Creato da viburnorosso il 02/06/2011
speculazioni non edilizie

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Agosto 2014 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30 31
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 
Citazioni nei Blog Amici: 27
 

Ultime visite al Blog

cassetta2gianbytePRONTALFREDOLaFormaDellAnimaarianna680maristella750natalydgl7cerebrale_62vladimiromajakovskijlucille.nelventodaunfioremauriziocamagnaJabel.Rmoonatikaiaje_est_un_autre
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
 

Messaggi di Agosto 2014

Sbarco alieno nella Tuscia

Post n°397 pubblicato il 27 Agosto 2014 da viburnorosso

La prima volta che li vide era bambina.
Il papà aveva fermato la macchina su uno spiazzo aperto.
In lontananza l’insegna di un bar.
Tutto attorno buio, cielo, stelle.
E una febbrile eccitazione per qualcosa di grande e nuovo.
Voleva esserci anche lei, e invece le venne sonno.
Non sono neanche sicura che poi li abbia visti, ma quella sensazione di  attesa esplosiva  se la ricorda ancora: il buio  che si dilata prima dello scoppio e la paura che ruba il posto allo stupore.
“Forse sarebbe stato più sicuro raggiungere il bar …”

Da grande ha avuto un figlio che prima di imparare bene i nomi delle cose, quei fulmini colorati li chiamava “fuochi dentifricio”.
La sera, in casa, soprattutto d’estate, capitava spesso di sentire il cielo tuonare all’improvviso. E non per un temporale.
Allora il bambino correva alla finestra per vedere quell’esplosione multicolore.
Ma indovinava sempre la finestra sbagliata.
Rovistava qualche secondo nel cielo col naso all’insù e poi cambiava finestra.
Una dopo l’altra.
Di solito quando azzeccava quella giusta, lo spettacolo era già terminato.

Probabilmente, a chiedere a lui, quell’attesa ha più il sapore della frustrazione.
Per lei invece no.
È il conto alla rovescia prima della deflagrazione.
L’apnea che non sai mai se si scioglierà in respiro.

L’altra sera le è capitato di rivedere di nuovo quello spettacolo.
Aveva un po' paura, come sempre, per le cose che devono succedere.
Teme di non riuscire a farsi trovare pronta.
Allora fa le prove: si immagina zampilli colorati dietro agli occhi e rumore di bombe dentro le orecchie.
Esagera un po’ per arrivarci preparata.
Ma non basta.

Questa volta hanno fatto le cose veramente in grande.
Il cielo esplode in una moltitudine di colori: dal bosco di nocciole, fino  al profilo della chiesa, non ne resta uno spicchio libero.
Si passa dal verde amazzonia al rosso amaranto per il giallo limone e il blu fiamma del gas.
Lo stupore prende definitivamente il posto della paura.
I battici cardiaci segnano il tempo delle esplosioni. Recupera il respiro, e giù un diluvio di gocce argentate che si dissolve un attimo prima che apra l’ombrello. Anche perché se l'è dimenticato a casa.

Non vi è dubbio.
Gli alieni sono sbarcati sulla terra.
Alla sagra della porchetta di Vallerano.

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Il bambino perbene

Post n°396 pubblicato il 21 Agosto 2014 da viburnorosso
 

Il Gufetto ha un nuovo amico, il Bambino Perbene.
Si sono conosciuti il primo giorno di scuola media. Il Gufetto è tornato a casa sorridente e ha detto:
“In classe c’è un bambino educato e molto perbene. Siamo diventati amici!”.

Perbene è un aggettivo di altri tempi, fa sorridere, soprattutto se detto di un ragazzino di 11 anni: rimanda infatti ad un capo fuori moda, la gentilezza, che quasi nessuno indossa più, in quest’epoca di ombelichi scoperti e ostentata sicurezza. 

Un tempo la gentilezza serviva a riparare da quelle intemperanze che ora sono esibite come segno di personalità. 
A noi però, ci piace usarla ancora, e la teniamo riposta nel cassetto dell’amicizia.

Il Gufetto e il Bambino Perdebene hanno gli stessi ricci spettinati, la stessa aria trasognata, gli stessi lineamenti delicati: si somigliano quel tanto da sembrare fratelli.
Solo che uno è più alto, porta gli occhiali da vista con le lenti fotocromatiche, che al sole scuriscono facendolo sembrare un bullo, e la mattina fa colazione col succo ACE. Quello che ha il nome, e l’odore, di un detersivo.
L’altro, invece, è un po’ più basso, fa colazione col latte e biscotti, ma, se glielo permettessi, mangerebbe quasi esclusivamente orsetti gommosi alla frutta. Lo so bene, perché quello è mio figlio.

L’altro giorno io, il Gufetto e il Bambino Perbene siamo partiti per una breve vacanza in campagna.
All’inizio mi era sembrata un’idea carina. Ma poi, al momento di partire, mi sono accorta che ero stata un po’ avventata a decidere di passare da sola tre giorni con due maschi preadolescenti, seppur gentili. 

Avevo in tasca un programma fitto di bagni al lago, passeggiate e gelati, ma il rischio di venire accolta da musi lunghi ed espressioni annoiate era comunque alto.
I due sono pur sempre in quell’età di passaggio che fa della noia la sua cifra stilistica.

E invece mi hanno stupito. Sono riusciti loro malgrado a divertirsi tantissimo.
Si sono intrattenuti per ore fingendo di essere agenti segreti, o ladri, o meglio ancora, ladri camuffati da agenti segreti.
Hanno fatto la lotta per finta, lunghi bagni nel lago e l’ultima sera hanno riso come matti fino a tardissimo, mentre io dal piano di sopra gli intimavo di dormire.
Tutto questo senza mai uno scontro o una discussione – come invece talvolta mi è capitato di vedere tra bambine.

Già a questa età i ragazzini dimostrano di funzionare in maniera più semplice delle loro coetanee:
non distinguono le sfumature di colore e sono totalmente incapaci negli abbinamenti cromatici, infatti si vestono solo per coprirsi. Però hanno quasi sempre caldo e poi si raffreddano;
mangiano soprattutto per fame, e sono spesso affamati;
dimenticano di mettersi l’apparecchio dei denti perché gli dà noia metterlo e lo lasciano sul bordo del lavandino;
però riescono a fare la cacca nei bagni pubblici, se gli scappa.
I ragazzini giocano a pallone con altri ragazzini che diventano amici il tempo di una partita.
Poi si salutano senza manco essersi chiesti il nome.
Ma soprattutto non si fanno troppe domande.
Amano  fare cose insieme, piuttosto che passare il tempo a raccontarsi quelle che hanno fatto.
Ricordano poco, dimenticano facilmente, sudano molto.
E imboccano la via diretta, senza manco essersi accorti dell'ostacolo.

E così tre giorni sono volati.
Semplicemente.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Una vacanza da sé. Ovvero l’inimitabile leggerezza della sospensione dell’essere

Post n°395 pubblicato il 16 Agosto 2014 da viburnorosso

SS2, km 3
Uova fresche da bere, vendita diretta.

SS2, km 10
La nuvola che occupa il lato sinistro del lunotto anteriore è un elefante che nuota nell’azzurro nautico del cielo.
La proboscide disegna uno schizzo di acqua che rimane sospeso in aria dissolvendosi poco prima di toccare terra.

SS2, km 16
I ragazzi cantano sul sedile di dietro:

Destruction leads to a very rough road
But it also breeds creation
And earthquakes are to a girl's guitar
They're just another good vibration
And tidal waves couldn't save the world
From Californication

Mi accontenterei di manifestazioni meno apocalittiche, almeno per tutta la durata del viaggio. 

SS2, km 25
Qui la super costa meno che al distributore precedente, ma il serbatoio è ancora pieno.

SS2, km 32
Nella calura pomeridiana di questo agosto incoerentemente piovoso, la terra esala il suo umido respiro e appanna l’orizzonte.
Potrei evaporare nell’indolenza di quest’ora pigra e probabilmente non me ne accorgerei.

Bivio. Svolta a destra.
Dietro alle fronde dei castagni ecco che occhieggia argentato il lago.

 

 

Non so se vi è mai capitato, ma a me certe volte succede di ritrovarmi a destinazione senza avere piena consapevolezza della strada fatta per arrivarci.
Accade soprattutto quando viaggio in ore poco affollate, su strade quasi deserte: l’attenzione si concentra sulla guida, liberando la coscienza del suo controllo.
Allora scivolo gradualmente in uno stato di sospensione dell’essere.
Galleggio leggera al di sopra dei miei pensieri, attorno calma piatta, di tanto in tanto alcuni ragionamenti sconclusionati affiorano sulla superficie della consapevolezza, come punti colorati sulla cartina di un viaggio che non mi accorgo di aver fatto.
All’arrivo, nonostante i chilometri macinati, non provo nessuna fatica.  
Nulla è più riposante che riuscire a dimenticarsi per un po’ di esserci.

Ogni tanto è bene prendersi una vacanza da sé.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Percorsi circolari. Ovvero il tram finisce la sua corsa là dove l’ha iniziata.

Post n°394 pubblicato il 11 Agosto 2014 da viburnorosso

Sono tornata a Praga.
Ci ero stata nel ‘92. L’estate dopo quella in cui mio padre se ne era andato.

Nonostante fosse passato un anno continuavo a sentirmi sospesa in una bolla di indeterminatezza: tutte le cose che sarei potuta diventare e che intanto non riuscivo ad essere.
Cercavo una direzione, insomma.
Cosa abbastanza normale a vent’anni, anche senza essere passati per una perdita, ma quella contingenza rendeva più pressante questa mia necessità.

Nel frattempo avevo letto Lo scherzo di Kundera. E le curiose coincidenze tra vita e finzione, mi avevano convinto che Milan (sì, Milan, perché i lettori hanno un rapporto intimo con i loro autori preferiti e li chiamano per nome) avesse scritto quella storia pensando proprio a me.
Perché quella storia parla di uno che si riconcilia con la vita che l’ha sbeffeggiato, depone il rancore, e trova finalmente la sua strada.
E chi era quello, se non io?

Con quel libro quindi Kundera mi stava indicando la direzione esatta.
Fa nulla che l’avesse scritto qualche anno prima che io nascessi.
Fa nulla che all’epoca in cui io l’avevo letto, lui avesse già da un pezzo abbandonato la Cecoslovacchia.
E fa nulla se di lì a poco si sarebbe definitivamente messo a scrivere in francese, abbandonando la confortante intimità dell’idioma materno.
Quel libro era stato evidentemente scritto per me.

Quindi dovevo andare a Praga.
E portare a termine il tentativo già intrapreso l’anno prima, nell’agosto del ’91, durante il mio inter-rail, quando l’improvvisa notizia di un tentato colpo di stato a Mosca, mi aveva spinto all’ultimo a cambiare destinazione e interrompere il mio viaggio a Berlino.

L'anno seguente riuscii nel mio intento. Andai a Praga e ci rimasi due settimane.
Trovando in effetti la mia strada.
Quella che poi mi avrebbe spinto, respinto e riportato ancora più a nord e più a est.

Ricordo che abitavo in un appartamento subaffittato, di cui un amico mi aveva passato l’indirizzo. Una casetta spartana, per i nostri gusti di occidentali preglobalizzati, ma dotata di curiose comodità tardosovietiche.
Fu lì che vidi per la prima volta un forno a microonde, per dire. E che capii che non andava bene per tostarci il pane.

Un po’ feci la turista, un po’ girai senza meta.
Tutte le mattine prendevo il tram in una piazza e davanti alla fermata c’era un porticato con degli archi. Li contavo nell’attesa.
Al ritorno, invece, me li lasciavo alle spalle.

Durante questo soggiorno non avevo messo in conto di tornarci.
Un po’ perché non avrei saputo come ritrovarlo, quel posto, e un po’ perché penso che le cose abbiano un senso per il momento in cui le abbiamo vissute e che perciò sia meglio non andarne a rinnovare il ricordo che ne conserviamo.
Che poi è il motivo per cui non ho mai riletto quel romanzo.
Perché ci rimarrei male se non ci ritrovassi le cose che ci avevo trovato in quel momento, come invece è assai probabile che sia.

La mia idea era di ripartire da Praga con nuove immagini da affiancare a quelle più vecchie, senza andare a ricolorare  quelle più sbiadite.
Così pensavo.
Finché qualche giorno fa, stanchissima, di ritorno da un giro al Castello, mi sono vista sfilare davanti un porticato con degli archi.
Il tram ha rallentato e ci si è fermato davanti. Questione di qualche secondo, e poi è ripartitito lasciandosi 22 anni alle spalle.

Anche dietro alle nuove insegne al neon, era impossibile non riconoscerla: la piazza era ovviamente quella in cui aspettavo di scoprire la mia strada.
Perché talvolta i percorsi sono circolari e ripassano senza volerlo per il punto da cui siamo partiti.
Ma è un ritorno elusivo. Perché nel frattempo noi non siamo più gli stessi.
Fortunatamente. 

Forse adesso posso rileggere quel libro. E trovarci dentro un altro "senso".

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Epifanie muscolari

Post n°393 pubblicato il 08 Agosto 2014 da viburnorosso
 

Ho fatto la turista.
Quindi ho girato, camminato, visitato.
E in questo vagabondare conoscitivo, ho scoperto, oltre a cose molto interessanti, anche muscoli di cui ignoravo l’esistenza.
Tipo quelli che dal tallone si irradiano su per la gamba.

Di cui l'iperproduzione di acido lattico serberà da ora imperitura memoria.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963