GEAPRESS – Ennesimo avvelenamento di cani utilizzati nella ricerca dei tartufi. La strage è continua e spesso silenziosa. Chi distribuisce il veleno, infatti, è a volte un cacciatore di tartufi. A complicare le cose anche la riottosità del cercatore che ha subito la morte del cane a svelare un luogo evidentemente utile al ritrovamento dei preziosissimi tartufi.

I veleni utilizzati sono quelli classici. Prodotti di sintesi per l’agricoltura o topicidi. Nel primo caso i sintomi dell’avvelenamento possono manifestarsi dopo poco tempo dall’ingestione. Il cane muore con violente convulsioni. Nel topicida, invece, prevale l’emorragia interna che può manifestarsi, però, anche a distanza di parecchie ore. Il veleno, infatti, congegnato in appetibili esche per gli intelligenti ratti, evita che questi ultimi colleghino al cibo ingerito l’origine della morte di un loro simile. Non mangerebbero più le esche. L’effetto, pertanto, è ritardato.

Il danno economico per i tartufai è notevole. Un cane adulto con una discreta attitudine alla ricerca dei tartufi viene venduto a non meno di 1500 euro, mentre un cucciolo di buona genealogia oscilla tra i 300 ed i 700 euro. Vi sono ovviamente i campioni e per loro il prezzo è da veri fuoriserie.

L’ultimo avvelenamento del quale si è avuto notizia è avvenuto questa settimana nel Comune di Ortucchio (AQ). Almeno dieci cani da tartufo hanno rimesso la vita. Il veleno utilizzato è stato la stricnina mischiata con polpette di carne. In questo caso, forse, l’imputato potrebbe non ricercarsi solo nella guerra tra tartufai ma anche tra cacciatori da posta e quelli con cane vagante. Questo nonostante la caccia sia ancora chiusa.

GeaPress ricorda che molti dei veleni utilizzati sono potenzialmente pericolosi sia per la fauna selvatica che per l’uomo. In alcuni casi il semplice contatto tra le mucose e le mani contaminate (basta già portarsi le mani in bocca) può rappresentare un serio pericolo. I principi attivi utilizzati per avvelenare, rimangono inoltre ad alto grado di pericolosità anche per parecchi giorni o settimane. La denuncia, oltre che un dovere morale, è altresì disposta dall’Ordinanza anti avvelenamenti del Ministero della Salute, fatto però scarsamente recepito dagli stessi cercatori di tartufi gelosi restii nello svelare buoni posti di raccolta.