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Post n°58 pubblicato il 05 Maggio 2011 da CHEgirl
 
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Referendum, adesso la Rai è obbligata a informare

di Claudia Fusani 

acqua

Con un mese di ritardo e al prezzo di uno scambio di difficile digestione, la Commissione di vigilanza sulla Rai ha approvato il regolamento sull’informazione pubblica per i referendum. Un atto dovuto, sia chiaro, previsto dalla Legge, e che finora la maggioranza ha rinviato facendo sistematicamente mancare in Commissione il numero legale. Per sette volte, a partire dal 4 aprile giorno in cui i quattro quesiti referendari su nucleare, acqua e legittimo impedimento sono stati ammessi dalla Consulta, Pdl, Lega e Responsabili non si sono presentati in blocco a San Macuto e il presidente Sergio Zavoli ha dovuto alzare ogni volta bandiera bianca. Da una settimana sotto San Macuto si sono dati appuntamento i Comitati referendari con tutte le sigle e i partiti che hanno promosso i referendum a partire da Idv e Arci. Il deputato radicale Marco Beltrandi ha occupato l’aula della Commissione e ne è uscito ieri solo dopo l’ok al Regolamento (non l’ha votato perchè «troppo restrittivo nella parte in cui decide gli aventi diritto alla tribune referendarie, mette l’obbligo di due parlamentari quando ne è sempre bastato uno»).

Il regolamento, undici articoli, obbliga il servizio pubblico a indire tribune referendarie, «con il dovere di prevederli anche nelle fasce orarie di massimo ascolto (18-22 e 30)»; a trasmettere i messaggi autogestiti, veri e proprio spot; trasmissioni di approfondimento dedicate al tema dei referendum e l’informazione nei telegiornali.


Il fatto è che la Rai avrebbe potuto organizzare una corretta informazione - sì e no il venti per cento degli italiani oggi sanno che il 12 e il 13 giugno ci sono le consultazioni referendarie - anche senza l’approvazione del Regolamento. Ma il governo ha messo la sordina totale sul tema, punta - e lo dice chiaramente - a non far avere il quorum ai quesiti. Per raggiungere questo obiettivo ha avviato da un paio di settimane «il gioco» di approvare leggi, o decreti - sul nucleare e oggi probabilmente sull’acqua - tali da rendere nulli i quesiti e far morire, in questo modo, anche il terzo che il premier teme di più in assoluto: quello sul legittimo impedimento. Non far approvare il Regolamento Rai, il silenzio tv, era solo una parte del piano.


La svolta, dopo le lettere di Zavoli e di Di Pietro, è arrivata martedì sera quando i presidenti di Camera e Senato hanno detto stop all’ostruzionismo della maggioranza. E il presidente Sergio Zavoli ha accettato di calendarizzare il famigerato «atto di pluralismo Butti» che impone spazi, domande e conduttori di destra nei talk show in ugual misura di quelli gestiti da giornalisti, secondo Berlusconi, di sinistra, cioè Floris, Santoro e Dandini.


«La Rai - spiega Antonello Falomi, consulente per i Comitati referendari - ha sottratto ai cittadini un mese di informazione sui referendum. Avrebbe potuto garantirla lo stesso, a prescindere dall’approvazione del Regolamento. Così come ha applicato, prima del voto di oggi, l’unica clausola negativa. Il Regolamento infatti prevede, una volta approvato, che l’informazione sui referendum resti nei confini previsti. Bene: il Primo maggio è stata fatto firmare agli artisti sul palco di San Giovanni l’impegno a non parlare di referendum».


Vincenzo Vita (Pd) ringrazia «il presidente Zavoli e i Comitati referendari: non era scontato il via libera di oggi al regolamento». E attacca la maggioranza «per aver preteso lo scambio tra un atto dovuto come il Regolamento con una proposta della maggioranza come l’atto di indirizzo Butti». Che per il radicale Marco Beltrandi è «quanto di più indigeribile sia stato visto in questi anni sotto il profilo della libertà d’informazione». L’atto Butti pretende che «nei talk show i partiti parlino a seconda della percentuale di voti ottenuta: è la cristallizzazione del consenso elettorale. È mostruoso». Ma ancora di più lo è che «Zavoli abbia assicurato il voto sull’atto Butti tra il 17 e il 19 maggio».
5 maggio 2011
 
 
 
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