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« Ideologia che danneggia ...La Camera sta per discut... »

Il dolore innocente

Post n°132 pubblicato il 23 Gennaio 2017 da Veritatis1973

http://www.sehaisetediluce.it/fatima_20.jpg

 

Il dolore innocente e la risposta cristiana. Che c'è 

[...]

In realtà, dottrina e tradizione ci dicono che, per un credente, la risposta c'è. Dio non ha creato il male e la sofferenza, che sono conseguenze del peccato. Ecco la risposta, sconvolgente per la mentalità secolarizzata, ma inequivocabile per la Chiesa: il peccato. Un peccato al quale Dio, però, non ci abbandona come a una condanna inevitabile. Il Padre, infatti, manda suo Figlio ad assumere su di sé tutti i peccati, per sconfiggere la morte. Un'altra risposta sconvolgente, anzi scandalosa, per la mentalità secolarizzata. Ma altrettanto inequivocabile.

I due misteri, quello del male e del dolore innescato dal peccato, e quello della redenzione permessa dal sacrificio del Figlio di Dio, sono strettamente connessi.  Come spiegò Giovanni Paolo II in un'udienza generale del 1986 (10 dicembre) «il mistero del male e del peccato, il "mysterium iniquitatis", non può essere compreso senza riferimento al mistero della redenzione, al "mysterium paschale" di Gesù Cristo».  E nella «Salvifici doloris», la lettera apostolica dedicata proprio al senso cristiano della sofferenza, Giovanni Paolo II scrive: «La sofferenza deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza. La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell'uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio».

Dunque le risposte ci sono, e la Chiesa, anche di recente, le ha formulate con chiarezza. Certo, se non si fa riferimento al peccato, diventa impossibile cogliere il significato della sofferenza come richiamo alla conversione.

Il peccato, fin da quello di Adamo: ecco la risposta. Un peccato, il primigenio, che è stato di disobbedienza: l'uomo, la creatura, che pretende di fare la sua volontà e non quella del Creatore.

Si tratta di una verità che la Chiesa ha costantemente ribadito, come leggiamo nella «Gaudium et spes»: «Costituito da Dio   . . . l'uomo fin dagli inizi della storia abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio».

Ma l'uomo, Adamo, non ha fatto tutto da solo. È stato tentato da qualcuno. E da chi? Dal Maligno. Un'altra risposta inequivocabile. Perché, come si legge nel Libro della Sapienza (Sap 2, 24): «. . . la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono».

Le risposte ci sono, sono chiare. La Chiesa le possiede e le insegna da sempre.

Lungo i secoli, il problema del dolore innocente ha interpellato schiere di filosofi, teologi, scrittori, pensatori. La questione è quella alla quale gli atei fanno ricorso più volentieri per giustificare il loro non credere in Dio: se Dio c'è, ed è buono, come può permettere la sofferenza, sommamente ingiusta, dell'innocente?

Ecco, chi è senza risposte è appunto l'ateo. Ma il credente la risposta ce l'ha. Ed è una risposta che apre a infinite riflessioni. A partire da questa: il peccato fa irruzione nel mondo a opera di un solo uomo, Adamo, ma si riverbera sull'umanità intera. Allo stesso modo, il riscatto, la redenzione, è operata da un solo uomo, Gesù Cristo, ma va a beneficio di tutti. Non ce n'è abbastanza per interrogarci, in quanto credenti, sullo spessore della nostra responsabilità individuale nell'eterna battaglia tra la luce e le tenebre, tra il bene e il male?

Sì, la Chiesa ha le risposte, e il suo insegnamento sorregge l'opera dei santi.

Il beato don Carlo Gnocchi, il prete che dedicò la vita ai bambini disabili, nel suo libro «Pedagogia del dolore innocente» dice che attraverso il dolore dei bimbi «si ha in mano la chiave per comprendere ogni dolore umano e consolare la pena di ogni uomo percosso ed umiliato dal dolore». Risposta alla luce della fede.

In questi casi penso sempre a quei genitori che hanno avuto figli gravemente disabili o hanno fatto l'esperienza della perdita di un figlio. Ne ho conosciuti alcuni che, dopo un primo momento di ribellione totale a Dio («perché mi hai fatto questo?»), hanno poi trovato la risposta proprio in Gesù. Ricordo in particolare una mamma che mi ha detto: «Per lungo tempo non ho capito, ma ora so che l'esperienza della malattia di mio figlio aveva ed ha un significato. Ho scoperto la solidarietà di altre persone, mi si sono aperti gli occhi su ciò che conta davvero, ho percepito la bontà disinteressata. Mio figlio non ha sofferto invano. La sua sofferenza ci ha toccato nel cuore e ci ha migliorati».

Certo, approdare alla risposta non è facile. Ma la risposta c'è. Ha un nome e un volto.

Sostenere che una risposta non c'è non è forse in aperta contraddizione con la fede di quanti, e sono tanti, l'hanno trovata proprio nel valore redentivo del dolore innocente unito alla passione di Cristo e nella partecipazione al mistero della Redenzione?

Mi scrive un amico prete: «Grazie alla Croce di Cristo, il dolore innocente non è un enigma senza risposte, ma un mistero in cui entrare con fede e speranza, alla luce della Pasqua. Il Signore non ha lasciato senza risposta lo scandalo di Pietro di fronte alla croce né la tristezza dei discepoli di Emmaus, ma spiegò loro  quello che in tutte le Scritture si riferiva a Lui e disse: "Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24, 26). Del resto Paolo, maestro di Luca, era convinto che la sofferenza, accolta nella fede, compie ciò che manca in noi dei patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24)».

Dunque le risposte, alla luce della fede, ci sono. Difficili, difficilissime da accogliere per la ragione umana, ma ci sono.

[...]

Il 29 maggio 1994, in un Angelus domenicale dai toni quasi mistici, san Giovanni Paolo II, reduce dal ricovero di un mese al Policlinico Gemelli per la frattura di un femore, parlò della sua sofferenza come di «un dono necessario», legato al mese mariano, e precisò: «Il Papa doveva trovarsi al Policlinico Gemelli, doveva essere assente da questa finestra per quattro settimane, quattro domeniche, doveva soffrire: come ha dovuto soffrire tredici anni fa, così anche quest'anno».

Il riferimento a tredici anni prima è ovviamente all'attentato del 13 maggio 1981. Poi papa Wojtyla spiega: «Ho meditato, ho ripensato di nuovo a tutto questo durante la mia degenza in ospedale. E ho trovato di nuovo accanto a me la grande figura del cardinale Wyszynski, primate della Polonia (del quale ricorreva ieri il tredicesimo anniversario della morte). Egli, all'inizio del mio pontificato, mi ha detto: "Se il Signore ti ha chiamato, tu devi introdurre la Chiesa nel terzo millennio". Lui stesso ha introdotto la Chiesa in Polonia nel secondo millennio cristiano. Così mi disse il cardinale Wyszynski. E ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo terzo millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho visto che non basta: bisognava introdurla con la sofferenza, con l'attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio. Perché adesso, perché in questo anno, perché in questo Anno della famiglia? Appunto perché la famiglia è minacciata, la famiglia è aggredita. Deve essere aggredito il Papa, deve soffrire il Papa, perché ogni famiglia e il mondo vedano che c'è un Vangelo, direi, superiore: il Vangelo della sofferenza, con cui si deve preparare il futuro, il terzo millennio delle famiglie, di ogni famiglia e di tutte le famiglie. Volevo aggiungere queste riflessioni nel mio primo incontro con voi, carissimi romani e pellegrini, alla fine di questo mese mariano, perché questo dono della sofferenza lo devo, e ne rendo grazie, alla Vergine Santissima. Capisco che era importante avere questo argomento davanti ai potenti del mondo. Di nuovo devo incontrare questi potenti del mondo e devo parlare. Con quali argomenti? Mi rimane questo argomento della sofferenza».

C'è da restare senza fiato davanti a questo papa che, meditando sul mistero del dolore, non solo trova la risposta nel «Vangelo superiore», ma addirittura ringrazia la Vergine per il dono della sofferenza e proclama che per lui diventerà argomento privilegiato nel confronto che dovrà sostenere con i potenti della terra (la cui logica, evidentemente, è ben diversa da quella evangelica) per difendere la famiglia.

Le risposte, dunque, alla luce della fede, ci sono. E che risposte!

Aldo Maria Valli

Fonte: http://www.aldomariavalli.it/2017/01/06/il-dolore-innocente-e-la-risposta-cristiana-che-ce/ 

 

 
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