L'altra campana

IL RITRATTO DEL TEMPO

20.

     Ormai m’incaglio

nel motto del padrone ad ogni miglio:

grazia l’arreso e stritola l’orgoglio!

     E un animale è onnipresente in giro:

filosofo ha per nome; se ne infischia

degli altri; è prete e mago; un po’ fachiro

e asceta, sta lontano dalla mischia;

ha una faccia macilenta

che ti ostenta indifferenza;

morto al mondo, si trastulla

col suo nulla di sapienza.

     Sempre il filosofo esistette, invero,

mai però più superbo e più somaro.

Se è vero che del tempo egli è il ritratto,

il nostro tempo è incoglionito e brutto.

     Chissà che guazzabugli di parole

dovranno partorire i cervellacci,

per districar fra loro tante scuole

diverse nel linguaggio e negli spacci,

quando identici poi vedi

i rimedi offerti al mondo,

che più mali non patisca

se finisca allo sprofondo.

Al virgiliano emblematico parcere subiectis et debellare superbos fa riscontro l’invito all’umiltà della soggezione che risuona nella cultura del tempo, filosofica e religiosa... Ho uno specchio? Tu ritieni, a quanto pare, che potersi guardare in uno specchio sia per il filosofo empietà maggiore che la vista dei misteri di Cerere da parte di un profano... Di che altro, poi, sono accusato? Di povertà? Ma questa è un’accusa che il filosofo deve gradire, anzi professare spontaneamente; perché la povertà fa  parte da sempre della famiglia filosofica... (Apuleio, Pro se de magia, 13; 18)