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Un blog creato da violet_space il 11/01/2009

ViolaMente

spettri viola di parole e musica

 
 

CANZONE ECOLOGICA

Parole che vanno e vengono in quantità:
come pennellate di colore cariche
aggrumano le preziose tenuità
in cumuli di volgari croste, ovunque.

Forse sarebbe più bello tacere,
in accordo coi nostri pensieri,
che solo ad esprimerli in verbi e parole
non sono più verità.

Ma so che sarebbe anche bello
Sceglierle bene;
per farle aderire con più precisione
all’anima con la sua musica.

Sento svanire il suono infinito,
il timbro che unisce le vite
alle cose del mondo:
l’umano ululato strepita
e tutto si fa disarmonico.

Quanto rumore e parole in libertà…
Quanto timore di ammutolire in sé…

L’umano fracasso contamina
Il fiato dell’universo.

Marlene Kuntz

 

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COME OGNI VOLTA

Post n°18 pubblicato il 17 Gennaio 2010 da violet_space

 
 
 

Enivrez-Vous

Post n°17 pubblicato il 29 Agosto 2009 da violet_space

Il faut être toujours ivre.
Tout est là:
c'est l'unique question.
Pour ne pas sentir
l'horrible fardeau du Temps
qui brise vos épaules
et vous penche vers la terre,
il faut vous enivrer sans trêve.
Mais de quoi?
De vin, de poésie, ou de vertu, à votre guise.
Mais enivrez-vous.
Et si quelquefois,
sur les marches d'un palais,
sur l'herbe verte d'un fossé,
dans la solitude morne de votre chambre,
vous vous réveillez,
l'ivresse déjà diminuée ou disparue,
demandez au vent,
à la vague,
à l'étoile,
à l'oiseau,
à l'horloge,
à tout ce qui fuit,
à tout ce qui gémit,
à tout ce qui roule,
à tout ce qui chante,
à tout ce qui parle,
demandez quelle heure il est;
et le vent, 
la vague, 
l'étoile, 
l'oiseau, 
l'horloge,
vous répondront:
"Il est l'heure de s'enivrer!
Pour n'être pas les esclaves martyrisés du Temps,
enivrez-vous;
enivrez-vous sans cesse!
De vin, de poésie ou de vertu, à votre guise."

Charles Baudelaire

Colonna Sonora: Envirez-Vous! - Stereolab

 
 
 

24 GIUGNO 2009

Post n°16 pubblicato il 21 Agosto 2009 da violet_space

Sei sempre stata un passo davanti a me.

Siamo venute a questo mondo nello stesso giorno, ma un piccolo scarto, dalla mattina in cui sei nata tu fino alla sera in cui sono arrivata io, lo abbiamo costantemente mantenuto. Un piccolo passo, quello che distanzia l’alba dal tramonto, il sant’orsola dalla maternità, l’ultima cifra del numero sip e i pochi chilometri che separavano le nostre case.

Ci sono voluti trent’anni, perché l’amicizia si misura sulle lunghe distanze e lungo le fratture della vita, ma l’essersi scelte è un legame forte e flessibile, forse più del sangue che avremmo condiviso se fossimo state sorelle. La somiglianza fisica, infatti, non ci ha mai tradito. Fin dall’asilo, ricordi, come in quella foto di carnevale in cui tu facevi gran mostra dei tuoi occhioni verdi, dei capelli ramati e delle lentiggini che spargevi con la bacchetta da fatina azzurra, mentre io sorridevo sdentata*, “piccola e nera”, infagottata in quei quattro stracci rosa che nella mia mente prefiguravano le vesti delle regine degli zingari.

La tua dolcezza, la tua fermezza e la tua riservatezza sono cresciute accanto alla mia esuberanza e cialtroneria, e s’incontravano tutte le volte che, chiamandoci con quei nomiglioli che ci portiamo ancora addosso, ci chiedevamo (davanti ad una bottiglia di vodka) se davvero la normalità era l’eccezione e, soprattutto, se davvero eravamo le uniche due pivelle in paese che non trombavano.

Ma, puntualmente, al ritmo di gesti costanti, senza bisogno d’allerta e di tutte quelle parole che a me piace tanto sprecare, tu sei diventata adulta ed io, io ti ho seguita sempre con un battito in ritardo: il primo bacio, i primi viaggi, la prima volta, i primi esami, il primo lavoro, la prima casa, come a mostrarmi la strada e spronarmi a non aver timore a crescere.

Eppure quella più fragile, e non solo d’aspetto, sei sempre sembrata tu.

Questa volta, però, il tuo passo è oltremodo lungo per me. Non so quando, o se mai, ti raggiungerò in questa impresa: un figlio è una cosa troppo da grandi per me.

Giocherò ancora a fare la zia, dispensatrice di regali e battute cretine, e dal momento che la forza, l’amore, la sicurezza, la tenerezza non mancheranno al tuo ranocchietto, a me non resta che augurargli un pizzico di buona fortuna, che, tra l’altro, gli permetta di conoscere l’amicizia così come l’abbiamo imparata noi.

 

*colpa di quella belva di mio fratello che mi scaraventò contro la spalliera del lettone.

 
 
 

VIRUS (questo non è un post estivo, quindi, semmai, ripassa)

Post n°15 pubblicato il 02 Agosto 2009 da violet_space
Foto di violet_space

Non occorre concentrarsi, è sufficiente inspirare ed espirare, e lasciare che le dita scorrano, aspettare solo che l’automatismo si avvii.

D’accordo, ce la devi fare, e allora adagio, non farti fretta, prendi un lembo tra il pollice e l’indice e disegna una goccia. Ora con la mano sinistra afferra l’altro lembo e gira attorno al pollice, come per mettergli il guinzaglio, e…. No, no, no, e ancora no.

Lascia perdere: cambia scarpe, o non allacciarle, buttale dalla finestra o esci scalza, ma, ti scongiuro, non ricominciare con quei lacci.

Il dolore è un virus, basta respirare l’aria malata che gli aleggia accanto per rimanerne infetti, basta sfiorare la condensa, quella che crea la sofferenza a contatto con l’imbarazzo intorno, per rimanerne contagiati.  E a te questo virus ti blocca, non i pensieri, le azioni.

Gli anticorpi non servano a un cazzo. Averlo consumato, superato ed esservi sopravvissuta non ti rende indenne: anche quello degli altri ti entra nelle narici, e poi giù nelle vie respiratorie ed insieme all’ossigeno si spande nelle vene per prendere il possesso.

Come quella notte in cui non sapevi più in che via avevi parcheggiato l’auto e chissà per quante ore hai camminato a vuoto, come quando sei uscita da quel locale senza preoccuparti del conto e il titolare, inseguendoti, ti ha guardata come fossi uno zombie, quando fumare non era un piacere, ma solo un modo per riuscire ancora ad abbassare le mutande, come quando il tuo corpo è svenuto pur di non assistere all’afflizione.

Come quando sei scappata quando dovevi restare lì, ferma, più forte del dolore, e dirle solo di non aver paura. 

 

 
 
 

Questa è UNA risposta

Post n°14 pubblicato il 19 Luglio 2009 da violet_space

Temo che trentatrè anni siano troppi per risolvere un concetto tanto semplice.

Un uomo e una donna (oppure, è naturale, due persone dello stesso sesso che provano attrazione fisica per lo stesso genere) possono reclamare amicizia reciproca

(parlo di amici, non di ammiccanti conoscenti)

solo nel momento in cui si è svelato il motivo per cui i loro corpi non possono dormire esausti dopo essersi staccati, con straordinarie acrobazie, dal magnetismo che li attrae uno verso l’altro.

 

E si è andati innanzi.

 

 

 
 
 
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