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Libri, articoli e altro di Andrea e Daniela

 

I LIBRI DI ANDREA

- 35 borghi imperdibili a due passi da Milano (2019)

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- 35 borghi montani imperdibili della Lombardia (2019)

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- Il patrimonio immateriale dell'Unesco (2019)

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- L'arte della botanica nei secoli (2018)

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- 35 borghi imperdibili della Lombardia (2018)

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- I grandi delitti italiani risolti o irrisolti (2013, nuova edizione aggiornata)

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- Bande criminali (2009, esaurito)

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- La sanguinosa storia dei serial killer (2003, esaurito)

 

I NOSTRI LIBRI

- Itinerari imperdibili - Laghi della Lombardia (2018)

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- Caro amico ti ho ucciso (2016)

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- Milano criminale (2015, II edizione)

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- I 100 delitti di Milano (2014)

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- I personaggi più malvagi della storia di Milano (2013)

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- Milano giallo e nera (2013)

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- Gli attentati e le stragi che hanno sconvolto l'Italia (2013)

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- Le famiglie più malvagie della storia (2011, II edizione)

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- 101 personaggi che hanno fatto grande Milano (2010)

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- Il grande libro dei misteri di Milano risolti e irrisolti (2006, III edizione)

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- Milano criminale (2005,  esaurito)

 

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I LIBRI DI DANIELA

- Josephine Baker Tra palcoscenico e spionaggio (2017)

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- La vita che non c'è ancora (2015)

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- Le grandi donne di Milano (2007, II edizione)

  

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- L'eterno ritorno, un pensiero tra "visione ed enigma" (2005)

 

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DESERTO ITALIA

Post n°1346 pubblicato il 25 Agosto 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

A secco non sono solo fiumi e campi, a causa della siccità: è l’intero Paese, prosciugato nei risparmi, negli investimenti, nei consumi. E nelle speranze

di Andrea Accorsi

Fiumi ai minimi. Campi arsi dal sole. Produzione a picco, con inevitabili ricadute sui prezzi. Non passa ormai giorno senza che Coldiretti e altre associazioni di produttori non traccino il bilancio della siccità che sta colpendo il Paese, accompagnata dalle ondate di calore estive che hanno preso via via i nomi di Scipione, Caronte, Minosse e compagnia bella.
Le temperature africane degli ultimi giorni nelle campagne come in città sembrano accompagnare idealmente sul piano climatico la deriva in cui è sprofondato il Paese sotto il piano economico, sociale e morale. Un Paese dove campi e orti fanno a gara con le tasche dei cittadini a chi si ritrova più a secco.
Alberghi, negozi ed esercizi pubblici vari (quelli ancora aperti, visto che stanno chiudendo a migliaia e non per il solo periodo delle ferie, ma per fallimento) registrano un crollo di clienti e consumi mai visto. Secondo Confcommercio, un calo di vendite così non lo si vedeva dal dopoguerra. È il segno tangibile della devastazione finanziaria in cui si trovano milioni di famiglie. Con posti di lavoro sempre più rari e insicuri, sberle fiscali una via l’altra, inflazione alle stelle. E nessuna prospettiva incoraggiante all’orizzonte.
A secco non sono ridotti solo il Po, i suoi affluenti e molti dei canali che ne derivano per irrigare le coltivazioni. In secca sono i conti in banca, assediati da mutui, rate, bollette e scadenze. Sono i salvadanai casalinghi, spremuti fino all’ultimo centesimo. Sono i serbatoi delle auto, che non vedono più un “pieno” da mesi, considerato che per farlo dalla riserva, con la benzina a 2 euro al litro, servono ormai cento euro a botta.
Ma a secco sono anche le offerte di lavoro, il mercato immobiliare e il settore dell’edilizia che va di pari passo, gli investimenti come il Pil, le speranze di una ripresa (con buona pace delle sparate dei nostri ministri) come la fiducia di mercati imprese investitori utenti consumatori lavoratori giovani pensionati, nessuno escluso. Tutti stremati e striminziti, identici alle esili piantine che vediamo levarsi dalle zolle prosciugate e crepate e purtuttavia ostinate a resistere. Tutti in “rosso”, bilanci del Paese e conti della serva. Come la pazienza di tanti. Se l’estate è stata calda, l’autunno non sarà da meno.

dalla Padania del 25.8.12

 
 
 

BASSANO DEL GRAPPA, BUTTATI 12 MILIONI

Post n°1345 pubblicato il 24 Agosto 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Oggi in Cdm il via alla soppressione di 31 Tribunali e Procure. il commissario della Provincia di Vicenza, Schneck: «Dal Governo solo danni al territorio»

di Andrea Accorsi

Tornerà oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri il decreto legislativo sulla revisione della geografia giudiziaria. Dopo l’approvazione del 10 agosto, il Governo darà il via libera alla relazione di accompagnamento: la scansione dei tempi di attuazione, previsti in dodici mesi a partire dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, e le tabelle con gli elenchi dei comuni che rientrano nella giurisdizione dei Tribunali rimasti. Partirà così quella riforma che il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha definito «epocale» e destinata a ridisegnare l’assetto delle circoscrizioni giudiziarie, vecchio di oltre un secolo: 31 i tribunali tagliati (erano 37 nella prima stesura, poi sono state ripescate sei sedi in aree «ad alta densità criminale», come se questa fosse circoscritta a zone ben delimitate), 31 le Procure (erano 38), via tutte le 220 sedi distaccate e 667 uffici dei giudici di pace, mantenendo, rispetto alla previsione iniziale, un giudice di prossimità in sette isole.
Fra le vittime dei tagli disposti dal ministro c’è il Tribunale di Bassano del Grappa, nel Vicentino, per il quale a giorni si sarebbe dovuta inaugurare la nuova sede a Borgo Berga (nella foto), costata la bellezza di 12 milioni di euro. Un destino analogo a quello del nuovo Tribunale del Tigullio a Chiavari (Genova), quasi terminato e costato altri 14 milioni. Sprechi belli e buoni, alla faccia dei risparmi cercati dall’Esecutivo attraverso la spending review.
Contro la soppressione della Cittadella della Giustizia di Bassano, sul Corriere della Sera di ieri si sono espressi il Comitato per la salvaguardia del Tribunale e della Procura di Bassano (del quale fa parte fra gli altri il locale Ordine degli avvocati) e il Coordinamento delle categorie economiche del territorio, che hanno acquistato una intera pagina del quotidiano. Con la soppressione del Tribunale e della Procura di Bassano, osservano, “vengono ignorati i pareri favorevoli delle commissioni Giustizia di Camera e Senato, calpestata la volontà popolare espressa dalla raccolta di firme dei cittadini del circondario, tradita la volontà del Parlamento espressa nelle legge delega, condannato alla chiusura l’efficiente Tribunale di Bassano del Grappa, sperperati 12 milioni di euro, aggravati i costi per il cittadini”.
«Togliere servizi come questo, che è centrale per il territorio, creerà grossi problemi e lacerazioni - lamenta Attilio Schneck, commissario straordinario della Provincia di Vicenza -. Il Tribunale e la Procura di Bassano coprivano buona parte di una provincia che conta 870 mila abitanti. Ora anche l’Altopiano di Asiago vedrà tutto spostato a Vicenza. Possibile che ogni volta che otteniamo un servizio dallo Stato non abbiamo il diritto di mantenerlo?».
Il danno è molteplice. A cominciare da quei 12 milioni per la nuova sede finiti in un bidone. «Quella struttura - rileva Schneck - è stata studiata, realizzata, ultimata per essere un tribunale. Non è progettata per altre funzioni. Qualsiasi altro utilizzo diventa un ripiego». E poi c’è il danno alla giustizia: si calcola che dopo l’accorpamento con Vicenza, ogni giudice dovrà gestire qualcosa come 1.260 fascicoli. «Bassano è uno dei Tribunali più efficienti, ha i tempi più brevi per arrivare a sentenza nelle cause. Perdere un servizio come questo significa sacrificare parte della nostra realtà. E per il nostro territorio, con tutti i problemi economici che sta vivendo e pagando, diventa un ulteriore depauperamento».
Infine, c’è il danno alla giustizia. «È chiaro - sottolinea Schneck - che con il Tribunale e con la Procura di Bassano viene meno un presidio sul territorio, laddove i reati purtroppo, vista la crisi economica, sono in aumento. È un serio problema, che riaffronteremo a settembre. Occorre alzare il livello di guardia, così invece viene abbassato».
Sui possibili rimedi Schneck, eletto presidente della Provincia nel 2007, non ha dubbi. «Lo Stato non è più in grado di darci servizi. Allora metta tutte le Regioni a statuto speciale e lasci che siano loro ad amministrare il territorio. Sui servizi locali la Provincia continuerà a dare battaglia all’Upi e per altre vie, ma quello che viviamo è anche un momento particolare, nel quale certe battaglie assumono grande importanza».

dalla Padania del 24.8.12

 
 
 

FISCO DIMEZZATO PER GLI IMMIGRATI

Post n°1344 pubblicato il 23 Agosto 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Gli stranieri dichiarano quasi il 40% in meno degli italiani. Metà di loro guadagna meno di 10mila euro all’anno. Albanesi i più “ricchi”, cinesi e filippini... non pervenuti

di Andrea Accorsi

Gli stranieri dichiarano al fisco quasi il 40 per cento in meno di quanto dichiarato dagli italiani. Un immigrato su due dichiara una cifra inferiore ai 10 mila euro annui. Gli stranieri sono l’8,2% di tutti i contribuenti, ma dichiarano il 5,3% dei redditi nazionali. Una sproporzione che lascia intravedere una massiccia evasione fiscale. Sulla quale però Governo, Gdf, Agenzia delle Entrate e gli altri vampiri di Stato chiudono gli occhi. Anzi, danno pure una mano, visto che lo scorso febbraio i “tecnici” hanno cancellato perfino la (modesta) imposta dello 0,2% sui trasferimenti all’estero delle risorse degli immigrati: si tratta delle cosiddette rimesse, un tesoro di alcuni miliardi di euro (più di 6 nel 2010) che equivale a mezzo punto percentuale del Pil. Un altro fiume di denaro che sfugge al fisco con la complicità di Monti & C., cui si deve la cancellazione dell’imposta introdotta dall’ultimo Governo Berlusconi con una norma a firma Maroni-Tremonti.
In media, i redditi dichiarati dagli stranieri ammontano a 12.481 euro, 7.367 in meno rispetto a quelli dichiarati dagli italiani. Ma non è l’unico dato a fare aggrottare le ciglia fra i tanti contenuti nell’indagine realizzata dalla Fondazione Leone Moressa, che ha analizzato le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche in base al Paese di nascita per il 2010 fornite dal ministero delle Finanze.
Il Paese da cui proviene il maggior numero di contribuenti stranieri risulta la Romania: qui è nato il 18,1% di tutti i contribuenti stranieri residenti in Italia, seguiti da quelli provenienti da Albania e Marocco. Mentre i rumeni dichiarano mediamente 9.100 euro, per gli albanesi la cifra sale fino a 11.900 euro e per i marocchini a 10.720.
Spicca, in questa graduatoria, l’assenza degli asiatici. Eppure, secondo gli ultimi dati sulle rimesse degli stranieri resi noti dalla stessa Fondazione, ogni cinese residente in Italia invia in patria poco più di 9 mila euro all’anno, il valore più elevato fra tutte le nazionalità presenti nel nostro Paese. Curiosamente, si tratta della stessa cifra dichiarata nei “740” et similia dai rumeni. In pratica, ogni cinese residente in Italia mantiene quasi tre compatrioti in Asia: in tutto, le rimesse cinesi in uscita dal Belpaese mantengono più di mezzo milione di abitanti della Cina.
Eppure, come accennato, i cinesi non compaiono fra le prime nazionalità quanto a redditi dichiarati al fisco. Lo stesso vale per i filippini, che pure risultano al terzo posto per volume di rimesse (712 milioni di euro nel 2010). Il sospetto di una colossale evasione che avviene sotto gli occhi delle nostre autorità prende sempre più corpo.
Altro dato lampante, le solite differenze regionali da Nord a Sud della Penisola. La presenza dei contribuenti nati all’estero è più alta al Nord, più contenuta nel Mezzogiorno. Quasi il 20% dei dichiaranti stranieri si concentra in Lombardia seguito, distaccato di diversi punti percentuali, da Veneto (11,1%), Emilia-Romagna (10,8%) e Lazio (10,5%).
Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte sono le regioni in cui gli stranieri dichiarano i redditi più elevati. A guadagnare di più sono i contribuenti stranieri che vivono in Lombardia, con quasi 15 mila euro di reddito. Ma al Nord si evidenziano anche le maggiori differenze retributive con gli italiani.
Il reddito complessivo dichiarato dai quasi 3,4 milioni di contribuenti nati all’estero ammonta a 41,6 miliardi di euro. In termini percentuali, essi rappresentano l’8,2% dei contribuenti totali e certificano il 5,3% dell’intera ricchezza prodotta. Il 42,2% dei contribuenti nati all’estero è donna e contribuiscono per appena un terzo dei redditi degli stranieri: esse infatti dichiarano in media appena 10 mila euro contro i 14 mila degli uomini.
L’86,4% degli stranieri dichiara redditi da lavoro dipendente e assimilati, mentre appena il 19,2% compila anche la sezione del modello relativa ai terreni e fabbricati (quando per gli italiani si tratta dell’84,8%). In media, si calcola che per i redditi da lavoro dipendente l’ammontare annuo si attesti a 12.260 euro, quasi 6 mila in meno degli italiani.
Gli stessi ricercatori della Fondazione Leone Moressa affermano che «gli stranieri sono, e con ogni probabilità continueranno sempre più ad essere, una parte importante della struttura economica del nostro Paese. Ci si potrebbe aspettare un’incidenza addirittura più elevata se solo il lavoro sommerso venisse regolarizzato: operazione, questa, a tutela degli immigrati, ma anche a beneficio dell’intera collettività».

dalla Padania del 23.8.12

 
 
 

MONTI AVVOLTOIO INVENTA LA TASSA SULLE MACERIE

Post n°1343 pubblicato il 22 Agosto 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Nessuna proroga per i terremotati emiliani sul pagamento di Imu e altri tributi. I governatori Zaia, Errani e Formigoni scrivono al premier: «Indispensabile far slittare i termini»

di Andrea Accorsi

Nessuna proroga fiscale per i terremotati emiliani. Neppure il presidente della Regione, Vasco Errani, che è anche commissario per la ricostruzione, è riuscito a convincere l’Agenzia delle Entrate a posticipare almeno al 2013 i termini dei pagamenti delle tasse per chi ha subìto danni dal sisma. Così, gli emiliani dovranno rispettare le scadenze valide per tutti gli altri cittadini. E, fra gli altri balzelli, pagare entro il 1° ottobre l’Imu su abitazioni inagibili e capannoni rasi al suolo.
Contro questa politica bestiale, i presidenti di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto hanno inviato ieri una lettera al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, in cui chiedono di allineare al 30 novembre, per i residenti nelle zone colpite dal terremoto, le scadenze di tutti gli adempimenti tributari, fiscali, contributivi e amministrativi. Inoltre, per quanti continuano ad avere problemi abitativi o produttivi in conseguenza del sisma, definire un ulteriore slittamento al 30 giugno 2013 dei termini per i relativi versamenti.
Nella lettera Luca Zaia, Errani e Roberto Formigoni sottolineano come «il disallineamento delle sospensioni delle scadenze per i termini di pagamento di oneri e contributi sta creando disorientamento dei contribuenti rispetto agli obblighi in vigore e a quelli sospesi dai diversi provvedimenti». Da qui la richiesta di allineare al prossimo 30 novembre i termini di sospensione degli adempimenti.
«La particolare situazione di difficoltà che interessa poi le zone colpite dal sisma, strettamente legata al tema della ricostruzione, rende necessario anche - continuano i tre presidenti di Regione - uno slittamento dei termini di versamento fino al 30 giugno 2013, in favore dei soli soggetti effettivamente danneggiati, cioè coloro i quali a causa della inagibilità della casa di abitazione o dello studio professionale o delle difficoltà connesse con il riavvio delle attività produttive per la messa a norma dei locali o per la loro ricostruzione, risultino particolarmente esposti a problemi di liquidità e di equilibrio finanziario».
Peccato che contro Errani abbia votato la stessa maggioranza che lo sostiene in Regione, affossando in sua assenza un ordine del giorno della Lega. «La maggioranza, in Regione Emilia-Romagna, si appella a decisioni condivise per risolvere la difficile situazione delle zone terremotate, ma di fronte a proposte concrete fa un passo indietro in nome dei soliti pregiudizi di partito - attacca il consigliere regionale Manes Bernardini, presidente nazionale della Lega Nord Emilia -. Avevamo chiesto un prolungamento dei termini per i pagamenti dei contributi previdenziali, una proroga, rispetto al 31 dicembre 2012, del sostegno al reddito dei lavoratori, un ritorno economico dallo Stato per il mancato gettito derivante dalle esenzioni Imu. Auspicavamo la deroga al patto di stabilità interno anche per il 2013, la sburocratizzazione del sistema delle certificazioni, controlli contro le infiltrazioni mafiose e contro la corsa al ribasso innescata dalle imprese dell’Est interessate a prendere parte alla ricostruzione. La bocciatura dell’ordine del giorno, da noi presentato nella seduta del 14 agosto, è il segno di un Pd sonnecchiante e autoreferenziale. In aula, infatti, il governatore Vasco Errani aveva condiviso la nostra proposta, salvo poi bocciarla approfittando della temporanea assenza del presidente dall’Assemblea».
La Lega non si arrende: «Non ci fermeremo qui - promette Bernardini - ma continueremo ad essere pungolo delle istituzioni e a monitorare e vigilare sulla delicata fase della ricostruzione». In Aula, nell’ultimo Consiglio regionale, il capogruppo leghista, Mauro Manfredini, ha rilevato come «ad oggi possiamo contare solo su 500 milioni di euro certi, gli stessi stanziati per l’emergenza libica. In compenso - ha sottolineato Manfredini - il Governo è subito soccorso in aiuto della Sicilia che rischiava di affondare sotto il peso dei debiti, stanziando a piè di lista 400 milioni di euro, e ha sbloccato altri 343 milioni di fondi Cipe per coprirne il debito sanitario».
Manfredini ha poi rilanciato l’ipotesi, a firma Lega, della “no tax area” invocando, da parte di Errani, l’avanzamento della richiesta per la zona franca all’Europa come auspicato da Verdi, Confindustria, Confcommercio, diocesi di Carpi, Confagricoltura e tanti amministratori, anche di centrosinistra, e cittadini. E dal Segretario nazionale emiliano, Fabio Rainieri, arriva l’invito alla Regione a «bloccare, per quest’anno, i premi di produttività per quei dirigenti le cui posizioni dipendono direttamente dalla Regione». Mentre il Carroccio insiste a dare battaglia, destra e sinistra fanno a gara nell’insorgere contro il Governo avvoltoio di Monti & C. «Non si può pretendere il pagamento delle tasse da zone colpite dal sisma solo pochi mesi fa - ammoniva ieri la vice presidente dei deputati Pdl, Isabella Bertolini -. Per questo presenterò alla Camera un ordine del giorno per chiedere al Governo di prorogare di almeno un anno le scadenze per il pagamento dei tributi per chi vive e lavora nelle aree colpite dal terremoto».
Prima della Bertolini aveva alzato la voce il Prc emiliano: per il leader regionale, Nando Mainardi, e quello di Modena, Stefano Lugli, la decisione del Governo è «vergognosa» e «ancora una volta si sacrificano gli interessi dei cittadini e dei territori, in nome del rigore di bilancio».
Anche la Confesercenti Modena è intervenuta contro la riduzione del periodo di sospensione del pagamento delle tasse nelle zone terremotate, giudicandola «una scelta incomprensibile, presa a tavolino, senza tenere conto della realtà, grave e al limite dell’offensivo per quanti, con enormi sacrifici e tra mille difficoltà, stanno faticosamente cercando di tornare ad una vita normale dopo un sisma devastante».
In definitiva, a tre mesi dalla prima fortissima scossa di terremoto di magnitudo 5.9, che il 20 maggio devastò molti centri della Pianura Padana, poi ferita di nuovo il 29 maggio da un’altra grave replica di magnitudo 5.8, la posizione del Governo è chiara: arrangiatevi. Per i “tecnici” i terremotati emiliani sono cittadini e imprenditori come tutti gli altri e non devono godere di alcuna agevolazione. Eppure il sisma nella regione ha contato 27 vittime e circa 350 feriti: ai 7 morti del primo terremoto se ne sono aggiunti altri 17 con la seconda devastante scossa, poi, a distanza di qualche giorno, altri feriti non ce l’hanno fatta.
A pagare il prezzo più alto molti operai rimasti uccisi sotto calcinacci, muri sbriciolati, macerie di aziende e capannoni crollati a terra come castelli di carta. Un dramma anche per l’economia del territorio: in base agli ultimi dati diffusi dalla Regione, il sisma ha colpito una popolazione di 767.483 abitanti con 65.788 aziende presenti, in una zona che produce l’1,8% del Pil nazionale. Basti pensare che le scosse hanno lasciato una scia di danni stimati in 3,2 miliardi di euro per gli edifici civili e in 5 miliardi per industria, agricoltura e servizi. Insomma, un disastro. Proprio come la politica seguita fin qui dal Governo.

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«Aiutano tutti, tranne noi. Così navighiamo a vista»
Fabbri, sindaco di Bondeno: il Governo ha sottovalutato l’emergenza

BONDENO (FE) - «Sembra quasi che ogni volta che gli emiliani sono in difficoltà, contino sulla loro bravura e darci una mano sia una cosa scandalosa». È a dir poco indispettito Alan Fabbri, sindaco di Bondeno (Ferrara), uno dei comuni più colpiti dai terremoti dello scorso maggio. È qui che, a luglio, il Segretario federale della Lega Nord, Roberto Maroni, ha annunciato l’intenzione di stanziare un milione di euro per la ricostruzione, “girato” dai rimborsi elettorali per il Carroccio. Ma qui, come in tanti altri comuni emiliani colpiti dal sisma, i cittadini si aspettavano anche una mano dal governo per ricostruire e ripartire. Ad esempio quella proroga, condivisa anche da alcuni “tecnici” di Monti, sui pagamenti di alcuni tributi. Invece Roma non ha voluto saperne. E così i terremotati emiliani pagheranno Imu e balzelli vari come tutti. Anche su case e capannoni finiti in pezzi.
«Il discorso è semplice - ragiona Fabbri -. A tre mesi dal sisma, prorogare il pagamento dell’Imu e di altre tasse darebbe respiro a tutto il sistema economico e sociale che è stato colpito. Poi, è ovvio che si arriverebbe a una stabillizzazione dei pagamenti, recuperando col tempo tutto quello che è dovuto. E invece, niente».
Per Fabbri «il dato di fondo è che il terremoto dell’Emilia è stato un po’ sottovalutato dal governo. È finito sotto i riflettori solo dopo che sono capitati i morti della seconda scossa, quella del 29 maggio, e a tutt’oggi non ne parla più nessuno. Ovvio che tutto deve ripartire e le cose si devono fare. Ma soltanto tre mesi fa avevamo la prima scossa, e bisognava dare la possibilità alla nostra gente di riemergere attraverso un aiuto di questo tipo». Invece, nessuna proroga fiscale per i cittadini. E nessuna agevolazione per le Amministrazioni locali. «Come Enti locali vorremmo capire perché neanche il patto di stabilità è stato allentato, nemmeno per le opere di ricostruzione. E così ci muoviamo navigando un po’ a vista».
Il borgomastro leghista di Bondeno non se la prende invece con il presidente della Regione, Vasco Errani. «Si è mosso abbastanza bene da questo punto di vista. Quando càpitano catastrofi come questa, si sono sempre aiutati tutti i territori d’Italia. A noi sembra che ci facciano un piacere a darci una mano. Siamo una delle regioni più ricche del Paese, se fosse a statuto autonomo e potesse gestire i propri soldi, problemi di questo tipo non ne avremmo. Ma non è così».
A Bondeno il quadro dei danni, a tre mesi esatti dalla prima scossa del 20 maggio di magnitudo 5.9, il quadro della situazione rimane drammatico. Gli edifici inagibili fra case, fienili, capannoni sono 1.700 (su diecimila) e vivono ancora fuori dalle loro case un migliaio di persone (su 15 mila). «Due settimane fa - ricorda Alan Fabbri - sono stati annunciati con decreto governativo 6 miliardi di euro dal 1° gennaio 2013: l’80% servirà come contributo a fondo perduto per riaggiustare e incrementare l’antisismicità delle strutture. Ma c’è da capire bene il sistema burocratico di assegnazione dei contributi, che passerà attraverso i Comuni con regole ancora tutte da precisare». E c’è un altro problema all’orizzonte. «Non è stata ancora affrontata la questione dei prossimi mesi, quelli da settembre a dicembre, fino all’arrivo dell’inverno. Un “buco temporale” preoccupante: in tanti hanno cominciato a sistemare le case, ma chi non ha i soldi per farlo, come gestirà la situazione?».

A. A.

dalla "Padania" del 22.8.12

 
 
 

Giustizia, mafia e terremoti non sono uguali per tutti

Post n°1342 pubblicato il 21 Agosto 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Il Governo salva i Tribunali nelle zone “calde” del Sud, ma sopprime  quelli in Emilia.  Le cosche al Nord  ringraziano...

di Andrea Accorsi

Chiudono 14 Tribunali al Nord, ne salvano dieci al Centro e al Sud. La scusa? Sei sono «in zone di mafia», altri quattro nell’Abruzzo colpito dal sisma del 2009. Come se in Emilia il terremoto non ci fosse mai stato. E come se la mafia da decenni non avesse messo radici anche al Nord, complici quei governi romani che per anni hanno trapiantato i boss nelle zone più ricche (e sane) del Paese, attraverso lo sciagurato istituto del soggiorno obbligato.
L’ennesima presa per i fondelli messa a segno dal Governo ai danni del Nord è stata puntualmente celebrata dai media amici. Ma che bravi, il ministro Paola Severino e i suoi complici, pardon colleghi: va bene risparmiare, ma non si può rinunciare alla lotta contro la mafia o penalizzare i Tribunali dei comuni terremotati. Per il primo motivo, rimarranno operativi i Tribunali di Cassino nel Lazio, Castrovillari, Paola e Lamezia Terme in Calabria, Sciacca e Caltagirone in Sicilia; per il secondo, quelli di Avezzano, Sulmona, Lanciano e Vasto in Abruzzo. Con tanti saluti ai Tribunali finiti nel mirino dal Piemonte al Friuli, disastrata Emilia compresa. Ma l’operazione, oltre che nel metodo, è discutibile anche nel merito.
Perché, a conti fatti, i risparmi saranno risibili rispetto all’aumento di costi dovuto a trasferte, lungaggini, aggravi burocratici per i Tribunali ai quali saranno accorpati quelli chiusi. E non è finita qui.
Nicola Molteni, responsabile Giustizia del Carroccio alla Camera, rileva altre due chicche. La prima: «Tagliare i Tribunali di Chiavari e di Bassano del Grappa dimostra l’incapacità del ministro Severino, che a settembre avrebbe dovuto inaugurarvi le nuove sedi, costate 20 milioni di euro. Dunque dov’è la razionalizzazione dei costi? Semmai hanno buttato 20 milioni nel cesso. Che sono una bella fetta degli 80 milioni stimati tra Tribunali tagliati (50) e uffici di giudici di pace soppressi (30 milioni)».
Per Chiavari c’è anche un’aggravante, messa in evidenza dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria: il taglio del locale Tribunale, fa osservare il segretario generale aggiunto del Sappe Roberto Martinelli, prelude alla soppressione della Casa circondariale, che lascerà il posto a una struttura di reclusione, destinata cioè a persone in espiazione di pena. L’effetto finale sarà un aumento dei carichi di lavoro (e delle spese) per i trasferimenti dei reclusi.
Seconda chicca rilevata dall’on. Molteni: «Da un lato si tagliano i Tribunali al Nord, dall’altro quello di Napoli viene dotato di un ufficio di Procura che prima non c’era. Così le lobby meridionali dimostrano una volta di più di avere sponda nel Governo Monti. Perché se il criterio per mantenere in vita o meno un Tribunale è quello della lotta alla mafia, il ministro discrimina il territorio del Nord rispetto al Sud o non sa, il che sarebbe particolarmente grave, che la mafia è radicata e la si sta combattendo anche al Nord».
Insomma, comunque li si girino i conti non tornano. I sacrifici sono sbilanciati, i risparmi vanificati da sprechi e da nuove spese, mentre per motivare un provvedimento indifendibile si tirano in ballo perfino la mafia e i disastri naturali. Con distinguo che non hanno motivo di essere.
Molteni cita il caso del Tribunale di Desio. «È un territorio dove il Tribunale meritava di essere salvato non solo per la presenza della criminalità organizzata, ma anche perché ha un bacino di 400 mila abitanti e 30 mila aziende. Lo sosteneva lo stesso Consiglio giudiziario della Corte d’appello di Milano, che raccomandava di salvare sia Desio che Rho per i loro bacini troppo grandi per gravare su Milano. È una vergogna, oltre a calpestare il Parlamento, il Governo se ne è sbattuto del parere delle commissioni Giustizia della Camera e del Senato e dimostra di sbattersene del Nord. Ma qui - incalza Molteni - siamo gente che lavora, produce Pil, paga le tasse e abbiamo il diritto di avere i Tribunali che ci siamo pagati e continuiamo a pagare, come di avere le nostre sedi distaccate e i giudici di pace. Quella che il ministro ha definito epocale è una riforma drammatica, perché smantella il sistema giustizia nel Paese, ingolferà i Tribunali che rimangono ed è contro il Nord, in perfetto stile del Governo Monti. La mia indignazione è totale, il ministro dovrebbe dare le dimissioni». Ma il deputato leghista non perde la speranza che tra qualche mese, con un nuovo governo, i tagli possano essere rivisti.
Non nasconde invece la sua amarezza il Segretario nazionale della Lega Nord Emilia, Fabio Rainieri: «Mentre la lotta alla criminalità organizzata viene praticata tanto al Sud quanto al Nord, il premier Monti e il ministro Severino hanno deciso che una parte del Paese deve solo lavorare e pagare le tasse, mentre l’altra può continuare a godere di privilegi e servizi frutto delle solite logiche clientelari applicate al Meridione». Come se non bastasse, ricorda Rainieri, «in fase di discussione del testo avevamo chiesto al Governo di tenere aperte le sedi distaccate dei Tribunali di Modena, Bologna e Parma nei comuni di Sassuolo, Imola e Fidenza. Tre realtà particolarmente importanti sulle quali gravita un numero di pratiche da non sottovalutare. Ma così facendo si rischia solo di immobilizzare il sistema giudiziario in Emilia. Quella stessa Emilia già colpita dal terremoto nei confronti della quale il premier sembra deciso a non fare assolutamente nulla». Per questo governo, neanche la mafia e i terremoti sono uguali per tutti. Figuriamoci la giustizia.

* * * * *

Vigevano e Desio, piazze a rischio
Territori lasciati soli nella lotta alla criminalità organizzata

È stato il primo Comune lombardo a cadere per mafia. Ma tanto non è bastato per mantenere operativo il tribunale cittadino. A Desio il 2010 è stato l’anno zero. Il maxi blitz di luglio della Dda milanese (l’operazione “Infinito” che portò in carcere 300 affiliati della ’ndrangheta in Lombardia) ebbe proprio qui uno dei suoi epicentri. L’operosa città brianzola si scoprì una delle “lavanderie” privilegiate dalla mafia calabrese: il posto ideale per riciclare denaro sporco, reinvestire ingenti capitali in redditizie attività legali e avviarne altre un po’ meno lecite. Il tutto con la connivenza della Giunta di centrodestra.
A Desio la cosca Iamonte-Moscato dettava legge, al punto che ad ogni tornata elettorale infilava suoi uomini nei seggi e perfino fra i rappresentanti di lista. Le intercettazioni degli investigatori hanno trascinato nel fango consiglieri comunali, il segretario cittadino del Pdl e perfino il presidente del Consiglio comunale, sempre in quota Pdl. La Lega decise che ci voleva un bel repulisti e con le dimissioni di tutti i suoi consiglieri fece cadere la Giunta.
Altro comune lombardo a forte rischio di contaminazione mafiosa è Vigevano, nel Pavese. Con la chiusura del tribunale, il monocolore Lega che governa la città si troverà più solo nello sbarrare il passo alle mafie nostrane e d’importazione. Droga e prostituzione sono le greppie su cui cercano di mettere le mani in molti.
Un anno fa fece scalpore l’arresto di Salvatore Galluzzi, 35enne di Rossano (Cosenza), un pericoloso latitante ritenuto personaggio di spicco delle ’ndrine calabresi. Che cosa ci faceva a Vigevano? I carabinieri lo cercavano per fargli scontare la condanna definitiva a 16 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Nel Pavese, secondo gli investigatori, aveva iniziato «ad attivare nuovi interessi e nuove attività». Ma a Vigevano allunga i tentacoli anche la mafia albanese. Nell’ultimo anno si sono contati ben cinque morti ammazzati, quattro uomini e una donna, con le eclatanti modalità tipiche delle organizzazioni criminali. Alle quali non basta uccidere: occorre anche dare un segnale. E il trasloco del Tribunale somiglia tanto a un semaforo verde.

A. A.

dalla Padania del 12.8.12

 
 
 

Governo dopato, da squalifica

Post n°1341 pubblicato il 10 Agosto 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

Nelle “Olimpiadi” della politica nazionale, i ministri tecnici si aggiudicano la medaglia di bronzo. Come le loro facce

di Andrea Accorsi

Nelle Olimpiadi della politica nazionale il Governo Monti si aggiudica la medaglia di bronzo. Come le facce dei ministri che lo compongono. I “tecnici” promettevano misure eccezionali tali da risanare i mali italiani. Grazie a loro, dicevano, ci saremmo rimessi in carreggiata sui binari europei, avremmo avuto la garanzia di restare ben saldi nel “paradiso” dell’euro, avremmo potuto contare su una economia avviata verso il rilancio, nell’universale considerazione e rispetto dei partner europei. Millantavano persino, i Professori, il pareggio dei conti nel 2013. Ma a quasi nove mesi dall’inizio del suo mandato, il loro bilancio fa acqua da tutte le parti. Anche se non sembrano darsene conto.
“Dopato” dalla mancanza di un voto popolare che lo legittimasse, Mario Monti ha cercato il sostegno di una maggioranza che doveva essere bulgara ma si è dimostrata talmente sgangherata da risultare piuttosto albanese. E di fatto inesistente, al pari del consenso popolare. Un Governo di fantasmi si trascina stancamente verso un traguardo che risulterà fra i più fallimentari nella storia della Repubblica. Le tappe dei suoi provvedimenti, imposti con 29 decreti legge e 34 (ad oggi) voti di fiducia parlamentare, rappresentano la via crucis di un Paese ridotto agli sgoccioli, sotto tutti i punti di vista.
L’economia nazionale è in piena recessione. Il Pil è in caduta libera, ben oltre le già fosche previsioni dei mesi scorsi. Anche la produzione industriale cola a picco. Quello che è cresciuto, invece, è il debito pubblico, che continua a registrare ogni mese un record dopo l’altro ed è ormai a un passo dalla soglia stellare dei 2 mila miliardi di euro. Anche la spesa pubblica non si è affatto ridotta, visto che nel 2012 aumenterà da 800 a 810 miliardi. Mentre lo spread, nonostante gli sforzi, rimane comunque alto, al di là del fumo gettato negli occhi dal premier con la favoletta della quota 1.200 se Berlusconi eccetera eccetera.
Altri record assai poco lusinghieri li segnano la disoccupazione, specie quella giovanile, il numero di imprese che chiudono i battenti o fuggono all’estero, imprenditori e disoccupati che pur di non andare avanti così hanno deciso di farla finita, togliendosi la vita. Per non parlare della pressione fiscale: quanto a tasse, siamo campioni del mondo, altro che palle. Con una stangata di 45 miliardi di euro in più (20 di imposte dirette e 25 indirette) solo nel 2012, che ci farà raggiungere il primato del 45,4% di pressione fiscale.
Hanno cominciato con l’Imu, resuscitando l’odioso balzello sugli immobili, come se la casa fosse un lusso e non una primaria necessità. Poi toccherà all’Iva, con le prevedibili impennate dell’inflazione. Rincari, aumenti, ritocchi inesorabilmente verso l’alto. Con prezzi alle stelle (basti il caso della benzina) per famiglie sempre più in difficoltà materiale. Avanti di questo passo, gli italiani non si troveranno più un centesimo in tasca: il calo verticale dei consumi è lì a dimostrare chiaro come il sole che di soldi non ce n’è più, neanche per piangere.
Poi hanno massacrato gli Enti locali, ovviamente quelli virtuosi che avevano qualche soldo da parte. Tagli, tagli e ancora tagli con la beffa della Tesoreria Unica centrale. Tanto, a metterci la faccia con i cittadini sono i sindaci, costretti ad alzare i balzelli di loro competenza e a sacrificare i servizi destinati ai cittadini.
Hanno messo mano alla riforma dello statuto dei lavoratori, non richiesta e tanto meno gradita dai diretti interessati e sindacati. E hanno tradito le attese di qualche centinaio di migliaia di lavoratori sulla soglia della pensione, creando dal nulla il colossale problema degli esodati (vero ministro Fornero?).
Hanno mascherato come provvedimento salva-Paese la solita sanatoria per gli immigrati, puntualmente messi davanti agli altri nell’agenda del Governo (vero ministro Riccardi?).
Hanno cancellato l’unica speranza di salvare baracca e burattini, ovvero la riforma del Paese in senso federale, riportando indietro di anni il cronometro delle riforme. Mentre giocano, cartina geografica alla mano, a ridisegnare le Province per risparmiare pochi spiccioli a fronte di un salto nel buio sul piano della gestione del territorio.
E tutti questi sacrifici per cosa? Per pagare gli interessi agli amici tedeschi del premier che hanno investito nei nostri titoli di Stato. Per coprire d’oro Roma Capitale. Per rimpinguare a suon di milioni (di euro) le disastrate casse dei soliti Enti spreconi, Regione Sicilia in testa. Per salvare dal crac i compagni (di merende) del Monte dei Paschi.
Neanche un centesimo, per contro, in investimenti concreti, che generino sviluppo, ricerca, avanzamento tecnologico, posti di lavoro, esportazioni, ricchezza. I 61 articoli del decreto legge sullo sviluppo resteranno un bel libro dei sogni, come i 70-80 miliardi stimati fra risorse e investimenti (vero ministro Passera?). I privilegi della casta, al di là degli annunci mediatici, rimarranno intatti. Se sacrifici ci saranno, ad esempio per i membri del cda Rai, riguarderanno quelli che verranno, mica quelli in carica adesso. L’ennesima presa per i fondelli.
Famiglie, imprese, fasce deboli possono - e devono -arrangiarsi. Il Governo ha altro a cui pensare, Pmi e Welfare possono attendere. L’ennesima riprova è arrivata con il dl sulla spending review: tanto fumo, poco arrosto.
I farmacisti dovranno attenersi alla lettera alle ricette dei medici di base. Sai che roba. I magistrati rinunceranno a un po’ di intercettazioni telefoniche. Càspita, che risparmio (vero ministro Severino?). Le pagelle saranno spedite via e-mail o pubblicate su internet: peccato che molte famiglie non hanno un computer, né possono permetterselo. Ci volevano proprio dei geni della finanza per arrivare a tanto.
In sostanza, tutti pannicelli caldi. Che non intaccano di un millimetro la montagna di enti inutili, amministrazioni sprecone, bilanci col buco, maxi stipendi, pensioni d’oro e pensioni regalate, benefit favori regalìe mangiatoie di Stato che zavorra il Paese. Se ne avessero la possibilità, i cittadini mostrerebbero alla squadra di Palazzo Chigi il cartellino rosso. Lo avranno in mano fra pochi mesi, sotto forma di scheda elettorale.

dalla Padania del 9.8.12

 
 
 

Il Pdl furioso “tradisce” Monti Critiche anche da Pd e sindacati

Post n°1340 pubblicato il 08 Agosto 2012 da accorsiferro
 
Foto di accorsiferro

I berlusconiani votano contro dopo l’affondo sullo spread. Lupi: «Sostenere con responsabilità il Governo non vuol dire essere un tappetino sdraiato»

ROMA - Via libera col brivido alla spending review. Il Governo va “sotto” su un ordine del giorno al decreto legge, che alla fine ottiene dalla Camera il via libera definitivo. Ma la trentaquattresima fiducia strappata dai tecnici è stata particolarmente sofferta. E lascia dietro di sè un Pdl furioso e diviso: alcuni deputati hanno votato contro, contravvenendo agli ordini di scuderia, mentre nelle file del partito serpeggia la rabbia per l’uscita di Monti al Wall Street Journal («se al governo ci fosse ancora Berlusconi, lo spread sarebbe a 1.200»). Una rabbia che si è subito tradotta in una vendetta, con un voto contrario alle indicazioni dell’Esecutivo.
Ma il malessere non è solo del Pdl. Bersani già chiede aggiustamenti al dl: «Questa spending review - osserva il leader del Pd - qualche imperfezione ce l’ha. Ci sono cose che vanno un po’ riviste, come sulla scuola. Si tratta di tagliare gli sprechi ma non la spesa sociale». Mentre i sindacati si mobilitano contro il provvedimento: Cgil e Uil annunciano un flash mob il 28 settembre davanti alla Camera per ribadire lo sciopero del pubblico impiego già fissato e dire, anzi scrivere, «basta parole».
Gli statali di Fp-Cgil, Flc-Cgil, Uil-fpl, Uil-Rua infatti per chiarire le ragioni del sit in di ieri hanno utilizzato pettorine con lettere cubitali, che formavano le parole “28-09-12 sciopero” da un lato, e “basta parole” dall’altro. Nei manifesti appesi dai sindacati si vedeva la foto di una mannaia da macellaio e si leggeva: “La mannaia del governo taglia in modo insensato e iniquo le risorse destinate ai servizi pubblici, mina alla base le radici dello stato sociale, determina le condizioni per una completa destrutturazione della pubblica amministrazione a vantaggio di privati senza scrupoli”.
Durante le operazioni di voto a Montecitorio, il Governo è stato battuto su un odg a firma di Alfredo Mantovano (Pdl) sulle risorse da destinare a giustizia e sicurezza. Diversi parlamentari pidiellini hanno ammesso che si è trattato di un voto di protesta contro le parole del premier al Wsj. «Lo abbiamo fatto apposta - ha spiegato il tesoriere del gruppo, Pietro Laffranco - per protesta contro le parole di Monti su Berlusconi. Ha detto una sacrosanta sciocchezza e noi abbiamo voluto lanciare un segnale». Fra chi nelle file del Pdl ha votato contro il decreto, Viviana Beccalossi, Luigi Cesaro («no motivato dalla personale lontananza da questo tipo di politica che sotto il profilo sociale determina situazioni gravi per le fasce più deboli») e Bruno Murgia («la spending review è un attacco all’autonomia regionale sarda»).
Maurizio Lupi, vice presidente della Camera, avverte: «Sostenere con responsabilità il Governo Monti non vuol dire essere come un tappetino sdraiato». Quanto all’affondo sullo spread, «Monti guardi con attenzione la realtà. Si è visto in nove mesi di governo e 33 fiducie che il problema non è questo». Poi l’esponente Pdl ha ricordato che oggi Angelino Alfano presenterà a Monti la proposta per «mettere mano finalmente al debito pubblico».

A. A.

dalla "Padania" dell'8.8.12

 
 
 

«Solo il Nord può battere la crisi»

Post n°1339 pubblicato il 07 Agosto 2012 da accorsiferro
 
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Gibelli: «Lombardia più colpita ma prima nel sostenere le imprese. Mettiamo in campo strumenti per aiutare l’economia reale. Altri aspettano i soliti interventi a pioggia, ma non li avranno»

di Andrea Accorsi

Assessore Gibelli, in Lombardia risultano aperti presso il ministero dello Sviluppo economico 19 tavoli di trattativa (quasi il 15 per cento del totale) per risolvere crisi aziendali. Solo un terzo di quei tavoli, sei, stanno trovando una soluzione. In ballo ci sono 33.380 posti di lavoro, pari al 20% del totale. La crisi, dunque, colpisce qui più che altrove?
«È inevitabile, perché il sistema produttivo nazionale è soprattutto al Nord e in Lombardia - risponde Andrea Gibelli (nella foto), vice presidente e assessore all’Industria della Giunta regionale lombarda -. La situazione economica soffre dove c’è l’economia reale. E ne siamo consapevoli».
Quali soluzioni ricerca la Regione nei tavoli aperti presso il ministero con aziende, sindacati ed Enti locali?
«Nei confronti del governo abbiamo posto una precisa condizione: di mettere in campo strumenti per sostenere l’economia reale, e non quella che si vorrebbe avere. Quindi niente interventi a pioggia, ma selettivi, privilegiando alcune regioni rispetto ad altre: quello che conta è l’effetto leva sull’economia. Il 75% delle imprese che fanno export e sviluppo sono al Nord, e di queste il 29% in Lombardia, regione che da sola rappresenta un terzo dell’export nazionale».
Quindi per uscire dalla crisi, ancora una volta occorre investire su chi traina il carro, non su chi va a rimorchio?
«Assolutamente. Bisogna favorire chi fa esportazione e fa sviluppo, laddove non si ridistribuisce ricchezza interna ma si porta ricchezza all’interno del Paese. O si punta su quello, o non c’è nessuna possibilità di farcela».
Qualcuno potrebbe osservare che è una pregiudiziale politica...
«È una posizione di carattere politico, ma basata sulla realtà. Proprio oggi (ieri, nda) il Sole24Ore mette in rilievo come siano ancora le Regioni del Nord, in particolare la Lombardia, ad aver mutato atteggiamento nel credito alle imprese rispetto al modello tipico del Sud, diventando soggetti che offrono garanzie e permettono di fare leva su fondi che consentono di sostenere le imprese in crisi. La Lombardia, da sola, ha già stanziato risorse che superano i 523 milioni di euro. Nessun altro ha fatto di meglio. La Toscana conta 400 milioni, ma in realtà si tratta di un sistema di fidi e non è ancora attivo. Poi c’è il Veneto, che ha messo in campo un piano anti crisi da 325 milioni».
Esiste una filosofia comune alle Regioni del Nord?
«Certo: prestare garanzie di natura pubblica per consentire alle banche di finanziare le imprese. È un modo per stimolare il sistema bancario e per corresponsabilizzare la parte pubblica nei confronti del credito, che è l’elemento più importante per il sistema produttivo».
Una risposta concreta alla Cgil, secondo cui le tante crisi aziendali oggetto di trattative «non possono concludersi solo con gli ammortizzatori sociali»...
«Noi cerchiamo di dotare le imprese di strumenti di finanziamento attraverso garanzie pubbliche. Poi cerchiamo risorse nei canali tradizionali, ad esempio attraverso accordi con la Banca europea per gli investimenti. Ancora, accompagniamo le imprese a superare la crisi con strumenti quali consulenze dedicate, per dare informazioni utili che spesso non sono a disposizione degli imprenditori: la nostra Regione fornisce un pool di tecnici che aiutano le imprese in difficoltà. Altro esempio, le reti: il trasferimento di tecnologia aumenta la competitività delle imprese, come abbiamo fatto con il Programma Ergon e con l’accordo con il Miur, che ha avuto uno straordinario successo di partecipazione».
E le altre Regioni come si muovono?
«Nei tavoli di trattativa con le aziende, le Regioni del Nord a guida centrodestra e con grande presenza Lega si stanno strutturando per fare sempre più da sole e insieme. Dal Piemonte al Friuli, trasferiscono esperienze che possano raggiungere masse critiche per amplificare l’effetto leva sull’economia. Il Sud continua a chiedere finanziamenti pubblici di tipo tradizionale, ma soldi non ce ne sono più. Dovrebbe cercarli in Europa, come abbiamo fatto noi, ma la Bei ce li ha dati perché abbiamo i conti a posto, in quattro Regioni su venti. Le altre, anche volendo, non potrebbero ottenere nulla perché non hanno condizioni strutturali di bilancio credibili. Infine, altre Regioni come Toscana ed Emilia ne fanno una questione ideologica, di prevalenza del sistema pubblico, con un sistema cooperativo e fiscalità di vantaggi che non creano ricchezza. Mentre la nostra filosofia è che il pubblico accompagni le imprese, non che si sostituisca ad esse».

dalla Padania del 7.8.12

 
 
 

Dal 23 agosto in libreria "Le famiglie più malvagie della storia" in edizione economica

Post n°1338 pubblicato il 06 Agosto 2012 da accorsiferro
Foto di accorsiferro

Dal 23 agosto sarà in vendita l'edizione economica dell'ultimo libro scritto da Andrea Accorsi e Daniela Ferro per Newton Compton, Le famiglie più malvagie della storia (nella foto, la copertina della nuova edizione).
A pochi mesi dall'uscita della prima edizione, andata rapidamente esaurita, l'editore ripropone dunque il testo di Accorsi e Ferro al prezzo eccezionale di 6,90 euro.
"Una carrellata di fatti oscuri e crudeli, operati da famiglie che hanno utilizzato ogni genere di sopraffazione per difendere il proprio nome e potere" (Panorama.it).

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: accorsiferro
Data di creazione: 04/03/2006
 

IL FILM CHE ABBIAMO VISTO IERI SERA

Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionato con la mutua**

Legenda:

** = merita
*   = non merita

 

I LIBRI CHE STIAMO LEGGENDO

Andrea:

Kate Quinn

Fiori dalla cenere

(Nord)

 

I NOSTRI LIBRI PREFERITI

Anna Karenina di Lev Tolstoj

Assassinio sull'Orient-Express di Agatha Christie

Cime tempestose di Emily Bronte

Dieci piccoli indiani di Agatha Christie

Genealogia della morale di Friedrich Nietzsche

Guerra e pace di Lev Tolstoj

Illusioni perdute di Honoré de Balzac

Jane Eyre di Charlotte Brontë

Le affinità elettive di Johann W. Goethe

Madame Bovary di Gustave Flaubert

Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov

Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse

Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen

 
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