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Volere è nuotare

Post n°449 pubblicato il 28 Settembre 2016 da viburnorosso

Stavolta mi hanno dato una stanza al Gran Bleu, che non ho capito se si chiama così per via della cancellata dipinta di azzurro o perché dalla terrazza dove servono la colazione da ogni angolo si vede il mare. 

Bisogna salire in alto per ricordarsi di essere su un’isola.
Procida.
Come si riscende in basso l’orizzonte marino sparisce dietro agli alti muri di cinta che celano cortili e limonaie, si viene inghiottiti da un groviglio di vicoli e stradine. Ogni qualvolta si cede il passo ad un furgoncino o ad un apecar, si finisce impigliati nei rami di bouganville e gelsomino che si sbracciano fuori dai giardini. Qui non esistono marciapiedi. Deve essere perché il tessuto urbano è stato concepito in un’epoca in cui le vie si percorrevano solo a piedi, o al massimo a dorso di asino. Oggi che i veicoli a motore si sono impossessati della strada, al pedone non resta che farsi da parte, sperando di non essere centrato da uno di quei bolidi sfreccianti. Ma non accade mai. Chi guida in questi posti deve essere provvisto di una patente di livello superiore per  condurre veicoli speciali con un secondo pedale dell’acceleratore al posto di quello del freno.

Ho deciso di allungare la trasferta di un giorno: ho attraversato in su e giù l’Italia due volte in meno di venti ore, adesso sento il bisogno di fermami. Sono piena di buoni motivi peraltro: devo provare l’insalata di limoni e menta, le granite di frutta vera, la frittura di paranza, ma soprattutto devo fare il secondo e ultimo bagno della stagione, o forse, sarebbe più giusto dire, il primo e unico, visto che da qualche giorno l’estate ha passato la mano all’autunno.
“Ricordati di prendere il costume da bagno” mi sono ripetuta più volte prima della partenza, tuttavia ho lasciato che a fare le valigie fosse un ottimismo scettico  e un po’  sbadato, perché mi sono ritrovata con due pezzi appartenenti a due costumi diversi e senza infradito.

Ma se una è determinata, in spiaggia può andare  anche così: scendere per la stradina vestita di tutto punto, come fosse appena uscita da un convegno (solo senza congiuntivo di possibilità), levarsi le scarpe sull’ultima rampa di scale e procedere a piedi nudi nella sabbia contando sull’indifferenza ai principi di coerenza estetica da parte dei vecchietti che giocano a carte ai tavolini dell’unico chiosco aperto.

La sabbia è scura, e neanche finissima, ma la compagnia di un’amica che riesco a incontrare meno di quello che vorrei, unita alle chiacchiere, alle risate e all’insistenza gentile del sole di settembre, riscaldano immediatamente la temperatura dell’acqua, e ci impediscono di notare la marea che quasi travolge  borse e asciugamani sulla spiaggia.

Veniamo via che sono quasi le sette di sera. La sabbia che pizzica nelle scarpe buone, il costume bagnato sotto, i capelli arruffati dalla salsedine.
E un principio di raucedine e soddisfazione in gola.

 

 

 
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