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Post n°84 pubblicato il 27 Febbraio 2009 da fiore964
Foto di fiore964

La casa è divenuta all'improvviso silenziosa, come in attesa di qualcosa. Sul pavimento, la valigia chiusa reca una nota di provvisorietà e di destino.

Tra poco, abbassate le persiane, la porta verrà chiusa dall'esterno. E fra le vuote stanze regnerà,  incontrastata, la quiete.

 

La partenza è un distacco, e ogni distacco è una piccola avventura.

Si lasciano le  abitudini, i volti, gli oggetti - volti e oggetti che sono divenuti parte delle nostre  abitudini, di cui ci rincresce dover fare a meno.

È incredibile come facciamo presto ad attaccarci alle cose, ad abituarci alla loro presenza rassicurante. Come permettiamo facilmente, naturalmente che entrino a far parte di noi, della nostra vita.

Non che sia un male in se stesso, abituarsi alle abitudini.

Bisognerebbe però vedere quanto vi è di nostro, di autentico in questo abituarsi; e quanto di pigro e di fasullo.

Non c'è niente di sbagliato nel fatto di abituarsi alle cose buone, se con tale espressione intendiamo una dolce familiarità, fatta di tacite, profonde intese.

Il problema sorge quando ce ne dobbiamo distaccare.

Per questo partire significa distaccarsi, e distaccarsi significa affrontare l'ignoto.

 

Non è detto che si tratti di una partenza fisica.

Potrebbe anche essere una partenza interiore, un distacco all'interno della nostra anima. Del resto, i viaggi più avventurosi sono quelli che avvengono dentro di noi.

Per questo c'è molto di Ulisse in ognuno di noi: ci sono l'odore del salmastro e lo stridio dei gabbiani e la brezza del largo.

Ci sono molti modi di partire.

Si può partire per una vacanza; partire per un nuovo lavoro; partire per un ricovero in ospedale: per piacere, quindi, o per dovere, o per una malattia.

In ogni modo, l'idea della partenza ci mette sempre un po' in crisi. Forse perché significa, appunto, un distacco dalle care abitudini di sempre.

 

Certo, può esservi comunque una nota gaia nel fatto di partire; specialmente se pensiamo o se speriamo di andare verso una situazione migliore, verso una condizione di maggior pienezza e di più vasto respiro.

 

Nessuno è così solo, che la sua partenza non venga notata da qualcuno, non eserciti un riflesso su altre persone. E nessuno è così indipendente da non risentire della partenza di qualcuno altro, da non avvertire la sua assenza.

Siamo legati gli uni agli altri, che ci piaccia o no: nel bene e nel male, nella speranza e nel timore, nella gioia e nella sofferenza.

Siamo legati alle persone, agli animali, alle piante, agli oggetti, ai paesaggi, ai cieli, ai giorni e alle notti. Anche se non lo crediamo e se saremmo portati a sorridere di superiorità all'idea di tutti questi legami, la verità è che noi non saremmo quello che siamo, senza di essi. Saremmo altro; o, forse, non saremmo affatto.

Esistere, è sempre esistere in una situazione, in un contesto, in un ambiente. Nessuno esiste per sé solo, anche se sceglie di andare a vivere su di un'isola deserta. Se non altro per l'esempio che dà, per il vuoto che lascia, per il silenzio che lo segue.

È la nostra croce e la nostra delizia. Noi crediamo di poter fare a meno degli altro, specialmente quando li prendiamo in odio. Ma anche quell'odio è un fiato che ci tiene vivi, è un filo che ci collega al mondo.

E, del resto, è fin troppo evidente che esso non è altro che il rovescio dell'amore: un amore deluso, amareggiato, respinto; ma un amore.

E questa è la seconda croce e la seconda delizia del nostro essere: quella di non poter fare a meno di amare.

Se non possiamo più amare, allora odiamo: ma non odieremmo se riuscissimo ad amare, se il nostro bisogno di amore trovasse corrispondenza e si placasse.

 

Nella mia giovanezza ho navigato

lungo le coste dalmate. Isolotti

a fior d'onda emergevano, ove raro

un uccello sostava intento a prede,

coperti d'alghe, scivolosi, al sole

belli come smeraldi. Quando l'alta

marea e la notte li annullava, vele

sottovento sbandavano più al largo,

per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno

è quella terra di nessuno. Il porto

accende ad altri i suoi lumi; me al largo

sospinge ancora il non domato spirito,

e della vita il doloroso amore.

 

 

Umbero Saba _ Ulisse

 
 
 
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