Creato da b.zucchermaglio il 17/08/2014
Rimandi e rimostranze di Bruno Zucchermaglio

Area personale

 

Tag

 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

Ultime visite al Blog

amorino11cavaliere_nero10enrico505call.me.Ishmaelnoninquestavitamax_6_66b.zucchermagliopaneghessasilvia1943Elemento.Scostantesybilla_clumil_0fugadallanimaparliamodgl53
 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

I BAMBINI SANNO… CHE IL CINEMA ITALIANO FORSE NON È MORTO. DEVE SOLO REINVENTARE SE STESSO

 

I BAMBINI SANNO… CHE IL CINEMA ITALIANO FORSE NON È MORTO. DEVE SOLO REINVENTARE SE STESSO

Se il cinema italiano è morto, o quasi, se fare un film in Italia è diventato un’utopia, una chimera, e l’idea che possa essere distribuito e visto davvero da qualcuno che non sia nostra zia, poi, rasenta la follia, allora non possiamo non riflettere di fronte a film come “I bambini sanno” e “Quando c’era Berlinguer”, entrambi di Walter Veltroni .

Se il cinema italiano, dunque, non riesce quasi più a produrre e distribuire film che siano sinonimo di sceneggiatura, di fiction (non quella di Raiuno, ovviamente, no!), di invenzione letteraria o, meglio, prettamente cinematografica, che confluisce nella narrazione standardizzata di una storia costruita con quegli schemi, meccanismi e sistemi produttivi utilizzati e noti ai film-maker da circa un secolo, allora il cinema italiano non può non accorgersi che una via alternativa può essere quella seguita da alcuni anni da Walter Veltroni che racconta non solo delle storie ma anche un’Italia che cambia con film che sono a metà strada fra documentario e fiction (anche se certamente maggiormente declinati sul primo fronte).

Si tratta di film – parliamo qui, nello specifico, di “Quando c’era Berlinguer” e di “I bambini sanno” – che a qualunque cineasta mettono la pulce nell’orecchio, per così dire, suscitano cioè la forte tentazione di andare oltre, di trasformare il tutto in una o più sceneggiature per raccontare queste storie con film di fiction (non quella di Raiuno, ovviamente,  repetita juvant!), dunque con screenplay fatti di protagonisti, attori secondari, comparse e quindi plot, diegesi, sequenze, inquadrature, battute, ecc.

Ma forse il cinema italiano per rinascere deve semplicemente reinventare se stesso e non sprecare queste “invenzioni” di Walter Veltroni, le quali, come tutti sappiamo, hanno precedenti nella storia del cinema in autori come Comencini, Pasolini, Visconti, tanto per citare i primi che vengono in mente, ma che forse mai come oggi appaiono innovative e come una sorta di “terza via” da percorrere da parte di un cinema e soprattutto da parte di cineasti che, altrimenti, rischiano di restare zavorrati a un’idea stereotipata e idealizzata di cinema oggi prevalentemente hollywoodiano. Se tutti sogniamo di fare grandi film, di riempire il Teatro 5 di Cinecittà o gli studios californiani con le nostre oniriche filmofanie che difficilmente troveranno produttori e distributori pronti a investire in esse, forse dovremmo non sottovalutare e soprattutto non snobbare film come quelli di Veltroni che non è detto che non costituiscano la strada da percorrere per veder rinascere un cinema italiano che non scimmiotti le pellicole dello star system.

Bruno Zucchermaglio

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

"Abolire il carcere" per progettare alternative serie di risarcimento e rieducazione sociale

Post n°9 pubblicato il 01 Febbraio 2016 da b.zucchermaglio
 
Foto di b.zucchermaglio

“Abolire il carcere” è un libro che dovrebbe essere eretto quale manifesto di un nuovo programma educativo della società, la quale dovrebbe convertire la propria idea di “pena” in “sanzione”, in riparazione del male causato, del torto subìto, e riservare la assurda pena della reclusione in un luogo prossimo alla tortura solamente per i casi davvero e concretamente più gravi e per i quali in nessun modo è possibile trovare una forma di risarcimento o di “contenimento” del reo.

Ma purtroppo, lo hanno detto in tanti, da un “teatrante” come Genet a un sociologo quale Foucault, la società ha bisogno del carcere per affermare se stessa, per sentirsi rassicurata, per determinare l’immagine positiva di sé per il tramite della esistenza – e relegazione – del suo negativo.

Sapere che c’è un luogo nel quale vengono catapultate – e rimosse – persone che noi non vorremmo essere, è un modo per definire noi stessi in quanto distanti da ciò che non siamo, soprattutto da ciò che temiamo di essere, senza però considerare che in quel luogo un giorno, per un errore, per una serie di disgraziate circostanze, o forse più semplicemente per una nostra responsabilità, potremmo finirci anche noi.

E se poi in quel carcere non ci finiamo – come fortunatamente accade alla maggior parte delle persone – con esso dobbiamo comunque e inevitabilmente fare i conti in quanto chi da quel carcere esce prima o poi incontrerà anche noi, e molto spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

E allora (a meno di non voler introdurre la pena di morte, e di introdurla per qualunque genere di reato) è conveniente per tutti, anche per le sedicenti persone “dabbene”, quelle che sono certe che mai avranno a che fare con questa realtà priva di senso e privata di ogni finalità rieducativa che invece avrebbe sulla carta, che chi davvero ha sbagliato e deve pagare il suo debito, con la persona offesa, se c’è, o con la società in genere, più in astratto, lo faccia in modo effettivamente utile nonché concreto, costruttivo, foriero di positività e di proiezione verso il futuro. Se messo nelle condizioni di comprendere il male che ha fatto, se reimmesso immediatamente nel consorzio sociale, con le eventuali, se necessarie, misure interdittive, se inserito in un meccanismo che sia risarcitorio in concreto ma anche in funzione futura, il reo si asterrà con ogni probabilità da commettere nuovi reati e la società non potrà che trarne enorme vantaggio e beneficio, anche perché si eviterà, fra l’altro, di avere ex detenuti pieni di astio e di rancore nei confronti di un sistema che non ha saputo far altro che bastonarli e relegarli oltre i margini della collettività e metterli nelle condizioni di non essere più utili.

“Abolire il carcere” è dunque un libro che andrebbe portato in giro per tutta l’Italia, andrebbe spiegato, nelle scuole, nelle università, nelle associazioni, bisognerebbe far comprendere che questa rivoluzione copernicana del sistema penale-sanzionatorio non implica affatto che le persone siano libere di delinquere e che non verrebbe meno in alcun caso quella che spesso si sente scioccamente invocare ovvero la “certezza della pena”.

Al contrario.

 

Ma è un lavoro duro, difficile, lungo, in quanto si tratta davvero di una rivoluzione che scardina completamente il baricentro delle nostre menti, quelle di tutti, sempre troppo inclini a sbattere dentro e “buttare via la chiave” senza in alcun modo domandarsi che cosa accade dopo. Dentro il carcere, ma anche fuori. Senza domandarsi che cosa accade fuori, una volta che riteniamo erroneamente di poter risolvere i problemi di una collettività ingabbiandoli in un cella chiusa a chiave e dimenticata.

Bruno Zucchermaglio 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Dentro un film

Foto di b.zucchermaglio

Dentro un film
Progetto di comprensione audiovisiva per l’approfondimento e l’ampliamento della seconda lingua (italiano) nelle classi quarte e quinte delle scuole primarie in lingua tedesca dell’Alto Adige

di Bruno Zucchermaglio

Abstract
Il progetto ha coinvolto le classi quarte e quinte della scuola primaria in lingua tedesca di Varna (Alto Adige) e del suo circondario con l’obiettivo principale di veicolare nuovo lessico e nuove forme sintattico-grammaticali (nonché di rinforzare quelle già apprese) della lingua italiana (lingua seconda) attraverso la fruizione guidata ed approfondita di un film a soggetto per ragazzi. L’idea era anche quella di promuovere la visione di un film come attività didattica non relegata nell’angolino di quelle attività solitamente considerate residuali. Dal punto di vista glottodidattico sembrava inoltre importante far leva su una attività che pareva avere tutte le caratteristiche per riabilitare anche la lingua parlata, troppo spesso soverchiata dalle attività di produzione scritta, che sovente appaiono di più semplice gestione.
________________________
Parole chiave: Media Education; Glottodidattica; Lingua due; Filtro affettivo; Glottodidattica
umanistico - affettiva; Alto Adige.

Abstract
This project was realized in the fourth and fifth forms of the primary school with German language in Varna (South Tyrol, Italy) where children study Italian as a second language. The principal purpose of the project was the acquisition of new vocabulary and grammar through a detailed study of a movie for kids. Also, the idea was to further the viewing of kids movies in ordinary lessons to study the Italian language with the support of a structured guide and to promote the screening of a movie at school.
From a linguistic point of view it seemed to be important to stimulate the use of the spoken language, too often replaced by written activities that seem to be more manageable in the classroom.
________________________
Keywords: Media Education; Language Teaching; Second Language; Affective Filter; Humanistic Language Teaching; South Tyrol.

Scarica QUI "Dentro un film" di Bruno Zucchermaglio

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Numero zero, Umberto Eco al confine della Prima Repubblica

Post n°7 pubblicato il 08 Marzo 2015 da b.zucchermaglio
 

Al confine temporalefra l’era della prima repubblica preberlusconiana (anche se il cavaliere simuoveva già da tempo, e non proprio nell’ombra, nei meandri del poterecostituito e non) e la cosiddetta nonché sedicente seconda repubblica di fattomai varata, in realtà, il nuovo libro di Umberto Eco lascia interdetti soprattuttoin quanto pare essere incompiuto e lasciare al lettore l’arduo compito diproseguire la trama – e le trame – nonché di trarre le dovute, o imposte,conclusioni.

“Numero zero”affascina e lascia perplessi al tempo stesso lasciando al lettore la vaga sensazionedi essere entrato  far parte di unromanzo che è un gioco di rimandi e riecheggi di quell’Italietta Anni Novantain cui, però, il peso del nostro Bel Paese nel panorama internazionale eracomunque maggiore di quello attuale e nel quale non erano ancora del tuttoscomparsi gli ectoplasmi di Mussolini e del fascismo, della Petacci e di unaesecuzione sommaria e mai del tutto spiegata né esplicata dalla storia, ovveroquella con la quale il duce è stato fatto fuori senza processo non si sa beneda chi, perché, per ordine di chi, contro chi e a vantaggio di chi, alimentandoora, e prima, fantasiose, ma non troppo, teorie sulla fuga del “vero” duce inArgentina (coperto da un Vaticano sempre meno ecclesiale e sempre più servizisegreti) mentre a gambe all’aria a piazzale Loreto veniva esposto il cadaveredi un sosia.

Fra tutti i complotti, i misteri mai svelati della Italia repubblicana,fra i golpe, improvvisamente annullati, le macrostorie e quelle micro einsignificanti dei suoi protagonisti goffi e ignari burattini di un disegno piùgrande loro di cui nessuno conosce in realtà la mano artefice, il libro di Ecoconvince e non convince, incuriosisce  dicerto e stimola a comprendere oltre, a non fermarsi, forse ad andare a ritrosoa metà di quegli anni Novanta che paiono così lontani e diversi, poco digitalie così ancora tanto televisivi,  e altempo stesso così uguali e uniformi con un oggi nuovo ma tutto sommata ancoracosì dannatamente uguale a se stesso.
Bruno Zucchermaglio

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La vita normale

Post n°6 pubblicato il 22 Agosto 2014 da b.zucchermaglio
 
Foto di b.zucchermaglio

La vita normale
romanzo
di Bruno Zucchermaglio 

Davide è un professore di italiano in una scuola tedesca in Alto Adige che diventa amico di un suo studente immergendosi così nella vita altoatesina di lingua tedesca, non senza sentirsi doppiamente intruso: egli è infatti troppo vecchio per quel ragazzo ed è, al tempo stesso, un "Walscher", un italiano. Il romanzo di Bruno Zucchermaglio esplora dunque un Alto Adige ancora sostanzialmente diviso fra italiani e tedeschi e in cui la figura di questo professore poco cresciuto appare dissonante, anche perché ritenuto omosessuale. La sua amicizia con il ragazzo, già piuttosto strana in quanto "interetnica", risulta pertanto ancora più “sospettosa” e scomoda. Descrivendo alcuni aspetti della vita provinciale di confine nonché diversi punti di scontro-confronto fra tedeschi e italiani, la storia dell’amicizia fra il professore e il suo studente – che non di rado sembra sul punto di debordare in una pericolosa e morbosa affezione – evolve in un finale per certi versi sorprendente.


 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
« Precedenti Successivi »
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963