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Post n°537 pubblicato il 24 Luglio 2011 da hanteras_varsamt
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hanteras_varsamt
hanteras_varsamt il 01/06/12 alle 22:26 via WEB
Dovrei lavarmi tutti i giorni, non sono più un bambino. Inizia pure a fare caldo. In ufficio sono vicino ad una donna: si dice che le donne hanno il naso più fine del nostro. Finora non ha ancora detto niente; una volta ha aperto l’armadio per spruzzare un po’ troppo di quel deodorante pe ambienti che poi s’è propagato per tutto il corridoio fino agli uffici adiacenti. Ma quella volta ne avevo mollata una. Era scesa per il caffè con il solito collega: a me era passato il tempo perché ero stato preso a leggere qualcosa in rete; l’avevo mollata proprio un attimo prima che rientrasse. Poiché Graziella non si perde occasione per scambiare una battuta con chiunque - con tutto che poi insiste a dire che è timida - anche quella volta, dopo averla mollata, la sentii ridere con qualcuno in fondo al corridoio: proprio al di qua della porta verde antincendio, inutile e pesante come un carrarmato. Sembra i maschi debbano fare a gara per intrattenere quelle donne che giudicano belle, quelle magre e secche tipo Graziella che avresti detto in gioventù sarebbero potute essere anche top model. Uscii dall’ufficio proprio mentre lei vi entrava; giusto dopo aver chiuso quella boccaccia di denti ricoperti dalla ceramica, specialmente i molari in fondo, quelli che vedo io quando mi giro e la vedo ridere sguaiatamente con tutta la fornace aperta. Scappai verso il bagno velocemente anche per creare dietro di me un risucchio vortice che aspirasse più odore possibile; ma niente da fare: dietro di lei entrarono due capi che la puntano sempre, uno alto alto perfino più di me, così quando rientrai anch’io il mio naso restò trafitto da quell’odore di deodoranti per cesso che spruzzano nelle trattorie di bassa lega: non fosse perché i peti escono sempre dal culo di qualcuno, sarebbero da preferire a qualunque deodorante per ambienti che non sai quello che c’è dentro. Siamo seduti vicini, a volte parliamo. Rare volte. Ancora più raramente si scherza. Vado usando il suo metro: fosse per me nemmeno ci parlerei. Parlare con lei mi pesa. Mi pesa sempre. Siamo così diversi: io così io e lei così lei. Venerdì aveva le gonne, me le sventolava davanti. Era venuta con le scarpe alte, il tacco dieci eccetera: erano tipo quei sandaletti aperti e metteva le dita in mostra; ma verso sera si erano messi a farle male, e allora aveva indossato delle birkenstock infradito; aveva messo via quei sandali alti color crema che la slanciano senza farla mai decollare abbastanza. Siamo poi usciti da lavoro assieme, così quella specie di segretaria tracagnotta dagli occhiali spessi che tirammo su in ascensore le chiese se si era portata apposta le birkenstock da casa quel giorno o se le teneva in ufficio per quei giorni. Grandi sorrisi, risate a denti scoperti. Mi sventolava le gonne perché ad un tratto si era messa a confezionare tre palle di carta per fare la giocoliera. Io lì a dirle che forse, prima di provare con tre, sarebbe stato il caso di provare con due. Prendere la manualità con due e poi provare con la terza. Ma le palle di carta sono comunque troppo leggere per quel genere di giochi. Graziella ha queste gambe color pollo spennato con tutti quei pennotti che restano sollevati come crateri quando metti la bestia sul fuoco per far fuori i pezzi di piuma che non sei riuscito a levare a mano. In faccia ha tutte quelle dolci rughette che a me piacciono tanto, ma poi ha anche tutte quelle efelidi sulle spalle che mi repellono assai più dell’idea di prenderla sul tavolino del bar tondo, alto, quello con una gamba sola che ti appoggi con i gomiti. Ha uno schifoso piccolo neo proprio sul centro della coscia; d’un tratto ho immaginato che avrei fatto quando lo avessi dovuto vedere troppo spesso durante un coito alla missionaria. Il figlio di troia traspare dai collant. A volte Graziella viene coi collant e la minigonna. Ha le gambe leggermente a x, che nelle donne magre le gambe a x mi fanno schifo. Con tutto che poi indossa gli anfibi, e io vorrei sapere dove accidenti s’è visto mai una donna in minigonna e anfibi. Non mi sembra sexy insomma. Non mi sembra niente di niente. Anche perché poi c’è quel neo sula coscia che manda a puttane il resto. Vai a capire perché me la sono sognata spesso. Mi cuciva i bottoni della giacca. Con tutto che poi parlava anche nel sogno. Amabilmente. Quell’altra volta stavamo andando al mercato, eravamo a braccetto e anche lì parlava sempre. Cosa mi dicesse non lo so davvero. Forse nemmeno l’ascoltavo. Infatti, come nella realtà. Non mi piacciono le donne che quando ridono mostrano le recessioni delle gengive e le vecchie capsule. Vuol dire che Graziella sta allo specchio ore, tipo a mezzogiorno quando va a rifarsi il trucco prima di mangiare, ma poi non si sorride né ride mai da sola. Starà tutto il tempo a dare la curva esatta al ciuffo, o a mettere bene il rossetto su quella bocca grinza. Forse starebbe bene con l’eyeliner: secondo me. Mi piacciono le donne con l’eyeliner. Ma io non glielo dirò mai. Mi sono messo a scrivere tutto nudo dopo essere uscito dalla vasca. Un anno fa avevo comprato il portatile perché avevo scoperto che ero uno scrittore; dopo averlo comprato però ho scoperto che non era vero niente. E allora adesso lo uso per stare a fare il solitario a letto o per tenerci dentro i vecchi scritti. Appena immerso nella vasca, tutto intorno ai peli del pube c’erano tante bollicine d’aria attaccate come piccole ghiande o palline o lampadine spente. Davvero piccole, come una rugiada d’aria: passandoci sopra con un dito si sono staccate, sono venute in massa in superficie come quando versi lo spumante. La pancia mi sta fuori dall’acqua come un isolotto spennato. L’ombelico è un cratere morbido che erutta glomeruli di lana scura. Non ci sono onde. A volte, tra le ginocchia alzate come vette perché la vasca è corta, odo languide erezioni che finiscono lì dove sono cominciate. 01 giugno 2012 2012: abbiamo iniziato a scrivere nel ’92. Vent’anni fa, poco prima di Pasqua. Amore mio. Quanta strada abbiamo fatto, quante cose visto. Quanti dolori patito. Perché, nel bene e nel male, noi abbiamo patito. A torto o a ragione, per caso o apposta: per certo noi abbiamo sofferto davvero. Non come coloro che non sono stati amati. Non come coloro che sono morti sulla strada. Noi abbiamo sofferto per esserci fatti quando non dovevamo affatto diventare. Quando di nostro piglio, o per vile caso, noi ci siamo fatti carne. Contro il desiderio dei padri; contro la primissima, profonda disposizione delle madri; noi ci siamo fatti carne. Abbiamo poppato, abbiamo anelato all’aria. E allora chi fu, una volta caduti sulla terra, a non volerci affatto? Che fu a mostrarci in denti in segno di minaccia? Bando alle cazzate. Noi siamo arrabbiati. Forse una volta eravamo tristi. Forse una volta ci saremmo presto arresi. Presto oppure tardi. Comunque sempre arresi. Forse una volta avremmo pianto. E infatti piangemmo, e tra muco e lacrime di dolore quasi avremmo aspirato alla morte nostra. Ma poi il tempo passò, e scavare abbiam scavato. Il tempo non è corso invano. Solo ci ritroviamo con vent’anni in più: addosso; e dentro: una paura antica. Il vecchio dolore, il vecchio patire. Il vecchio sentire. Quello che ho letto ieri. La personalità schizoide e il resto. Io voglio sapere. Quella volta al Santa Rita. Io quella volta volli sapere. Quella volta volli sapere cos’era quel sangue. Quel sangue dal pene. Quella piscia rossa. Quella vita ingiallita. E allora ecco che un giorno il dottore si scompose: disse può essere cancro, può essere allergia, può essere malattia renale. Quanto vorrei uscire da una porta e camminare leggero nei campi. E ancora temo che quella porta sia la mia sola testa. Abbracciamo la tesi della personalità schizoide? Voglio sapere. Siamo nella fase di cura? O nella fase di diagnosi? Voglio sapere come si chiama il gomitolo. Voglio il nome. Siete in grado di farlo? Voglio sapere se è vero, che la mia situazione è la più difficile. Se il mio destino è il più duro. Perché non posso sapere? Che cosa sarà mai? Se anche non arriverò mai alla salute, almeno io so che ho Dio dalla mia. E suo figlio: o anche per loro io sono un rifiuto? Apriamo le porte al dolore. Apriamo le porte a Cristo. Lasciamo dilagare la lava, lasciamo sgorgare. Accogliamo. E che sarà mai? Marco Aurelio è anch’egli con me. Tanti, sono con me. Io stesso!, ora sono con me. Non mi abbandono più. Voglio stare bene. Voglio combattere. Voglio sapere. Fosse anche per un giorno soltanto. Che il Signore sia con me. Martedì vedo Omodeo. Voglio sapere senza dubbio quello che ho. Voglio sapere se la personalità schizoide può coesistere con la distimia o la depressione. Chi causa che cosa. Se la depressione è una risultante della personalità schizoide oi viceversa. Se sono indipendenti. O cos’altro. Io voglio sapere. Io voglio combattere. Voglio sapere se non è personalità schizoide per via del fatto che con lui io parlo. Già che da qualche parte ho letto quella cosa che se uno parla, allora non è personalità schizoide. E non è comunque un tumore. A suo modo può e sa essere peggio. Devo comprare quei libri. Io devo sapere. You’ll never be, my son, a Fatherless Child. Vieni Robertino. Parlami. Raccontami. Sdraiati su questo petto che a tratti ti contiene, che una volta fosti tu, sopra cui un giorno mettesti canottiere di mille misure più piccole. Vieni Robertino, passami la tua faccia liscia su questa ispida scure di barba. Passami la tua pelle rosa di pesca tra queste rughe che non si formano sulla prima faccia che ho trovato di un clown indisposto. Vieni Robertino, ti porto ad annusare i treni. Ti porto a osservare da vicino queste locomotive sbuffanti, queste ruote rosse bordate di bianco elegante che tra poco partiranno per la campagna per giungere a Roma dove tu nascesti. Parlami della via Dandini e della Piramide Cestia. Ricordi forse qualcosa? Ricordi le camminate a piccoli passi a fianco di mamma? Non importa Robertino, inventa quello che vuoi. E comunque, oggi, io e te possiamo immaginare. Come stando qua, vicini e uno, noi possiamo salire nel cielo e abbracciare e farci baciare dalle stelle. Sono anche nostre, sai?, pure noi possiamo guardarle, Robertino. Mi sdraio su questo lettino: tu sdraiati pure sopra di me, dentro di me. Con le mie braccia ti tengo le mani: me le tengo dentro, non mi fanno caldo. Volano sulla tastiera e sgranano note come rosari. Un giorno urleremo elettrici chitarra alla luna. Hai voluto farti carne, Robertino. Hai voluto sfaldare i destini di due cani cristiani. Il diritto di esistere. Il diritto di essere. Il diritto di diventare grande e poi forse vecchio. Il diritto di amare. Il diritto di sbagliare. Il diritto di essere amato per la carne dietro cui ti nascondesti. Le piccole unghie, le labbra leggere, la nuca profumata e il capello sottile. Il collo soffice, il gomito rotondo, il ginocchio preciso, il piede sottile. Il pube glabro. La pancia tesa. Le scapole sporgenti, la colonna ordinata. Il rene sano, la tiroide scrupolosa, la mente arruffata da sempre. La difesa dell’io sempre armata. Ti amo io Robertino, se non lo farà mai nessuno. Ti prendo io. You’ll never be, my son, a Fatherless Child. Giocherò io a dama con te: se non sorriderai, se sarai serio, io non ti allontanerò per giocare con quell’altro bambino più sveglio. Non ti offenderò. Io anzi giocherò solo con te. Giocherò con te fino a che t’avrò insegnato a sorridere con gli occhi e col cuore, contemporaneamente. Giocherò con te fino al buio del vespro obbligatorio. Sarò curioso di sapere e non ti abbandonerò. Non ti giudicherò e non ti addomesticherò. Ti lascerò gridare. Gridare e piangere fino a che le lacrime non saranno che impagabili perle. Saranno più preziose dei damanti che avranno tratto a fatica dolore e sudore. Aspetterò che sgorghi spontaneamente sangue, dal tuo naso. Aspetterò fino a credere sia il segno del miracolo. Il segno dell’Amore di Cristo. Ti sorreggerò quando starai pedalando sulla tua bici, veglierò sul traffico della folle strada. Ti sosterrò, ti amerò. Ti amerò e t’amo, Roberto, come la prima e l’ultima di tutte le mie cose. Non avessi altro he te, non avessi altro che me. Non fossi che eterno. Non fossi che un uomo, e un bambino a tempo.
 
 
hanteras_varsamt
hanteras_varsamt il 01/06/12 alle 22:30 via WEB
http://www.mediazionefamiliaremilano.it/psicologia/bioenergetica_schizoide.shtml
 
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