Abbandonare Tara

Il sogno o la visione

Il sogno è fantasia della pigrizia e della lentezza. E' vagare, senza confini alla speranza, senza definizione, solo scampoli di idea, solo frammenti, senza nessuno sforzo per ricomporli in un puzzle.

La visione è determinazione, è adoperare tempo per cercare la forma da dare alla speranza. E' intelligenza di se stessi, dell'altro. Realismo, valutazione, occhi della mente, occhi del cuore.

Si sogna l'amore quando ancora non c'è; si ha la visione del futuro di quell'amore, proprio di quello, quello che è vita e non più solo sogno.

La visione è anche fantasia, è anche la lentezza del tempo della costruzione, è pensare col cuore; è raccogliere le briciole che memoria, ideali, coscienza, sapere seminano nella vaga nube del tempo senza tempo che ci avvolge.

Talvolta la visione ti coglie mentre stai facendo altro, anche un "altro" molto prosaico: è il pensiero acuto come uno spillo che ti inchioda mentri ti lavi i denti, mentre stiri, mentre sei in autobus. Talvolta ti sveglia, di notte, sotto forma di un sogno che sogno non è, ma pensiero.
E se è visione vera, inutile cercare affannosamente un foglietto di carta, per scriverla, per fermarla, per non dimenticarla.
Se è vera "visione" è lei che possiede te: non devi fermarla, è lei che si ferma, che ti trafigge, che ti invade.

Non per caso, infatti, gli antichi (e coloro che ancora di antico e di eterno hanno l'anima) attribuivano la visione agli dèi.

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Il dipinto si intitola "Sogni" ed è di Vittorio Corcos, pittore livornese (1853-1933).
Ma avrebbe dovuto chiamarsi "Visione".
La donna, Emma, è la moglie dell'artista. Una donna niente affatto normale, nella sua apparente normalità borghese di provincia. E' grazie a lei che il marito, dopo aver fatto fortuna a Parigi, un secondo Boldini, entra in contatto con il mondo intellettuale italiano. E' lei che spesso compare negli epistolari di Carducci, D'Annunzio, Pascoli. In particolare quest'ultimo crea con lei un forte legame, uno dei pochi della sua vita: la chiamerà sempre la "Gentile Ignota" e le dedicherà la sua raccolta più intensa di versi, I Canti di Castelvecchio.

Emma non sogna. Emma vede.
La visone l'ha colta all'improvviso. Abbandonati sulla panchina, i libri, il cappello, un fiore.

Il suo è uno sguardo consapevole, quasi ironico, determinato, volitivo.
Emma conosce il futuro, il buio e la luce che lo inondano, conosce e non teme. Ne è solo ipnotizzata. Il futuro pesa sulle sue palpebre, grava sulla sua mente.
E' lo sguardo più moderno e consapevole del Novecento che inizia.
E' lo sguardo di una donna nuova che ancora non sa di esserlo.