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Vimala Thakar: Ritratto di una saggia contemporanea (parte III)

Post n°42 pubblicato il 03 Giugno 2008 da blazau_zen
 
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Mentre sorseggio il the al limone che ci ha servito, mi sento leggermente insicuro sulla modalità di intervistare questa donna piena di potere, ma la sua naturalezza e il suo calore disperdono velocemente i miei dubbi. Vimala è totalmente disponibile a ogni domanda, così mi faccio avanti.
«Vimalji», dico, «di questi tempi, molte persone sono interessate alla spiritualità; tuttavia, sembra che solo in pochi avvenga una radicale trasformazione della coscienza e della vita».
Vimala risponde immediatamente: «Mio caro amico, essi non dedicano la vita alla verità che hanno compreso. Desiderano i piaceri mondani, il riconoscimento del mondo. La spiritualità è uno dei desideri. Non è la priorità assoluta. Comincia a vivere immediatamente la verità che hai compreso! Intellettualmente, le persone possono aspirare all’emancipazione o all’illuminazione, ma emotivamente amano essere circondate da piccole schiavitù. Vanno avanti a tessere la rete delle schiavitù. Vogliono appartenere emozionalmente a qualcosa, come la famiglia o la religione. Nel nome della sicurezza, creano questi vincoli emozionali e un senso di appartenenza esclusiva, mentre intellettualmente aspirano all’assoluta libertà, all’illuminazione. Come possono le due cose stare insieme? Sono incompatibili, ma gli esseri umani che diventano sadhakas, ricercatori, vivono una doppia vita. Non sono disonesti; mi riferisco a una divisione interiore. Si accontentano di sapere che la liberazione esiste, di leggere qualcosa al riguardo e di immaginarla. Sono soddisfatti di questo perché la parola “liberazione” ha una sua tossicità, l’emozione connessa al significato di questa parola è intossicante. E loro vivono di questa intossicazione, senza avere realizzato nulla di concreto. Questa divisione interiore, quindi, causa quella penosa sensazione di trovarsi a mani vuote sul finire della vita. Hanno soltanto gli involucri delle parole, non la sostanza interiore della liberazione».

Le sue parole inequivocabili mi arrestano di colpo. Pronunciate da qualcuno in profonda intimità con la condizione attuale degli esseri umani, posseggono il sapore della verità,.
«Cosa può fare una persona se riconosce da sola questa condizione di divisione?». Chiedo, ansioso di scoprire quale soluzione abbia per questo argomento fondamentale.
«Bisogna educare se stessi. Prima si scopre la divisione dentro di sé, poi, per eliminare questa divisione, deve avvenire una purificazione grazie all’educazione, perché l’impurità è il solo squilibrio. Educare, sensibilizzare, raffinare e purificare gli aspetti biologici e psicologici del nostro essere… A quel punto, credo che la divisione interiore scompaia». Il suo consiglio è che i ricercatori dedichino un minimo di tre, preferibilmente quattro ore al giorno alla propria pratica spirituale.
Ci spostiamo sul tema degli attaccamenti e osservo che spesso le persone possono avere una comprensione della verità, ma rimanere ancora fortemente attaccate a certe cose. Vimala mi ferma nel mezzo del discorso.
«Se l’attaccamento non può essere dissolto dalla comprensione della verità, tale comprensione è solo verbale. Se l’hai ottenuta, come può esserci attaccamento?».
Insisto per chiarire il mio punto di vista: «Ti ho sentito dire che tutti gli attaccamenti cadono senza sforzo quando si comprende la verità, ma spesso accade che qualcuno abbia avuto una comprensione o una realizzazione autentiche della verità, senza per questo abbandonare immediatamente e completamente gli attaccamenti e i condizionamenti».
«Non importa», dice Vimala, mettendo in disparte la mia obiezione. «Anche dopo aver compreso la verità, alcuni possono rimanere attaccati alle falsità per amore del piacere o della sicurezza. La gente ha paura di vivere, ha paura di morire. L’aspirazione intellettuale alla verità c’è, ma esiste anche questa paura della vita e della morte. Ecco perché non ne consegue l’abbandono degli attaccamenti. In quel caso, la persona dovrebbe almeno essere cosciente della presenza di una dualità in lui o in lei; dovrebbe comprendere che la verità è presente a un livello, ma che esiste anche l’attaccamento. Se c’è un desiderio autentico di dissolvere ed eliminare l’attaccamento, se c’è questa coscienza, essa funzionerà come un pungolo. Lo terrà sveglio. Ci sarà l’attaccamento, egli agirà a partire dall’attaccamento, ma poi si sentirà dispiaciuto per questo. Ciò va avanti per un certo tempo; sarà qualcosa di graduale. Dipende dalla serietà».
Cito il fatto che vari insegnamenti spirituali sembrano considerare lo scopo ultimo della vita spirituale come un prendere dimora nell’Assoluto, trascurando il mondo del tempo e dello spazio, le relazioni con la gente. Una volta scoperta l’assenza di limiti, come si può continuare a vivere dentro questi ultimi, relazionandosi agli altri e al mondo?
Mi risponde con passione: «Anche dopo questa scoperta continui a essere nel corpo, non è vero? Devi nutrirlo e vestirlo, vivendo nel mondo. Così, dopo la scoperta, la comprensione, c’è la consapevolezza. In base a tale consapevolezza, vivi nel mondo limitato. Alcune persone parlano di fuggire dal mondo, di ritirarsi, ma anche dopo esserti ritirato, hai bisogno di un luogo in cui vivere».
Dopo la scoperta della verità… con quel profumo interiore della consapevolezza costante che la vita è una danza tra il manifesto e il non-manifesto, il limitato e l’illimitato, il misurabile e l’incommensurabile, ti relazioni con entrambi. Tramite la consapevolezza, sei in rapporto con l’assoluto; tramite il corpo, la mente e il pensiero, sei in rapporto con il relativo. Il relativo e l’assoluto non sono opposti, non c’è dicotomia.
Il mondo limitato e la verità assoluta insieme formano la totalità della vita. La vita è indivisibile, non puoi frammentarla né dividerla. Non c’è problema, quindi, a relazionarsi con il mondo limitato. La deformità, la violenza le vedi come sono e ci entri in relazione. Non devi cooperare con la violenza, ma scoraggiare l’odio, la possessività, il dominio. Devi incoraggiare la psicologia della condivisione, l’attitudine alla cooperazione, il valore dell’amicizia. Lo fai con la tua vita, lo fai vivendo».... (continua)


(dal Web)



 

 
 
 
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IMPARARE

“Sai cosa significa imparare?
Quando impari veramente, impari dalla vita; non c’è un insegnante particolare da cui imparare. Tutto ti è di insegnamento: una foglia morta, un uccello in volo, un profumo, una lacrima, il ricco e il povero, coloro che piangono, il sorriso di una donna, l’alterigia di un uomo. Impari da ogni cosa, quindi non hai bisogno di guide spirituali, di filosofi, di guru. La vita stessa ti è maestra, e tu sei in uno stato di costante apprendimento.”

Jiddu Krishnamurti


 
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“Una vecchia leggenda indù racconta che vi fu un tempo in cui tutti gli uomini erano Dei. Essi però abusarono talmente della loro divinità, che Brahma - signore degli dei - decise di privarli del potere divino e di nasconderlo in un posto dove fosse impossibile trovarlo. Il grande problema fu quello di trovare un nascondiglio. Quando gli dei minori furono riuniti a consiglio per risolvere questo dilemma, essi proposero la cosa seguente: "seppelliamo la divinità dell'uomo nella Terra". Brahma tuttavia rispose: "No, non basta. Perché l'uomo scaverà e la ritroverà". Gli dei, allora, replicarono: "In tal caso, gettiamo la divinità nel più profondo degli Oceani". E di nuovo Brahma rispose: "No, perché prima o poi l'uomo esplorerà le cavità di tutti gli Oceani, e sicuramente un giorno la ritroverà e la riporterà in superficie". Gli dei minori conclusero allora: "Non sappiamo dove nasconderla, perché non sembra esistere - sulla terra o in mare – luogo alcuno che l'uomo non possa una volta raggiungere". E fu così che Brahma disse: "Ecco ciò che faremo della divinità dell'uomo: la nasconderemo nel suo io più profondo e segreto, perché è il solo posto dove non gli verrà mai in mente di cercarla". A partire da quel tempo, conclude la leggenda, l'uomo ha compiuto il periplo della terra, ha esplorato, scalato montagne, scavato la terra e si è immerso nei mari alla ricerca di qualcosa che si trova dentro di lui.”

 

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MAESTRI DI SE STESSI

"Un guru è una persona che può svelarvi realmente la vera natura della vostra mente, offrendovi una cura perfetta per i vostri problemi psicologici. Ma chi non conosce la propria mente non potrà mai conoscere quella degli altri, e quindi non potrà curare i loro problemi correttamente. Costui non può assolutamente essere un guru. Dovete fare molta attenzione prima di prendere qualcuno come guru; vi sono molti impostori in giro. Spesso gli occidentali sono troppo fiduciosi. Se arriva qualcuno che afferma: ‘Io sono un lama, sono uno yoghi. Posso darvi la conoscenza’ i giovani occidentali, molto interessati, pensano: ‘Sono sicuro che costui mi può insegnare qualcosa. Lo seguirò.’ Questo può realmente procurarvi dei danni. Ho sentito di molte persone sfruttate da ciarlatani. Gli occidentali possono essere molto ingenui. Gli orientali sono invece molto più scettici in proposito. Dovete prendere le cose con calma, rilassati, verificando attentamente. E' importante conoscere la concezione occidentale dell’esistenzialismo, secondo cui dobbiamo comprendere bene che noi siamo quello che vogliamo essere. All’inizio abbiamo bisogno di un maestro, ma in seguito noi stessi possiamo diventare il nostro maestro. Dovete capire che io e tutti i maestri vi possiamo aiutare, però sono fermamente convinto che la vera risposta che ognuno di noi cerca deve provenire da noi stessi, dall’interno della nostra mente, non è certamente qualcosa che viene dall’esterno, da un maestro o da qualcosa di esteriore. Questo significa entrare realmente in contatto con la nostra Natura Interiore, e ascoltare ciò che questa vera e profonda natura ci comunica. Così otterremo veramente una reale risposta alle nostre domande e saremo soddisfatti. In effetti, lo scopo e il significato della Meditazione è proprio quello di diventare i Maestri di Noi Stessi. 

Lama Thubten Yesce

 
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