Creato da anonimo.sabino il 06/09/2006

L'altra campana

Itinerario spirituale di un pagano

 

Messaggi di Ottobre 2015

IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA - 5

Post n°2017 pubblicato il 30 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

 “Questa gente non ha rispetto per me e non vuole bene a te: gode nel vederti delusa, perché eri insuperbita per me; e monta la tua delusione per vederti scendere dal tuo piedistallo”.

 

“Tutto il paese ti critica, figlio mio”.

 

“Perché? Che cos’ha Antonietta, che non va?”

 

“Non ha niente. E’ appunto questo, che dicono, che non ha niente: non è per te. E finché starai a casa mia devi darmi retta”.

 

“Non ci starò ancora per molto. E se pensi davvero di dover decidere tu della vita mia, me ne vado subito e non mi vedrai più”.

 

Solo con quella minaccia riuscii a ottenere la sua astensione. Non la sua approvazione: ripeteva anzi che quel mio fidanzamento era la più forte pena dopo la morte di Ottavio. Terribile, per Antonietta; e terribile per me, se fosse stato vero che non avesse sofferto altrettanto per il mio abbandono. Ma forse la mamma era soltanto invecchiata, incatenata allo spettro delle sue croniche frustrazioni.

 

Da allora Antonietta diede prova di quanto valesse: capiva mia madre, benché soffrisse più di me della sua diretta ostilità.

 

“Sono state le eccessive privazioni subite a rendere tua madre desiderosa di vederti volare al di sopra di tutto, e quindi con una donna meno umile…”

 

 “Non posso credere che sia amore quello di una madre che vuole impossessarsi della tua vita”.

 

“Ma no!” Antonietta sembrava spalleggiarla: “Vorrebbe soltanto realizzare qualche sogno attraverso te. E’ comprensibile, se pensi che è vissuta per anni soltanto in attesa che il postino le recapitasse la tua lettera”. Le aveva conservate tutte, infatti.

 

Vanda mi domandava ironica se il meglio che potessi trovare stesse proprio a Pede ‘ella Terra; e Franco se non fossi stato un po’ precipitoso. Anche per loro ero il gioiello di famiglia. Favorevole Luciano, che apprezzava il coraggio e la coerenza della mia scelta. D’accordo Antonio, che aveva stima e simpatia per la ragazza; e in sezione Beppe ‘ellu Boccio, "perché era compagna e figlia di compagni".

 

Chiamavano ‘U Boccio un fratellastro di nonno Angelo. Era, come il padre di Nino, nipote del garibaldino di Monteflavio, Toto Petricca, quello dei Mille che tornò al paese con Menotti Garibaldi. Erano infatti figli di Ghetella, soprannominata ‘U fargu ‘e Toto. E come suo nonno aveva issato sul campanile la bandiera di Garibaldi, il rubicondo (Boccio) figlio del Falco di Toto si fece arrestare e processare per essersi presentato al vescovo, in visita a santificare le elezioni politiche in compagnia della Madonna Pellegrina, salutandolo a pugno chiuso e al canto di Bandiera rossa.

 

 
 
 

IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA - 4

Post n°2016 pubblicato il 29 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Mia madre non conosceva affatto quella ragazza, nemmeno di vista. E io credevo di aver conosciuto la massima: non era nulla al confronto di quella che vidi scatenarsi furiosamente addosso alla povera Antonietta, rea di essere amata dall’Avvocato, e in persone nelle quali l’avrei supposta di meno. A cominciare da mia madre: avrebbe accettato una puttanella di città, ma non che una paesana come lei si elevasse al rango che pensava di avermi fatto raggiungere. E io non potevo permetterle di riappropriarsi della mia vita, né del mio passato né tanto meno del mio futuro:

 

“Non sei tu che mi hai fatto studiare. Sono io che ho pagato di persona per istruirmi e capire; ed è mio il diritto di scegliere la ragazza che voglio”.

 

La mamma riuscì a rovinarmi la gioia di quel giorno. E non sapevo di quanti altri ancora. Né sarebbe stata la massima una prerogativa del paese, se non si fosse stretto tutto attorno a lei nel cordoglio:

 

“Fosse almeno una grande bellezza… Dicono che sia pure malaticcia… Dicono che non è buona neppure a fare le faccende di casa… Dicono che è una sciapa…” Dicono, il sigillo della menzogna. Così, mentre nei paesi vicini la nostra storia si propagava come una favola, il borgo selvaggio non perdonava alla sconosciuta Antonietta l’ardire di un amore giudicato troppo alto per una paesana.

 

  La sorda avversione di mia madre alla più bella favola della mia vita sarebbe continuata anche dopo le nozze e dopo la nascita delle nostre figlie; anche quando, vecchissima, sarebbe stata assistita da Antonietta come da una figlia. E io sentivo che quella donna che si aggrappava, per vivere, a me e alla mia “stima” non era più mia madre. Forse mia madre l’avevo perduta proprio il giorno che mi lasciò solo a Tata Giovanni, solo con il mio fottuto destino.

 

  “Sono io la sua fidanzata. Deve sposare me”. Per gli adulti un pianto sciocco, quello di Rita, la seconda di Vanda. Io che conoscevo quanto siano amare le lacrime di un bambino, mi adoperai più a convincere lei che mia madre. E un giorno che avevo parlato a Rita del principe che a Roma stava aspettando che lei crescesse, nel risalire le scale di casa, sentii gemiti e sospiri: zia Elvira e zia Adalgisa, che prima non mettevano piede in casa della cognata, stavano lì con mia madre in cordoglio accanto al fuoco.

 

“Uscite di qua!” ordinai. “Andatevene e non vi fate più vedere!” E mentre le zie scendevano leste leste le scale, per la prima volta parlai a mia madre con durezza.

 

 
 
 

IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA - 3

Post n°2015 pubblicato il 28 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Il giorno dopo lo dissi a mia madre.

 

“Puoi dirmi quello che ti pare. Tanto, non ci credo”.

 

“E’ vero. E stasera andrò a casa sua”.

 

“Non sarà mai. Se vuoi farmi morire, dillo sul serio”. Sapevo che non sarebbe stata d’accordo. Non immaginavo fino a che punto.

 

Sarei andato quella sera stessa a presentarmi a casa di Antonietta, se l‘assoluta contrarietà di mia madre non mi avesse annerito l’umore. Era una giornata mite. Per la prima volta mi accorsi che la primavera si preannunciava in anticipo. Passai la serata alla Camera del Lavoro. Bevvi qualche bicchiere di vino. Quando zio Pietro chiuse, presi la chitarra e, senza il codazzo schiamazzante dei filoni, accompagnato soltanto da Antonio e Belardino, andai sotto le finestre di Giusto. La voce non era calda come da bambino, ma credo che sia stata la più bella delle mie serenate. La mattina dopo ne parlava tutto il vicinato:

 

“Avete sentito l’Avvocato, stanotte?”

 

Nel tardo pomeriggio, che era rincasato anche il babbo, andai a casa di Antonietta, quasi ai piedi del paese (Pede ‘ellaTerra, appunto):

 

“Sono qui, come vedi”.

 

“Non potevo credere che l’avresti fatto davvero”.

 

“Nemmeno dopo la serenata?”

 

“Oh sì, grazie… voglio dire della serenata…”

 

“Ma sei contenta o no?” Rispose con un contenuto sì. E nel più casto e tradizionale dei modi ci scambiammo il primo bacio, davanti a sua madre che mi metteva lesta lesta una sedia sotto il culo; alla sorella minore, Enza, che ci guardava di sottecchi; a suo padre, che mi disse:

 

“Credo che tu ci abbia pensato bene. Se hai intenzioni serie, sii il benvenuto”.

 

 Più tardi rientrò con il fidanzato Francesco anche la sorella maggiore di Antonietta, Lisandrina: sarebbero stati i nostri complici nei giorni successivi. Aveva anche un fratello, Gilberto, che stava prestando il servizio militare.

 

Sentivo di aver fatto la cosa giusta. Ma tornato a casa, trovai la mamma in lacrime.

 

“Che cosa è successo?”

 

“E me lo domandi? Tutto il paese non parla che della tua follia”.

 

“La sposerò io, non il paese”.

 

“Piuttosto ammazzami. Non ti ho fatto studiare per regalarti a una figlia di Giustarello”.

 

 
 
 

IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA -2

Post n°2014 pubblicato il 27 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

Partecipai al veglione di quel carnevale del ’66, più che altro perché invitato a dare una mano al chitarrista del complesso di ruspanti che lo organizzava. La trovai lì a ballare (non che fosse una libellula) e la seguii a lungo con lo sguardo come un sogno mattutino.

 

Mi guardava anche lei. Sapevo che avrei fatto scandalo e che avrei inferto a mia madre un colpo mortale; temetti ancora che infrangendo la convenzione che mi voleva con una mia “pari” avrei potuto commettere un errore nocivo anche a lei… No. Meglio sbagliare di testa mia, che per ossequio alle convenzioni.

 

Notai che le ronzava attorno Marsilio, sensale del paese e paraninfo: era ovvio che Antonietta interessasse a più di uno. Decisi su due piedi: non avrei consentito a nessuno di portarmela via. Smisi di suonare e la presi a ballare. E continuai a ballare con lei:

 

“Non mi vuoi proprio dire chi è lo spasimante che ha messo in movimento Marsilio?”

 

“Nessuno, che io sappia. Parola!”

 

“E nessuno ti sta facendo la corte?”

 

“Oh, questo sì”, rispose ridendo: “Tutti i ragazzi della sala mi stanno facendo la corte”.

 

“Anch’io. Te ne sei accorta?” Diventò molto seria:

 

“Stai ballando sempre con me! Eppure non sono una grande ballerina. Fai male a prenderti gioco di una compagna: so bene che non sono per te. Lascia perdere gli scherzi e restiamo amici e compagni”.

 

Le dissi che non scherzavo, che mi piaceva moltissimo e che la ritenevo la ragazza capace di farmi felice… Sapevo che lei non si sarebbe mai dichiarata esplicitamente.

 

“Se io non ti piaccio è un altro paio di maniche”, insinuai. “Ma perché dici che non sei per me?”

 

“Primo perché non ho la tua istruzione, secondo perché non posso offrirti in cambio una rendita, terzo perché non ti credo”.

 

Tra un ballo e l’altro di quell’indimenticabile carnevale il dialogo con Antonietta diventò una precisa dichiarazione.

 

“Pensi che non avendo un’istruzione o una rendita non saresti capace di amare uno come me?”

 

“Io sì, ma non credo che tu possa innamorarti di me”. Mi bastò quel timido sì, accompagnato dal cedimento (e poteva reggere ancora un poco!) ai miei tentatividi stringerla a me, per avere la conferma che c’ero entrato, nei suoi sogni.

 

“Cosa debbo fare perché tu ci creda?”

 

“Vieni a dirmelo a casa mia”.

 

 
 
 

IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA - 1

Post n°2013 pubblicato il 26 Ottobre 2015 da anonimo.sabino
 

 

12.IL VENTO DEGLI ANNI SESSANTA

Antonietta aveva accolto anche l’invito a unirsi a noi filoni, la domenica, a ballare. Ci venne con un paio di amiche. Così la rividi. Poi mi accompagnai a lei e a sua sorella Enza in qualche passeggiata. Mi piaceva. E mi accorsi che anch’io ero entrato nell’angolo più segreto dei suoi sogni, magari insieme alla voglia di trovare un nuovo lavoro in una delle fabbriche che si andavano moltiplicando lungo le vie consolari Salaria e Tiburtina.

 

“Non pensi che sia ora di fidanzarmi?” tastai mia madre.

 

“Con chi?”

 

“Potrebbe essere una ragazza di Marcellina… O una delle belle figlie di Giustarello: chi preferiresti?”

 

“Tu sei proprio matto. Avresti fatto tutti i sacrifici che hai fatto per sposare una ragazza di paese?”

 

“La conosci, Antonietta?”

 

“Non la conosco e non la voglio conoscere. E se hai qualche grillo del genere per la testa, levatelo: per te da contessa in su”.

 

Ero il suo orgoglio. Sarebbe stata felicissima di una nuora che l’avesse guardata dall’alto in basso, ma che avesse elevato me alle stelle. Avevo tutt’altra idea: mi ero fatto da me e avrei continuato a contare su me stesso; volevo una donna che fosse capace di darmi amore, di comprendermi, di perdonare le mie debolezze, di stimare quanto le avrei dato, di governare una famiglia. E come ci pensavo, mi veniva in mente Antonietta: “Che cosa vai cercando? Eccolo, il fiore fresco che aspetta solo che tu lo colga”.

 

La conoscevo da poco, ma mi aveva colpito subito. Oltre a quel seno nel quale mi sarei immerso, mi piaceva la sua gaiezza composta, la sua serietà unita alla capacità di stare allo scherzo, il suo attaccamento a valori elementari ed essenziali, prisca sabina qualis… E lo era, una sabina autentica.

 

Leggevo nei suoi occhi anche il sogno di una grande attesa. In casa di mia cugina Roberta, sua compagna di lavoro ad Anzio, le avevo sentito dire: “Io sarò di un solo uomo: se non gli porto nulla in dote, almeno mi avrà tutta intera”. Sarebbe diventata sicuramente una moglie e una madre perfetta.

 

Cos’altro volevo? Allevata come me dalla scuola del bisogno, casta per un unico amore perché consapevole di avere da offrire solo se stessa, Antonietta impersonava tutti quelli che ritenevo i miei valori; e mi proponeva il più bel recupero della cultura materna. Amava come me la terra e più di me gli animali, sentenziava come nonno Berni, era l’immagine della fedeltà agli affetti, pur essendo aperta al nuovo e assetata d’amore e di conoscenza.

 

 
 
 


 

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