Creato da odio_via_col_vento il 03/11/2005

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Messaggi di Gennaio 2015

Il cielo cade - per la Giornata della Memoria

Post n°798 pubblicato il 26 Gennaio 2015 da odio_via_col_vento
 

 

Lorenza Mazzetti

 

In occasione della annuale Giornata della Memoria vorrei parlare questa volta di un evento certo minore dello sterminio degli ebrei, quello avvenuto in un luogo idilliaco delle colline intorno a Firenze, di cui danno conto un romanzo ed un film dallo stesso titolo: "Il cielo cade".

 

 

Il cielo cade è un bel racconto autobiografico di Lorenza Mazzetti, pittrice e regista cinematografica che narra le sue vicende di bambina, scampata ad un eccidio nazista, accanitosi contro la famiglia di suo zio, Robert Einstein, che  sua volta era cugino dello scienziato Albert Einstein.

 


Dal romanzo, edito da Sellerio (che oggi potete comprare a soli 1 euro e 99 centesimi, se avete un Kindle e siete iscritti alle promozioni Amazon), è stato tratto anche un bellissimo film, dallo stesso titolo, molto lirico, pur nel racconto del dramma, che ricorda un po' la poetica dei fratelli Taviani, con Isabella Rossellini.
Il cielo cade, il film 

 

 

Per nostra fortuna è visibile anche su YOUTUBE, intero. Ve lo consiglio, anche se naturalmente la qualità video è modesta e non rende giustizia alla bella fotografia dei luoghi. 


La storia ve la faccio raccontare direttamente la protagonista: 


Cosa succede quando il cielo ti crolla addosso?
"Non hai scampo. Neanche il Padreterno può puntellarlo. Viene giù. E ti schianta. Senza ammazzarti. E pensare che il cielo quasi mai è chiamato in causa come fonte dei tuoi guai".

Ma il cielo è solo una metafora.
"Per una bambina non faceva differenza. Posso solo dire che ho saldato i miei debiti con la vita, prima ancora di viverla".

Così in largo anticipo?
"Sono stata precoce nel dolore. Restammo orfane con mia sorella a quattro anni. Morì prima nostra madre. Il chirurgo ipotizzò che una delle due teste fosse un tumore. Invece era un parto gemellare. Con nostro padre vivevamo a Roma. Faceva l'assicuratore. Perì in un incidente. Restammo per un po' con il suo amico Ugo Giannattasio, un artista futurista. Poi, a sei anni, fummo accolte dallo zio: Robert Einstein, cugino di Albert".

Qual era la sua storia?
"Era fuggito dalla Germania. Trasferì in Italia la sua fabbrica di radio. Quando cedette l'azienda convertì il ricavato in una grande tenuta in Toscana, appartamenti e ville. Fece investimenti interessanti. Aveva una moglie e due figlie. A me e a Paola ci sembrò di rinascere. Ricordo l'esultanza per i prati, i contadini, le gite. La serenità che tornava. Non distante da noi, a Sesto Fiorentino, abitava Maja, la sorella di Albert Einstein. Maja riceveva artisti e scrittori. Aveva sposato il pittore Paul Winteler, la cui sorella, Anna, si unì allo scienziato Michele Besso, un fisico che avrebbe avuto un lungo carteggio con Albert Einstein".

Era una élite di personaggi internazionali.
"Che si mescolava con quella fiorentina e italiana. Ricordo Giacomo Balla che fece anche un bellissimo ritratto di Luce, una delle due figlie dello zio Robert. Poi, all'improvviso, il cielo venne giù".

Come accadde?
"Fu durante la ritirata dei tedeschi. Avevano occupato parte della villa dello zio.Si respirava un'aria stranamente gradevole. Ci sentivamo un'aristocrazia al riparo dalla tempesta. Gli ufficiali erano gentili. Le interminabili partite a scacchi. E la musica: Mozart e Beethoven. Poi, quando il comando cominciò a partire, qualcuno avvertì lo zio che i tedeschi lo avrebbero arrestato. Non voleva crederci né lasciarci. Ma alla fine decise di fuggire e di nascondersi nel bosco. La villa si era svuotata. Gli inglesi bombardavano a qualche chilometro. Ci rifugiammo nella grande cantina. Arrivarono due soldati tedeschi, chiedendo dello zio".

E voi?
"Dicemmo che era dovuto partire. Sorrisero. Promettendo di tornare. E tornarono il giorno dopo. Erano molti di più. Chiesero ancora dello zio, poi delle figlie e della moglie. Le trascinarono sull'aia. Dopo un po', mia sorella e io, sentimmo sparare. Ci affacciammo, piene di angoscia. Vedemmo i tre corpi riversi nella polvere. Costrinsero noi e i contadini ad andare via. Appiccarono
il fuoco alla villa".

E suo zio Robert?
"Apparve improvvisamente, allarmato dalle fiamme. Lo vedemmo correre mentre il camion dei tedeschi si allontanava. I contadini lo fermarono. Sembrava fuori di sé. Implorava che gli dessero una pistola. Piangeva. Voleva morire. Lo condussero in quel che restava della villa. Lo calmarono. Il medico prescrisse psicofarmaci. Fu con quelle pillole che si suicidò, lasciandoci una breve lettera".

Cosa diceva?
"Chiedeva di perdonarlo per essere stato un po' noioso e a volte burbero. Dovevamo ricordare lui, le due cugine, la zia e gli insegnamenti che ci diede. Ci designò eredi universali".

Perché i tedeschi lo volevano morto e perché si accanirono sui familiari più stretti?
"La storia non ci dà chiarimenti sull'animo umano. Fu trovato un foglio attaccato a un albero: "Abbiamo giustiziato i componenti della famiglia Einstein, rei di tradimento e giudei". L'eccidio fu anche la ritorsione contro il cugino Albert. Era l'agosto del 1944. Ci trovammo nuovamente sole".

 

dall'intervista di Antonio Gnoli a Lorenza Mazzetti, in:

http://www.repubblica.it/cultura/2014/01/26/news/lorenza_mazzetti_i_tedeschi_
mi_fecero_cadere_il_cielo_addosso_ho_vissuto_tante_vite_per_
guarire_dall_orrore-76969241/

Se poi avete voglia di vedere i veri volti dei protagonosti di questa vicenda, ecco una raccolta di fotografie di famiglia disponibile on line:
 Album della famiglia Mazzetti

 

 


 
 
 

Sdoppiarsi - strane dimore 4

Post n°797 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da odio_via_col_vento
 

 

Pablo Picasso, Maïa with a doll


Uno al prezzo di due (talvolta anche di tre).
Questa è la storia del frazionamento dei grandi appartamenti di una volta.
Dove c'era un'unica dimora ed un'unica famiglia, non necessariamente grande, c'era posto per tutto ed ognuno aveva un suo spazio indipendente o almeno una porzione di esso.

Cucina e poi tinello, per il rito dello stare insieme, chi cucinando e chi guardando cucinare; ma anche un luogo a parte per mangiare o per stare con ospiti molto di famiglia, sorseggiare un caffè, lasciare andare le chiacchiere, staccare un momento dalla routine.

Poi c'era una stanza da lavoro, per il guardaroba, lo stirare, il cucire: un sacrario di piccoli rocchetti di fili colorati, bottoni preziosi e scintillanti, cerniere lampo misteriose come coccodrilli addormentati, gomitoli e gomitoli di lana, a volte matasse da dipanare e trasformare i gomitoli (un orrore di passatempo per le serate di inverno).

Il salotto buono, misterioso, quasi sempre chiuso: ampie tende alle finestre, lampadari di cristallo, poltrone su cui sedersi in punta, per non sgonfiare la soffice rotondità dei cuscini, soprammobili da guardare con attenzione (guardare e non toccare), statuine di biscuit con le cui misteriose presenze costruire storie. Spesso vi riposava, compatto, l'acre odore delle sigarette (allora fumavano davvero tutti), inestricabilmente legato al mondo degli adulti.
Una stanza da contemplare da lontano, dalla soglia, nei giorni di pulizia, in cui la polvere spostata e allontanata dai piani di vetro si diperdeva illuminandosi nel pulviscolo sospeso.

Le camere erano tante, riservate a membri accoppiati della famiglia: non solo i genitori, ma anche fratelli separati dalle sorelle, qualche nonno fisso o di passaggio. Ricordo che un'amica aveva anche una stanza per una domestica: una presenza silenziosa che spiavo curiosa, che mi rimandava a favole di piccole fiammiferaie e principesse rapite in schiavitù.

E i bagni, enormi, dove le voci rimbombavano, una eco dalle vasche in porcellana o in ferro smaltato, con quei piedi di grifone; e la lavanderia a parte.

Poi c'erano ripostigli e armadi a muro e dipense; e terrazze e balconi; e soffitte e cantine.

C'erano: oggi non ci sono più.
Resta lo scheletro vuoto, il guscio, di quei magici appartamenti dai corridoi chilometrici.
Oggi non riusciresti più a trovarne uno.
Sono stati tutti sventrati, smembrati, frazionati. Da uno se ne fanno due, o tre, o quattro. Scatole di montaggio, appartamenti matrioska.
Sulle scale resta un unico portoncino, ma dentro si aprono, a ventaglio, le diverse entrate. Ognuna si schiude su un mondo diverso, nuovo, una prospettiva inimmaginata, rumori insoliti e ravvicinati, non più l'eco e i silenzi delle grandi stanze.

I proprietrari di quelle piccole noci devono dividersi anche la cassetta per la posta nell'atrio di ingresso che per amore della simmetria non si tocca. Nomi nuovi, cartellini attaccati con il nastro adesivo, ignoti che prendono in tre il posto di uno. 
Sembrerebbe un fiorire, invece è un appassire.
In questi appartamentini non si può vivere: a mala pena ci si può dormire.
I palazzi somigliano sempre di più a colombai notturni, le luci si accendono un attimo, a notte, ma non fai in tempo a conoscere nessuno, tutti nascosti e avvolti nel guscio della loro casa-lumaca. 

 

 
 
 

il Dandy - strane dimore 3

Post n°796 pubblicato il 20 Gennaio 2015 da odio_via_col_vento
 

 

 Andrea Petrone, 'O Jettatore

 

Il misterioso individuo che si è materializzato, da un certo punto in poi, all'ultimo piano, ha più o meno questo aspetto.....e tutta l'aria di svolgere lo stesso mestiere di Totò in una famosa interpretazione (che nasce dalla pièce pirandelliana La Patente): lo jettatore, cioè.

Indossa sempre occhiali scuri, anche in pieno inverno o di notte: una cosa che mi ricorda un po' un vampiro o un personaggio da film horror.
Ma gli occhiali hanno doppia struttura, doppie lenti: la parte da sole si solleva, tipo tendina, rimanendo attaccata sulla parte alta dell'occhiale a mo' di parabrezza.....talvolta infatti solleva la parte da sole, ma gli occhi, al di sotto delle altre lenti, non dicono granché. Per lo più lo fa per scrutarti meglio. Malevolmente.

Ha una calotta di capelli tintissimi di nero (orrido già in un individuo meno strano....non sopporto l'uomo tinto, bleah!), impomatati, tutti tirati indietro. 

Sono pressoché convinta che lui creda di essere un dandy di altri tempi, dotato di fascino e appeal. Ma secondo me questi "altri tempi" per lui non ci sono MAI stati.

 

Tamara de Lempycza, Thadeus

 

Inquieta ed è spesso inquietato anche lui.
Probabilmente questo accade quando, per errore, si guarda allo specchio e si fa paura da solo.

Lascia effluvi di puzzolentissimo e dozzinale dopobarba in ascensore.

Parlotta fra sé e, quando lo incontri, il parlottio diventa una reprimenda astiosa per qualcosa che hai certo il grave torto di aver fatto: tipo perché hai suonato invece di aprire con la chiave (ma mica ho suonato a  lui! ho suonato a casa mia!); ma quanti sacchetti della spesa ho, troppi (ma mica pago con i suoi soldi o mica li faccio portare a lui!); che oggi piove troppo (ma mica sono un governo ladro, io, o un colonnello dell'areonautica responsabile delle previsioni!); che cammino troppo lentamente (ma si faccia i fattacci suoi......).

E dire che prima al suo posto abitavano degli amabili signori grassottelli, proprietari di un bar e qualche volta ci scappava che ti portavano una pastina per i bimbi...

Se vedo arrivare da lontano il sedicende Dandy (probabile jettatore) cambio marciapiede o rimando di entrare a casa: questo è sicuro.
Non so cosa mi inquieta di più in lui: forse gli occhiali. 

Ma se anche li togliesse...beh..... credo che il risultato sarebbe più o meno questo:

 

 

 

 
 
 

la donna della lampada - strane dimore 2

Post n°795 pubblicato il 17 Gennaio 2015 da odio_via_col_vento
 

 

Godfried Schalcken, Woman with a candle

 


Fra le grandi assenze silenziose della mia Strana Dimora adesso devo contare anche questa: la Dama della Lamapada se n'è andata.
La chiamo così perché per me era sempre stata un simbolo di accoglienza. Da quella prima volta che arrivai in questo luogo e ci riconoscemmo, con sorpresa e affetto, dopo anni di lontananza. Ci eravamo incontrate in un luogo di lavoro, sfiorate e, probabilmente, ammirate a distanza. 
Per lo meno io certo la ammiravo: elegante, intelligente, curiosa ed aperta al mondo, al di fuori di ogni schema generazionale.
E così aveva continuato ad apparirmi (ad essere) anche nel suo privato.
Uno strano matrimonio, forse felice, ma fuori dalle righe.
La sigaretta sempre accesa. 
Pochi legami familiari.
Cumuli di giornali ovunque.
La voglia di parlare e informarsi del mondo fino agli ultimissimi giorni, quando aspettava di sentirci arrivare in ascensore per uscire sul pianerotto e parlare: politica, economia, il mondo, le sue evoluzioni e involuzioni. Mai niente di banale, mai un pettegolezzo.
E mai una richiesta di aiuto: solo tanta dignitosa e caparbia voglia di indipendenza ed autosufficienza.

E poi l'affetto, sparso a piene mani.
Le lezioni di latino ai miei figli, che non le chiedevano (gli irresponsabili): ma lei li irretiva con quella ruvida dolcezza, col sapersi mettere sul loro piano. Mai giudicante, sempre coinvolgente.
E le telefonate di emergenza da casa sua, che gli accoglieva, quando dimenticavano le chiavi a casa e rimanevano chiusi fuori, al rientra da scuola.
La complicità, le conversazioni.

Ecco: non una vicina cui chiederesti la carota in prestito, ma forse una tazza di caffè, sì.
Il piacere di comunicare con una generazione diversa, senza compiacimenti, senza sforzarsi di essere tolleranti, senza bisogno di tradurre e spiegare un mondo diverso a chi non ne fa parte.

Ci mancherà.
Buio la sera quando rientriamo tardi. I piccioni colonizzeranno anche il suo balcone.
Non ci sarà più la lampada accesa. 

 

 
 
 

strani abitanti di strane dimore

Post n°794 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da odio_via_col_vento
 

 

Umberto Boccioni, Tre donne

 

Ecco, avete presente quei film tipo "Non entrate in quella casa", "Amityville Horror", "Rosemary's Baby", ecc.?
Ebbene, col passare degli anni il palazzo in cui abito sta diventando qualcosa di simile: lo ribattezzerei "Oscure Presenze".

Forse, più che altro "Oscure Assenze".
E poi "Rimpiazzi Ignoti".

Quando siamo venuti ad abitare qua le cose erano un po' più definite.
Molte coppie di una certa età, alcune con figli in età quasi adulta; un'altra famiglia con figli piccoli. Ma il quadro era ben definito: nomi e cognomi sui campanelli e sulla cassette della posta, la vicina impicciona, quella che se avevi bisogno poteva ritirarti i pacchi e le raccomandate, il signore in pensione che si era auto-eletto sostituto-vice-amministratore-facente funzione-caposcale (e rompeva, oh, come rompeva....), i negozianti con le vetrine affacciate sulla strada che tenevano i conti di chi entrava e chi usciva, la ditta che puliva le scale - insomma: tutto normale.

Poi, lentamente, le cose hanno preso a cambiare; all'inizio senza che ce ne accorgessimo, una serie di eventi più o meno naturali concatenati.

Molte persone sparivano: ma dico proprio "sparivano". Letteralmente.
Secondo me dopo venivano addotti pretesti più o meno verosimili.
Morti senza funerali e senza che ci si accorgesse di un andirivieni di ambulanze, medici o parenti in lutto.
Traslochi senza camion e pacchi e scatoloni e spostamenti di mobilia.

Ma non solo i drammi, anche le evoluzioni naturali della vita sono qui misteriose. Figli che si sposano (forse) e non si rivedono più, nemmeno per sbaglio, nemmeno a Natale e Pasqua, nemmeno per lasciare i bambini dai nonni in sessioni di babysitteraggi gratuiti.

Ci si accorge che un appartamento non è più abitato dai piccioni che colonizzano le terrazze.
Poi appare uno sconosciuto che ripulisce tutto, che sembra fare qualche lavoro di ripristino, che talvolta incontri per le scale. Uno che si presenta, che si dichiara sposato e con prole, ma chissà dove, visto che non abitano certo qui, a meno di non essere fantasmi, incorporei, senza voce e senza rumori. 

Appaiono e scompaiono, si avvicendano, senza nome sulla cassetta della posta o sul campanello, parlano talvolta lingue sconosciute, non entrano in ascensore se già lo stai aspettando, si soffermano lungo le scale se sentono aprire la porta: per non incontrare nessuno, non scambiare parole e sguardi, non rischiare domande?

Altri invece cominciano un discorso, portano dei dolci o delle pizze, presentano un nipotino, abbozzano il racconto di una vita: ed altettanto velocemente, a piccoli pezzi, scompaiono.

E non c'è più nessuno a cui chiedere.
L'unica vicina di sempre sta preciptando nell'abisso della vecchiaia e non sa niente; anzi, si spaventa a certe domande. Si chiede se è lei che sta perdendo la memoria o se sono fantasmi, quelli che vanno e vengono dal palazzo.

Fantasmi di una vita moderna, in cui si è perso anche quella quotidiana e banale relazione del vicinato?
Oppure sono proprio vite evanescenti, parallele, di un'altra dimensione?

Persiste solo uno strano figuro, vestito sempre in giacca e cravatta, ma dai colori improbabili, i capelli tinti color lucido da scarpe, occhiali scuri anche di notte. Che se ti incontra per le scale inveisce: solo lui sa perché.
Come mai i peggiori non se ne vanno mai?

 
 
 

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