere appello a Roma[5].

I Padri del Concilio di Aquileia si occupano di uno scisma avvenuto nel 366: Ursino contende la Santa Sede a papa Damaso. I Padri scrivono agli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio, che questo è un fatto di estrema gravità, perché «potrebbe disturbare la cristianità tutta intera», «la Chiesa romana è la testa del mondo cristiano, ella sorveglia la fede sacrosanta degli apostoli e da lei ha la sua sorgente la comunione dei cristiani»[6].

Papa Damaso riceve numerose richieste di consultazione, sia da Oriente che da Occidente. Ne parla san Girolamo, che cerca di dare una mano: «Ut in chartis ecclesiasticis iuvarem Damasum Romanae urbis episcopum, et Orientis atque Occidentis consultationibus responderem»[7]. Tali richieste si spiegano con il diritto universale del papa di giudicare le questioni poste nelle varie regioni della cristianità. Sulle questioni dubbie, i vescovi delle chiese più importanti sollecitavano le risposte della Santa Sede.

Il concilio di Sardica ha proclamato, nel 341, il governo universale del papato, perché ha dichiarato che, in casi gravi, è stato necessario per tutte le province ricorrere alla sede di Pietro, capitale dell’unità[8]: è una conseguenza logica del fatto che la Chiesa di Pietro è stata considerata come la “testa” della Chiesa universale. Non si è trattato di situazioni particolari o momentanee.

Nel 314, il concilio di Arles chiede a papa Silvestro la conferma delle proprie decisioni[9].

Alla fine del terzo secolo il vescovo di Alessandria, Dionigi, chiede il parere della Santa Sede su una questione dubbia, come abbiamo già visto fare nel quarto secolo con papa Damaso[10].

Sempre nel terzo secolo, Cipriano, vescovo di Cartagine, scrive: «Non c’è che un solo Dio, una sola Chiesa, una sola cattedra fondata su Pietro dalla stessa volontà del Signore, cathedram unam super Petrum Domini vocem fundatam»[11]. La cattedra di Pietro sulla quale è stabilita la Chiesa universale, è la Chiesa romana[12]; ecco perché, dice ancora, questa Chiesa è la Chiesa principale, dove è sorta l’unità dell’episcopato, quella dove la comunione stabilisce nell’unità della carità della Chiesa[13]. Cipriano dichiara che chiunque non è in comunione con Roma è fuori della Chiesa. Così insegna verso il 250.

Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, governava una chiesa di origini apostoliche, che considerava san Pietro come suo fondatore. Nelle sue lettere, Ignazio riconosce alla Chiesa romana un posto a parte nell’insieme della cristianità, un rango eminente su tutte le altre. Nella lettera ai Romani, del 110, la designa come quella che «presiede nella terra di Roma», «che presiede alla carità, che porta la legge di Cristo e il nome del Padre»[14]. Così uno dei vescovi più importanti del mondo cristiano ci dice come la supremazia della Chiesa di Roma era vista dalla generazione che aveva ricevuto senza intermediari l’insegnamento degli apostoli.

Si afferma dunque la supremazia della sede di Roma fin dalle prime generazioni di cristiani.

Il più famoso intervento del papa per risolvere un problema è anche il più antico: alla fine del primo secolo, papa Clemente si interpose per calmare i disordini che laceravano la Chiesa di Corinto. I partiti opposti, per quanto forte fosse il loro disaccordo, accettarono la sua decisione. Eppure la chiesa di Corinto era stata fondata da san Paolo, e quindi aveva anch’essa un’origine apostolica. Dunque, la Chiesa di Roma era già considerata come la “testa” di tutte le altre. Roma non aveva solo un primato di onore, ma aveva un potere di governo su tutta la cristianità, anche sulle chiese più antiche. Era già così per la generazione che ha seguito quella degli apostoli.

Cosa dobbiamo pensare della tradizione per cui Pietro è stato a Roma?

Nel 200 il prete romano Caius, volendo confondere l’eresia dei Montanisti, ricordava loro gli insegnamenti di san Pietro e san Paolo, e li considerava fondatori della chiesa di Roma: «Posso mostrarvi i monumenti degli apostoli; che voi veniate sul Vaticano o sulla via di Ostia, avrete sotto gli occhi i monumenti dei fondatori della nostra Chiesa»[15].

Tertulliano, discutendo con Marcione, dice che l’autorità dottrinale della Chiesa romana si basa sulla venuta di san Pietro a Roma[16].

Sant’Ireneo, discepolo di san Policarpo, scrive verso il 170 che «gli apostoli Pietro e Paolo hanno fondato ed evangelizzato la Chiesa romana»[17].

Nel 110, sotto l’imperatore Traiano, sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, scrive ai cristiani di Roma facendo intendere che sarà martirizzato come Pietro e Paolo[18]. Il passo è sensato se si suppone che i due apostoli siano stati uccisi a Roma.

Al tempo di Domiziano (81-96), il terzo successore di Pietro a Roma, papa Clemente, scrive ai Corinzi. Nella prima lettera ad essi rivolta, parla di Pietro e Paolo, che furono martirizzati, e sembra indicare, dicendo che sono «vicinissimi a noi», che proprio a Roma abbiano dato l’ultima prova di eroismo[19].

Nel Nuovo Testamento è scritto che la prima lettera di Pietro viene inviata da Babilonia: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio». (1 Pietro 5,13). Ma “Babilonia” significava Roma: così veniva chiamata, tra i primi cristiani, la capitale dell’impero, dove subivano persecuzioni. I cristiani paragonavano la capitale dell’impero romano a Babilonia, perché nel 587 a.C. i Babilonesi avevano distrutto il Tempio di Gerusalemme e deportato tutti i suoi abitanti[20].

Le altre due città antiche che hanno lo stesso nome non permettono equivoci. Secondo Flavio Giuseppe, le rovine della Babilonia storica, in Mesopotamia, furono abbandonate, nella seconda metà del sec. I, dagli stessi giudei, che si trasferirono a Seleucia[21]. Dell’esistenza di chiese cristiane in quel luogo non abbiamo alcuna testimonianza storica attendibile. Nel 116 d.C. Traiano svernò a Babilonia, ma secondo gli storici del tempo la città era ormai diventata un cumulo di macerie. Lo stesso vale per Babilonia d’Egitto: non ci sono fonti che indichino la presenza di comunità cristiane. Quindi, a quanto pare, Babilonia sta per Roma, come afferma Eusebio di Cesarea[22].

Secondo una tradizione costante, san Pietro è stato a Roma e vi ha lasciato una Chiesa che, da allora, ha mantenuto i suoi poteri. La sede di Pietro ha avuto non solo un primato di onore, ma il potere di giudicare le controversie, e quindi il governo su tutte le altre chiese, anche di origine apostolica. Per negarlo, bisogna ignorare i testi.


 

[1] Gelasio, Epistola 33, in dom Coustant, Epistolae pontificum romanorum, I, III.

[2] Leone I, Sermone IV: «Si quid itaque a nobis recteque discernitur, si quid a misericordia Dei quotidianis supplicationibus obtinetur, illius est operum atque meritorum, cuius in sede sua vivit potestas et excellit auctoritas [...] His itaque modis, dilectissimi, rationabili obsequio celebratur hodierna festivitas, ut in persona humilitatis meae ille intelligatur, ille honoretur in quo et omnium pastorum sollicitudo cum commendatarum sibi ovium custodia perseverat, et cuius etiam dignitas in indigno herede non deficit».

[3] Bonifacio, Ep. 14: «Institutio universalis nascentis Ecclesiae de beati Petri sumpsit honore principium, in quo regimen eius et summa consistit [...] Hanc ergo ecclesiam toto orbe diffusis velut caput suorum certum est esse membrorum; a qua se quisquis abscidit, fit christianae religionis extorris, cum in eadem non ceperit esse compage».

[4] Innocenzo I, Ep. 27: «Non tamen pro civitatis magnificentia quam quod prima primi Apostoli sedes esse monstretur».

[5] Innocenzo I, Ep. 2, in dom Coustant I, 745 e segg.: «Si maiores causae, in medium fuerint devolutae, ad sedem apostolicam, sicut synodus statuit et beata consuetudo exigit, post episcopale iudicium, ad apostolicam sedem referantur».

[6] Brano citato da sant’Ambrogio, Ep. 2: «Totum corpus ecclesiae toto orbe diffusum et universa turbare posset [...] totius orbis Romani caput atque illam sacrosantam apostolorum fidem ne turbare ineret, obsecranda fuit clementia vestra [...] inde enim in omnes venerandae communionis iura dimanant».

[7] Girolamo, cit. in dom Coustant, I, p. 266.

[8] Cf. Dom Coustant, Epistolae romanorum pontificum I, p. 395. « Hoc optimum et valde congruentissimum judicabitur si ad caput, id est ad Petri sedem, de singulis quibusque provinciis Domini referant sacerdotes».

[9] Ibid., p. 341.

[10] Cf. dom Coustant, I, p. 266.

[11] Cipriano di Cartagine, De catholicae Ecclesiae unitate, esordio.

[12] Cf. Id., Ep. 55, 9; De catholicae Ecclesiae unitate, 4; Ep. 43, 5; 59, 7; 66, 3,7; 73, 7.

[13] Cf. Id., Ep. 59, 14: «Ad Petri cathedram atque ad ecclesiam principalem, unde unitas sacerdotalis exorta est [...] Communicationem tuam id est catholicae ecclesiae unitatem pariter et caritatem».

[14] Cf. Ignazio di Antiochia, Ep. ad Romanos, saluto.

[15] Eusebio, Historia ecclesiastica, II, 25.

[16] Tertulliano, Adversus Marcionem, IV, 5.

[17] Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, I.

[18] Ignazio di Antiochia, Ep. ad Romanos, IV: «Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo. Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi io a tuttora uno schiavo».

[19] Clemente romano, Ep. ad Corinthios I, V: «Ma lasciando gli esempi antichi, veniamo agli atleti vicinissimi a noi e prendiamo gli esempi validi della nostra epoca. Per invidia e per gelosia le più grandi e giuste colonne furono perseguitate e lottarono sino alla morte. Prendiamo i buoni apostoli. Pietro per l'ingiusta invidia non una o due, ma molte fatiche sopportò, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. Per invidia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. Per sette volte portando catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo nell'oriente e nell'occidente, ebbe la nobile fama della fede. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, giunto al confine dell'occidente e resa testimonianza davanti alle autorità, lasciò il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo il più grande modello di pazienza».

[20] Cf. G. Marconi, Prima lettera di Pietro, Città Nuova, Roma 2000, pp. 174-175.

[22] Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, II, 15, 2: «Pietro nomina Marco nella sua prima lettera, che dicono compose proprio a Roma, città da lui stesso indicata, chiamandola metaforicamente Babilonia, nel seguente passo: “Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio”».

 
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