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« L'incantatrice orientaleLavori in corso »

Il suo terzo romanzo

Post n°44 pubblicato il 01 Febbraio 2008 da alfredofiorani
 

La memoria impura è il suo terzo romanzo.
Il titolo, che lascia indovinare un ammiccamento all’impura aria pasoliniana, compendia efficacemente il senso dell’opera.
Un’opera cupa, intrisa di disperazione, che mira ad abbinare la componente drammatica alla tragica.
La storia è quella di Alvaro, un pedofilo ed assassino, che dopo venticinque anni di reclusione si accinge a tornare in libertà.
Ancora chiuso in cella, nei giorni immediatamente precedenti il rilascio, continua a svolgere quella ricognizione sui propri trascorsi avviata tempo prima, riconoscendosi definitivamente incapace di affrontare il rientro nella quotidianità.
Troppi i timori, troppo grande il senso di diversità.
Troppo pesante il suo angustiarsi per dimenticare, per abbandonare quella parte di sé che con paura sente viva, minacciosamente latente, fiaccata ma non estirpata dalla pur lunga pena.
Consapevole delle bestialità commesse, quelle atrocità lo ossessionano, costringendolo ad un fitto monologo interiore: la sua mente, con la memoria impura che l’attanaglia, diviene il luogo di uno stillicidio di riflessioni sempre più insostenibili, d’un travaglio intimo che contrappone due forse uguali e contrarie.
L’ininterrotto discorso con se stesso diventa un dialogo tra due parti di un sola identità confliggenti eppure complementari (“Dove leggere la verità su di me?”, p.44): l’una, del passato, brutale e spaventosa; l’altra, del presente, sconcertata, intimorita, inibita dalla prima, e affannosamente tesa a voler riconoscere come raggiunta una redenzione di fatto solo presunta e tutt’altro che ottenuta.
La dialettica derivante dalla coabitazione di bene e male, che ripropone – forse un po’ presuntuosamente – il contrasto jekylliano, viene progressivamente accresciuta attraverso l’esasperazione della condizione del protagonista, ottenuta con un’intensificazione emotiva della narrazione in prima persona e, inoltre, con una serie di recuperi analettici inseriti nel contesto narrativo, anche se non sempre in modo efficace.
Il conflitto che in lui si svolge è dunque una crisi che abbraccia sia il piano esistenziale che quello etico-morale, e a conclamarla, ad amplificarla, concorre un progressivo scemare di speranza.
L’insieme si traduce in una circolarità soffocante, frenata, quantunque blandamente, dall’affioramento di tre figure, ciascuna delle quali partecipe, seppure in modo differente, al passato del protagonista e simbolicamente rappresentativa d’una sua stagione di vita e d’un valore umano: il vecchio Bartolomeo (infanzia e amicizia), l’ispettore Krumm (pentimento e giustizia).
Padre Esilio (riscatto e fede).
I recuperi analettici connessi con i tre personaggi consentono al lettore di discostarsi dall’incalzante progressione di quanto raccontato dall’io narrante e di ricostruirne parte del percorso di vita, soprattutto per quanto attiene ai disagi e alle sofferenze dell’infanzia.
L’impossibilità di proseguire la propria esistenza (affermandola) sapendo d’aver interrotto quella altrui (negandola) causa una dicotomia insanabile, e l’intento che unilateralmente tende ad un rinnovamento della vita s’infrange contro la congenita bipolarità intrinseca al protagonista.
Fiorani ha dunque tentato di rappresentare quella che potrebbe dirsi la genesi d’una fine, facendo vertere la vicenda di Alvaro intorno a questa sorta di ossimoro.
E’ da dire che, per quanto l’intuizione sia di per sé piuttosto interessante, a conti fatti non pare poter giustificare da sola tutto il romanzo.
Romanzo che, peraltro, pur se complessivamente accettabile, non è immune da altri difetti: da sottolineare lo stile dell’Autore, caratterizzato da periodi interrotti bruscamente, iterazioni e costruzioni anaforiche che, a tratti, rendono la scrittura macchinosa, appesantita qua e là da pleonasmi e da pagine non indispensabili: in particolare, la scelta di spezzare questo o quel periodo, nel tentativo d’affidare al lettore il compito d’attribuire significato a frasi concepite con un intento designificante, non convince.
Altro problema risiede nella definizione dei personaggi, che se tecnicamente risultano più o meno funzionali (per numero, per collocazione), non riescono a trasmettere quanto in realtà dovrebbero.
Alvaro, in particolare, rimane freddo, distante, nonostante il fluviale discorso interiore che porta avanti e con cui investe il lettore; gli altri, pur nella loro sostanziale sensatezza narratologica, restano figure poco definite, poco espressive, più simili a tappe obbligate di un percorso che a entità autonome e letterariamente significative.

Simone Gambacorta
in: Sìlarus, Anno XLIII, n. 226, Mar/Apr. 2003

 
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